La categoria di “genere” si rivela particolarmente fruttuosa se applicata, non solo alle condizioni degli uomini e delle donne in guerra, ma anche ai discorsi sulla guerra. Essa permette di cogliere la presenza non di un unico discorso, bensì di diversi discorsi sulla guerra, e di afferrare continuità e mutamenti nelle rappresentazioni del maschile e del femminile in un arco temporale più allargato e con modalità sfaccettate e segmentate. Se, per esempio, si possono ritrovare presso campi militarmente nemici concezioni identiche del femminile (è il caso della guerra fra garibaldini e borbonici), non così sembra verificarsi per la concezione del maschile: il “volontario” garibaldino poco ha in comune con il “soldato” obbediente all’ordine sociale e alle sue gerarchie caratteristico dell’idea tradizionale dell’esercito. La relazione tra “guerra e identità di genere” consente anche di evidenziare relazioni più complesse fra donne e politica e di mettere a giorno quanto i tratti di uno spazio pubblico di discussione (più libero e aperto o, invece, più intolllerante e chiuso) incidano nel favorire o ostacolare la presenza e la parola femminile in campo politico. Analogamente, la relazione fra “guerra e identità di genere” permette di illuminare distinzioni nella stessa relazione materna e di individuare delle articolazioni nello stesso maternalismo patriottico, il quale non coincide con quello che si può chiamare “maternalismo guerriero” legato essenzialmente all’immagine della “madre spartana”. Un salto di qualità in questa direzione, che pare trascendere completamente le identità di genere risorgimentali ottocentesche, si avverte alla vigilia della Grande guerra con una accentuazione negli anni successivi fino a tutta l’esperienza fascista. La sconfitta del discorso femminile della pace e di spazi liberi di discussione si congiunge con l’affermarsi esclusivo del “canone” maschile della guerra e con la femminilizzazione del mito dell’esperienza della guerra, i quali contribuiranno alla cancellazione dalla memoria pubblica delle relazioni di genere precedenti la Prima guerra mondiale fondate sul rispetto fra i sessi e delle relazioni fra donne e politica, non certo paritarie con quelle maschili ma anche meno ghettizzate. Grazie alla relazione stabilita fra “guerra e identità di genere” si riesce a cogliere il modificarsi dei discorsi sulla guerra e di quelli sul genere dall’Ottocento alla Seconda guerra mondiale.

Guerra e identità di genere in età contemporanea. Una discussione

GAGLIANI, DIANELLA
2007

Abstract

La categoria di “genere” si rivela particolarmente fruttuosa se applicata, non solo alle condizioni degli uomini e delle donne in guerra, ma anche ai discorsi sulla guerra. Essa permette di cogliere la presenza non di un unico discorso, bensì di diversi discorsi sulla guerra, e di afferrare continuità e mutamenti nelle rappresentazioni del maschile e del femminile in un arco temporale più allargato e con modalità sfaccettate e segmentate. Se, per esempio, si possono ritrovare presso campi militarmente nemici concezioni identiche del femminile (è il caso della guerra fra garibaldini e borbonici), non così sembra verificarsi per la concezione del maschile: il “volontario” garibaldino poco ha in comune con il “soldato” obbediente all’ordine sociale e alle sue gerarchie caratteristico dell’idea tradizionale dell’esercito. La relazione tra “guerra e identità di genere” consente anche di evidenziare relazioni più complesse fra donne e politica e di mettere a giorno quanto i tratti di uno spazio pubblico di discussione (più libero e aperto o, invece, più intolllerante e chiuso) incidano nel favorire o ostacolare la presenza e la parola femminile in campo politico. Analogamente, la relazione fra “guerra e identità di genere” permette di illuminare distinzioni nella stessa relazione materna e di individuare delle articolazioni nello stesso maternalismo patriottico, il quale non coincide con quello che si può chiamare “maternalismo guerriero” legato essenzialmente all’immagine della “madre spartana”. Un salto di qualità in questa direzione, che pare trascendere completamente le identità di genere risorgimentali ottocentesche, si avverte alla vigilia della Grande guerra con una accentuazione negli anni successivi fino a tutta l’esperienza fascista. La sconfitta del discorso femminile della pace e di spazi liberi di discussione si congiunge con l’affermarsi esclusivo del “canone” maschile della guerra e con la femminilizzazione del mito dell’esperienza della guerra, i quali contribuiranno alla cancellazione dalla memoria pubblica delle relazioni di genere precedenti la Prima guerra mondiale fondate sul rispetto fra i sessi e delle relazioni fra donne e politica, non certo paritarie con quelle maschili ma anche meno ghettizzate. Grazie alla relazione stabilita fra “guerra e identità di genere” si riesce a cogliere il modificarsi dei discorsi sulla guerra e di quelli sul genere dall’Ottocento alla Seconda guerra mondiale.
2007
Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo conflitto mondiale
141
160
D. Gagliani
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