La città di Bologna si rivela un contesto etnografico stimolante per esplorare le tensioni e le ambivalenze che i “flussi culturali transnazionali”comportano nella vita quotidiana delle persone. Focalizzando l’attenzione sulle trasformazioni del paesaggio urbano nel quartiere centrale di San Vitale ed in particolare sullo sviluppo dell’ethnic business pakistano e bengalese vengono discusse le reciproche rappresentazioni che caratterizzano il quartiere. Oltre agli studenti e a coloro che si rappresentano come autoctoni “storici”, il quartiere è animato da commercianti, artigiani e immigrati provenienti dal subcontinente indiano che gestiscono negozi e che hanno trasformato l’aspetto delle strade e il paesaggio urbano. Senza pretesa di esaustività, con questo contributo sono state esplorate alcune esperienze lavorative e di socializzazione, con il fine di illustrare il punto di vista dei migranti bengalesi e pakistani nei confronti di queste trasformazioni urbane. Se si possono intravedere dei potenziali di cosmopolitizzazione (Beck 2005), nelle pratiche e nelle rappresentazioni che caratterizzano il centro di Bologna, proliferano i continui tentativi di costruzione di confini,anche simbolici, finalizzati a distinguere, a volte con un linguaggio morale, un “noi” da un “loro”. L’inserimento nel mercato del lavoro non corrisponde ad un inserimento effettivo negli altri settori della realtà bolognese. Segnali di maggior integrazione provengono dal mondo della scuola, ma è ancora molto presto per valutarne la portata e gli sviluppi futuri: è forse dalle generazioni di bambini nati e cresciuti in Italia che si avranno segnali di cambiamento importanti. L’esempio della zona attorno a via San Vitale pone quindi l’accento sulla complessità dei fenomeni legati all’inserimento di realtà immigrate all’interno della città. Da un lato si può infatti affermare che le comunità bengalese e pakistana non sembrano generare mancanza di sicurezza da parte di quella italiana. Allo stesso tempo, si è però constatato come emergano sentimenti di diffidenza verso l’espansione delle attività gestite dagli stranieri. Parallelamente, i bengalesi ed i pakistani con cui sono stati svolti i colloqui hanno affermato di apprezzare la città ed i suoi abitanti, tuttavia non si ha avuto alcuna testimonianza di relazioni profonde o che vadano per lo meno oltre al semplice rapporto di commerciante-cliente. Il quartiere di Bologna che abbiamo percorso brevemente attraverso le esperienze di alcuni negozianti bengalesi e pakistani, ma anche bolognesi, tende a presentare uno scenario “compartimentato” (Cellamare e Riccio 2001).
B. Riccio (2007). Processi di trasformazione urbana e costruzione di confini. Migranti dal Bangladesh e dal Pakistan nel centro di Bologna. RIMINI : Guaraldi.
Processi di trasformazione urbana e costruzione di confini. Migranti dal Bangladesh e dal Pakistan nel centro di Bologna
RICCIO, BRUNO
2007
Abstract
La città di Bologna si rivela un contesto etnografico stimolante per esplorare le tensioni e le ambivalenze che i “flussi culturali transnazionali”comportano nella vita quotidiana delle persone. Focalizzando l’attenzione sulle trasformazioni del paesaggio urbano nel quartiere centrale di San Vitale ed in particolare sullo sviluppo dell’ethnic business pakistano e bengalese vengono discusse le reciproche rappresentazioni che caratterizzano il quartiere. Oltre agli studenti e a coloro che si rappresentano come autoctoni “storici”, il quartiere è animato da commercianti, artigiani e immigrati provenienti dal subcontinente indiano che gestiscono negozi e che hanno trasformato l’aspetto delle strade e il paesaggio urbano. Senza pretesa di esaustività, con questo contributo sono state esplorate alcune esperienze lavorative e di socializzazione, con il fine di illustrare il punto di vista dei migranti bengalesi e pakistani nei confronti di queste trasformazioni urbane. Se si possono intravedere dei potenziali di cosmopolitizzazione (Beck 2005), nelle pratiche e nelle rappresentazioni che caratterizzano il centro di Bologna, proliferano i continui tentativi di costruzione di confini,anche simbolici, finalizzati a distinguere, a volte con un linguaggio morale, un “noi” da un “loro”. L’inserimento nel mercato del lavoro non corrisponde ad un inserimento effettivo negli altri settori della realtà bolognese. Segnali di maggior integrazione provengono dal mondo della scuola, ma è ancora molto presto per valutarne la portata e gli sviluppi futuri: è forse dalle generazioni di bambini nati e cresciuti in Italia che si avranno segnali di cambiamento importanti. L’esempio della zona attorno a via San Vitale pone quindi l’accento sulla complessità dei fenomeni legati all’inserimento di realtà immigrate all’interno della città. Da un lato si può infatti affermare che le comunità bengalese e pakistana non sembrano generare mancanza di sicurezza da parte di quella italiana. Allo stesso tempo, si è però constatato come emergano sentimenti di diffidenza verso l’espansione delle attività gestite dagli stranieri. Parallelamente, i bengalesi ed i pakistani con cui sono stati svolti i colloqui hanno affermato di apprezzare la città ed i suoi abitanti, tuttavia non si ha avuto alcuna testimonianza di relazioni profonde o che vadano per lo meno oltre al semplice rapporto di commerciante-cliente. Il quartiere di Bologna che abbiamo percorso brevemente attraverso le esperienze di alcuni negozianti bengalesi e pakistani, ma anche bolognesi, tende a presentare uno scenario “compartimentato” (Cellamare e Riccio 2001).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.