Il caso del compendio demaniale STAVECO - 44.000 mq. edificati su una superficie di quasi nove ettari - fornisce un ulteriore spunto per riflettere sulle opportunità ed i rischi di una scelta (la dismissione e il recupero del patrimonio immobiliare pubblico) che continua a riproporsi, non solo in Italia, dall’800 ad oggi. Da tempo il Comune di Bologna intendeva acquisire l’area in questione con l’insieme dei fabbricati che vi ricadono. Agli edifici militari eretti dopo l’Unità si erano aggiunti, nei primi anni del Novecento, diversi laboratori ed officine, giungendo a fare del complesso, con l’insediamento dell’ORMEC e poi della STAVECO – STAMOTO, una delle più importanti caserme del Servizio Motorizzazione dell’Esercito Italiano. Il binomio “dismissione” + “valorizzazione”- sempre più frequente - non manca peraltro di suscitare allarme quando è in gioco il destino del built heritage, a motivo del rischio che interventi di questo genere comportano per le sue valenze di bene culturale. Quando un bene viene dismesso? Generalmente quando non è più in grado di assolvere alla propria funzione in quanto oramai obsoleto e non più in grado di assicurare una redditività che ne giustifichi il mantenimento. Ne consegue che buona parte del patrimonio immobiliare storico (dal palazzo alla caserma o al carcere), per poter rientrare nel “circuito degli usi viventi” debba essere sottoposto a operazioni di recupero e/o ad adeguamento, per non finire “musealizzato”. Il saggio si interroga sull'ambiguità del termine valorizzazione usato ancora troppo spesso come sinonimo di redditività dei beni culturali, astraendo dal loro valore simbolico e metaforico a fronte della chiarezza degli assunti dell’art.6 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio dove col termine valorizzazione il legislatore intende «la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso».Il saggio si conclude con una rassegna di casi europei ed italiani che potrebbero guidare il “progetto di valorizzazione” del grande complesso della STAVECO. Progetti di valorizzazione di luoghi del “lavoro” dismessi in cui ci si è avvalsi delle potenzialità dell’esistente, basandosi sulla consistenza residua della fabbrica, accettandone l’incompletezza ed i segni dell’abbandono.
ANDREA UGOLINI (2014). TUTELA E VALORIZZAZIONE DI UN BENE DISMESSO: IL COMPLESSO STAVECO A BOLOGNA. Bologna : EDITRICE COMPOSITORI.
TUTELA E VALORIZZAZIONE DI UN BENE DISMESSO: IL COMPLESSO STAVECO A BOLOGNA
UGOLINI, ANDREA
2014
Abstract
Il caso del compendio demaniale STAVECO - 44.000 mq. edificati su una superficie di quasi nove ettari - fornisce un ulteriore spunto per riflettere sulle opportunità ed i rischi di una scelta (la dismissione e il recupero del patrimonio immobiliare pubblico) che continua a riproporsi, non solo in Italia, dall’800 ad oggi. Da tempo il Comune di Bologna intendeva acquisire l’area in questione con l’insieme dei fabbricati che vi ricadono. Agli edifici militari eretti dopo l’Unità si erano aggiunti, nei primi anni del Novecento, diversi laboratori ed officine, giungendo a fare del complesso, con l’insediamento dell’ORMEC e poi della STAVECO – STAMOTO, una delle più importanti caserme del Servizio Motorizzazione dell’Esercito Italiano. Il binomio “dismissione” + “valorizzazione”- sempre più frequente - non manca peraltro di suscitare allarme quando è in gioco il destino del built heritage, a motivo del rischio che interventi di questo genere comportano per le sue valenze di bene culturale. Quando un bene viene dismesso? Generalmente quando non è più in grado di assolvere alla propria funzione in quanto oramai obsoleto e non più in grado di assicurare una redditività che ne giustifichi il mantenimento. Ne consegue che buona parte del patrimonio immobiliare storico (dal palazzo alla caserma o al carcere), per poter rientrare nel “circuito degli usi viventi” debba essere sottoposto a operazioni di recupero e/o ad adeguamento, per non finire “musealizzato”. Il saggio si interroga sull'ambiguità del termine valorizzazione usato ancora troppo spesso come sinonimo di redditività dei beni culturali, astraendo dal loro valore simbolico e metaforico a fronte della chiarezza degli assunti dell’art.6 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio dove col termine valorizzazione il legislatore intende «la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso».Il saggio si conclude con una rassegna di casi europei ed italiani che potrebbero guidare il “progetto di valorizzazione” del grande complesso della STAVECO. Progetti di valorizzazione di luoghi del “lavoro” dismessi in cui ci si è avvalsi delle potenzialità dell’esistente, basandosi sulla consistenza residua della fabbrica, accettandone l’incompletezza ed i segni dell’abbandono.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.