Il tema della partecipazione è emerso con prepotente urgenza nel dibattito pubblico degli ultimi anni a seguito della crisi della democrazia rappresentativa che in Italia possiamo far risalire allo scandalo di Tangentopoli, 1992. Nel tentativo di elaborare e proporre forme intermedie alla partecipa-zione consultiva tradizionale, in grado di riavvicinare cittadini ed istituzioni, il tema della partecipazione ha assunto grande rilevanza nelle politiche comunitarie e locali, per non parlare poi dell’ampio uso che del concetto “partecipazione” viene fatto sia nei progetti e nei discorsi di politici e amministratori, sia nelle diverse iniziative di cittadinanza attiva che contraddi-stinguono il mondo dell’associazionismo e del volontariato. La “democrazia partecipativa” ha assunto quindi da un lato le forme di un vero e proprio modello applicativo a metà tra “democrazia rappresentativa” e “democrazia diretta”, e dall’altro lato un ambito di studi proprio che ha dato luogo a numerose ricerche e ad una cospicua letteratura scientifica sul tema. In ambito scientifico possiamo sinteticamente distinguere un “approccio tecnologico” ed un “approccio sostanzialista” alla partecipazione. Se a volte l’utilizzo di tecnologie per la partecipazione viene criticato in quanto spesso prescinde dalle considerazioni di metodo rispetto alla reale utilità di tali strumenti applicati ad un contesto specifico e di merito rispetto al rischio di “feticismo tecnicistico” come sostanziale mitigazione del conflitto sociale con conseguente stabilizzazione dello status quo; altre volte si ha la sensazione che la concezione sostanzialista sia limitata da una scarsa considerazione dell’esigenza di formare soggetti e comunità alla partecipazione per promuovere processi autentici di empowerment e non riprodurre i rischi di manipolazione, indugiando in una posizione di laissez-faire partecipativo. Passando alla dimensione pratica, i progetti di partecipazione non sempre hanno risultati soddisfacenti e altrettanto spesso “partecipazione” si ri-duce ad uno slogan, ad un termine evocativo utilizzato nella scrittura dei progetti che però si fatica ad applicare con efficacia. Nonostante questo crescente interesse, alcune criticità e domande ri-mangono aperte e sfuggono alla retorica che accompagna spesso questa ca-tegoria emergente. Per indagare questi interrogativi e tentare di fornire un contributo alla riflessione in merito, il presente lavoro ha individuato nella realtà bolognese un interessante caso studio che ha consentito di tenere insieme la dimensione teorica e quella di analisi delle pratiche.
Alessandro Tolomelli, Margherita Garzya, Chiara Giustini, Ilaria Pitti, Stella Volturo (2014). Partecipazione ed empowerment. La realtà bolognese come caso studio. Milano : FrancoAngeli srl [10.978.88917/05846].
Partecipazione ed empowerment. La realtà bolognese come caso studio
TOLOMELLI, ALESSANDRO;PITTI, ILARIA;VOLTURO, STELLA
2014
Abstract
Il tema della partecipazione è emerso con prepotente urgenza nel dibattito pubblico degli ultimi anni a seguito della crisi della democrazia rappresentativa che in Italia possiamo far risalire allo scandalo di Tangentopoli, 1992. Nel tentativo di elaborare e proporre forme intermedie alla partecipa-zione consultiva tradizionale, in grado di riavvicinare cittadini ed istituzioni, il tema della partecipazione ha assunto grande rilevanza nelle politiche comunitarie e locali, per non parlare poi dell’ampio uso che del concetto “partecipazione” viene fatto sia nei progetti e nei discorsi di politici e amministratori, sia nelle diverse iniziative di cittadinanza attiva che contraddi-stinguono il mondo dell’associazionismo e del volontariato. La “democrazia partecipativa” ha assunto quindi da un lato le forme di un vero e proprio modello applicativo a metà tra “democrazia rappresentativa” e “democrazia diretta”, e dall’altro lato un ambito di studi proprio che ha dato luogo a numerose ricerche e ad una cospicua letteratura scientifica sul tema. In ambito scientifico possiamo sinteticamente distinguere un “approccio tecnologico” ed un “approccio sostanzialista” alla partecipazione. Se a volte l’utilizzo di tecnologie per la partecipazione viene criticato in quanto spesso prescinde dalle considerazioni di metodo rispetto alla reale utilità di tali strumenti applicati ad un contesto specifico e di merito rispetto al rischio di “feticismo tecnicistico” come sostanziale mitigazione del conflitto sociale con conseguente stabilizzazione dello status quo; altre volte si ha la sensazione che la concezione sostanzialista sia limitata da una scarsa considerazione dell’esigenza di formare soggetti e comunità alla partecipazione per promuovere processi autentici di empowerment e non riprodurre i rischi di manipolazione, indugiando in una posizione di laissez-faire partecipativo. Passando alla dimensione pratica, i progetti di partecipazione non sempre hanno risultati soddisfacenti e altrettanto spesso “partecipazione” si ri-duce ad uno slogan, ad un termine evocativo utilizzato nella scrittura dei progetti che però si fatica ad applicare con efficacia. Nonostante questo crescente interesse, alcune criticità e domande ri-mangono aperte e sfuggono alla retorica che accompagna spesso questa ca-tegoria emergente. Per indagare questi interrogativi e tentare di fornire un contributo alla riflessione in merito, il presente lavoro ha individuato nella realtà bolognese un interessante caso studio che ha consentito di tenere insieme la dimensione teorica e quella di analisi delle pratiche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.