L’autore fa il punto, a 20 anni dalla Dichiarazione di Barcellona, sulle dinamiche comparate sulle due rive del bacino sotto il profilo economico, demografico e istituzionale, evidenziando sia le ‘fratture’ che gli squilibri nelle relazioni nord-sud. Il divario, in termini di livelli di sviluppo nel Mediterraneo, è documentato dai valori del PIL pro-capite delle economie presenti nell’area in percentuale di quello italiano del 2013. La dinamica di questa frattura, che in prospettiva storica mostra momenti di approfondimento e di attenuazione causati dai differenti tassi di crescita del reddito e della popolazione nelle economie dei tre aggregati di paesi, viene ricondotta alla crisi delle economie del nord, piuttosto che allo sviluppo di quelle del sud. Quanto agli squilibri nelle relazioni nord-sud, le dinamiche positive dell’export manifatturiero dei paesi del sud-est del mediterraneo sono più che bilanciate da conseguenze strutturali dell’interscambio, che mostrano una forte polarizzazione degli scambi intorno ai paesi dell’Ue e una sostanziale integrazione dei modelli di esportazione, tendenze riconducibili alla presenza di un modello centro-periferia caratterizzato negativamente da crescita delle importazioni nordafricane e da saldi negativi delle bilance dei pagamenti di quegli Stati Nonostante la disuguale distribuzione dei benefici derivanti dall’interscambio commerciale fra i paesi delle diverse sponde del Mediterraneo, il processo dinamico di complementarità fra le economie che ne emerge può essere la base per un diverso percorso di cooperazione in un quadro culturale e programmatico più condiviso. Possono certamente concorrere a tale risultato le prospettive di crescita dei mercati del bacino capaci di stimolare tutte le economie circostanti, la bilancia energetica dei paesi dell’area (che sembra poter interfacciare gli interessi di approvvigionamento dei paesi dell’Ue con quelli di sviluppo dei produttori della riva sudorientale), così come l’allungamento delle filiere e il decentramento produttivo dei paesi più industrializzati. Anche i processi migratori, se considerati nei loro caratteri economici di forza lavoro per i paesi a più alto reddito e di flussi finanziari e di capitale umano per i paesi in via di sviluppo, rappresentano un modo per mantenere la base produttiva in presenza di riduzione della popolazione attiva dei primi e il bisogno di capitali finanziari e skill per supportare la crescita dei nuovi settori nei secondi. Quindi, secondo l’autore, da tutto ciò emerge un’immagine del Mediterraneo come insieme di economie che hanno bisogno di elaborare e attivare un programma condiviso, per promuovere sviluppo e sicurezza.

L'ineludibile centralità del Mediterraneo

ROMAGNOLI, ALESSANDRO
2015

Abstract

L’autore fa il punto, a 20 anni dalla Dichiarazione di Barcellona, sulle dinamiche comparate sulle due rive del bacino sotto il profilo economico, demografico e istituzionale, evidenziando sia le ‘fratture’ che gli squilibri nelle relazioni nord-sud. Il divario, in termini di livelli di sviluppo nel Mediterraneo, è documentato dai valori del PIL pro-capite delle economie presenti nell’area in percentuale di quello italiano del 2013. La dinamica di questa frattura, che in prospettiva storica mostra momenti di approfondimento e di attenuazione causati dai differenti tassi di crescita del reddito e della popolazione nelle economie dei tre aggregati di paesi, viene ricondotta alla crisi delle economie del nord, piuttosto che allo sviluppo di quelle del sud. Quanto agli squilibri nelle relazioni nord-sud, le dinamiche positive dell’export manifatturiero dei paesi del sud-est del mediterraneo sono più che bilanciate da conseguenze strutturali dell’interscambio, che mostrano una forte polarizzazione degli scambi intorno ai paesi dell’Ue e una sostanziale integrazione dei modelli di esportazione, tendenze riconducibili alla presenza di un modello centro-periferia caratterizzato negativamente da crescita delle importazioni nordafricane e da saldi negativi delle bilance dei pagamenti di quegli Stati Nonostante la disuguale distribuzione dei benefici derivanti dall’interscambio commerciale fra i paesi delle diverse sponde del Mediterraneo, il processo dinamico di complementarità fra le economie che ne emerge può essere la base per un diverso percorso di cooperazione in un quadro culturale e programmatico più condiviso. Possono certamente concorrere a tale risultato le prospettive di crescita dei mercati del bacino capaci di stimolare tutte le economie circostanti, la bilancia energetica dei paesi dell’area (che sembra poter interfacciare gli interessi di approvvigionamento dei paesi dell’Ue con quelli di sviluppo dei produttori della riva sudorientale), così come l’allungamento delle filiere e il decentramento produttivo dei paesi più industrializzati. Anche i processi migratori, se considerati nei loro caratteri economici di forza lavoro per i paesi a più alto reddito e di flussi finanziari e di capitale umano per i paesi in via di sviluppo, rappresentano un modo per mantenere la base produttiva in presenza di riduzione della popolazione attiva dei primi e il bisogno di capitali finanziari e skill per supportare la crescita dei nuovi settori nei secondi. Quindi, secondo l’autore, da tutto ciò emerge un’immagine del Mediterraneo come insieme di economie che hanno bisogno di elaborare e attivare un programma condiviso, per promuovere sviluppo e sicurezza.
2015
Rapporto sulle economie del Mediterraneo- Edizione 2015
31
52
Romagnoli, Alessandro
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