Il titolo del contributo cita apertamente, nella sua parte iniziale, quello della versione italiana del fortunato libro di James Clifford "I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel XX secolo". Tra le più raffinate e acute critiche all’antropologia classica e alla sua retorica narrativa, l’ossatura portante dell’opera cliffordiana si snoda –semplificando alquanto – lungo la disamina dell’asse identità-autenticità-autorità applicate al concetto di cultura. Nel convulso frangente di mutamento socio-culturale avvenuto con la restaurazione Meiji (1868) anche il Giappone, apertosi all’Occidente e lanciato nella costruzione di un moderno stato nazionale, sentì l’esigenza di dotarsi di simboli e linguaggi capaci di incarnare e comunicare – tanto ai giapponesi quanto agli stranieri, ossia l’Altro – i nuovi valori fissando, al contempo, un’immagine distillata e istituzionale della cultura autoctona che ricalcasse il profilo ideale e fisico dei confini dell’arcipelago. I teatri di tradizione – nō, kabuki, bunraku e kyōgen – in tempi e modi diversi furono parte integrante di tale meccanismo di costruzione identitaria, un’identità sentita tanto più autentica quanto più capace di raccontare all’Altro il ‘vero’ Giappone: la natura composita e al tempo stesso sintetica dei teatri classici, unitamente alla loro antica tradizione, li resero linguaggi assai adatti allo scopo. La sempre maggiore frequenza dei contatti con l’Altro, però, creò anche i presupposti per forme di negoziazione culturale in senso bilaterale. Tali presupposti portarono alla nascita, nell’ambito dei teatri giapponesi classici, ‘puri’, di creazioni sceniche ibride, ‘impazzite’ se confrontate col modello tradizionale. Rispetto alla più ampia scena teatrale mondiale, invece, condussero all’emersione di infinite ipotesi e realizzazioni creative volte a tradurre la lezione giapponese secondo paradigmi e orizzonti estetici altri. Un esempio, credo, che può ben testimoniare la sublimazione di un preteso confine culturale in un più ampio e poroso orizzonte interculturale.

I teatri puri impazziscono: scene di sconfinamento teatrale dal Giappone e ritorno

CASARI, MATTEO
2015

Abstract

Il titolo del contributo cita apertamente, nella sua parte iniziale, quello della versione italiana del fortunato libro di James Clifford "I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel XX secolo". Tra le più raffinate e acute critiche all’antropologia classica e alla sua retorica narrativa, l’ossatura portante dell’opera cliffordiana si snoda –semplificando alquanto – lungo la disamina dell’asse identità-autenticità-autorità applicate al concetto di cultura. Nel convulso frangente di mutamento socio-culturale avvenuto con la restaurazione Meiji (1868) anche il Giappone, apertosi all’Occidente e lanciato nella costruzione di un moderno stato nazionale, sentì l’esigenza di dotarsi di simboli e linguaggi capaci di incarnare e comunicare – tanto ai giapponesi quanto agli stranieri, ossia l’Altro – i nuovi valori fissando, al contempo, un’immagine distillata e istituzionale della cultura autoctona che ricalcasse il profilo ideale e fisico dei confini dell’arcipelago. I teatri di tradizione – nō, kabuki, bunraku e kyōgen – in tempi e modi diversi furono parte integrante di tale meccanismo di costruzione identitaria, un’identità sentita tanto più autentica quanto più capace di raccontare all’Altro il ‘vero’ Giappone: la natura composita e al tempo stesso sintetica dei teatri classici, unitamente alla loro antica tradizione, li resero linguaggi assai adatti allo scopo. La sempre maggiore frequenza dei contatti con l’Altro, però, creò anche i presupposti per forme di negoziazione culturale in senso bilaterale. Tali presupposti portarono alla nascita, nell’ambito dei teatri giapponesi classici, ‘puri’, di creazioni sceniche ibride, ‘impazzite’ se confrontate col modello tradizionale. Rispetto alla più ampia scena teatrale mondiale, invece, condussero all’emersione di infinite ipotesi e realizzazioni creative volte a tradurre la lezione giapponese secondo paradigmi e orizzonti estetici altri. Un esempio, credo, che può ben testimoniare la sublimazione di un preteso confine culturale in un più ampio e poroso orizzonte interculturale.
2015
Tradizione, Traduzione, Trasformazione
47
57
M. Casari
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/466767
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