La creatività è stata tradizionalmente studiata da una prospettiva individuale, con l’obiettivo di evidenziare le caratteristiche psicologiche che contraddistinguono i grandi innovatori, che includono i tratti di personalità, le abilità cognitive e la formazione intellettuale (Sternberg and Lubart 1999). Più recentemente, tuttavia, si è osservato un progressivo spostamento di attenzione dai fattori individuali ai fattori sociali e culturali che influenzano il processo creativo (Amabile 1996; Csikszentmihalyi 1999; John-Steiner 2000; Sawyer 2003, 2009). Le ragioni di questo ampliamento prospettico risiedono nella consapevolezza che ciò che è usualmente definito come “creativo” è raramente riducibile al contributo di un singolo individuo, ma è il risultato della complessa interazione di fattori di natura psicologica, sociale e culturale. Csikszentmihalyi (1996, 1999) è stato tra i primi studiosi a proporre una visione “sistemica” della creatività. Secondo questo autore, il processo creativo origina da tre forze interagenti: un insieme di istituzioni sociali (o “campo”) che seleziona le idee da preservare; un dominio culturale stabile, che permette la trasmissione delle idee selezionate alle generazioni successive; e l’individuo, che introduce dei cambiamenti che il campo potrà giudicare come creativi (o meno). Il ruolo di queste forze è più evidente se si guarda alla storia della creatività nelle scienze e nelle arti. E’ possibile osservare che la maggior parte delle innovazioni in questi campi sono state generate da menti brillanti che non lavoravano in modo isolato, ma operavano all’interno di gruppi di esperti con cui condividevano aspirazioni, conoscenze e intuizioni. Ad esempio, il movimento psicoanalitico si sviluppò a partire dagli “incontri del Mercoledì” che si tenevano a casa di Freud; più o meno nello stesso periodo, Albert Einstein e alcuni amici fondarono a Berna l’Accademia Olimpia, costituita per approfondire questioni di fisica e di filosofia. Dai Beatles ai fratelli Wright, dagli Impressionisti ai coniugi Curie, la storia delle collaborazioni creative è ricca di esempi. Le ragioni per cui creatività e collaborazione di gruppo sono concetti strettamente legati sono, a prima vista, abbastanza ovvie. In primo luogo, collaborare consente di scomporre problemi complessi in compiti più semplici, che possono essere distribuiti in base alle competenze dei partecipanti. Ad esempio, la scoperta dell’esistenza del bosone di Higgs nell’ambito del progetto Large Hadron Collider (LHC) del CERN sarebbe stata impossibile senza la partecipazione di migliaia tra fisici, informatici e ingegneri provenienti da ogni parte del mondo, che hanno messo a disposizione le proprie competenze specialistiche per riuscire a risolvere le complesse sfide tecniche e scientifiche poste da un’impresa così ambiziosa. In secondo luogo, la collaborazione promuove il pensiero divergente, facilita il coordinamento e consente ai membri del gruppo (o, nel caso del progetto LHC, della comunità) di condividere pratiche, metodi e conoscenze. La ricerca sugli aspetti sociali della creatività ha prodotto diversi modelli concettuali, che possono essere ricompresi in due filoni più generali: quello socio-cognitivo e quello socio-culturale. Il primo approccio si è focalizzato sulle dimensioni cognitive della creatività di gruppo e sulle possibili strategie per ottimizzarne l’efficacia. L’approccio socio-culturale, invece, ha posto maggiore enfasi sull’esperienza della collaborazione creativa, approfondendo il ruolo dei fattori intersoggettivi e culturali.
Gaggioli A., Riva G., Mazzoni E., Milani L. (2014). La creatività di gruppo nei contesti educativi: Rassegna sulle teorie della creatività che emerge nei gruppi e i metodi per gestirla.. Trento : Edizioni Centro Studi Erickson.
La creatività di gruppo nei contesti educativi: Rassegna sulle teorie della creatività che emerge nei gruppi e i metodi per gestirla.
MAZZONI, ELVIS;
2014
Abstract
La creatività è stata tradizionalmente studiata da una prospettiva individuale, con l’obiettivo di evidenziare le caratteristiche psicologiche che contraddistinguono i grandi innovatori, che includono i tratti di personalità, le abilità cognitive e la formazione intellettuale (Sternberg and Lubart 1999). Più recentemente, tuttavia, si è osservato un progressivo spostamento di attenzione dai fattori individuali ai fattori sociali e culturali che influenzano il processo creativo (Amabile 1996; Csikszentmihalyi 1999; John-Steiner 2000; Sawyer 2003, 2009). Le ragioni di questo ampliamento prospettico risiedono nella consapevolezza che ciò che è usualmente definito come “creativo” è raramente riducibile al contributo di un singolo individuo, ma è il risultato della complessa interazione di fattori di natura psicologica, sociale e culturale. Csikszentmihalyi (1996, 1999) è stato tra i primi studiosi a proporre una visione “sistemica” della creatività. Secondo questo autore, il processo creativo origina da tre forze interagenti: un insieme di istituzioni sociali (o “campo”) che seleziona le idee da preservare; un dominio culturale stabile, che permette la trasmissione delle idee selezionate alle generazioni successive; e l’individuo, che introduce dei cambiamenti che il campo potrà giudicare come creativi (o meno). Il ruolo di queste forze è più evidente se si guarda alla storia della creatività nelle scienze e nelle arti. E’ possibile osservare che la maggior parte delle innovazioni in questi campi sono state generate da menti brillanti che non lavoravano in modo isolato, ma operavano all’interno di gruppi di esperti con cui condividevano aspirazioni, conoscenze e intuizioni. Ad esempio, il movimento psicoanalitico si sviluppò a partire dagli “incontri del Mercoledì” che si tenevano a casa di Freud; più o meno nello stesso periodo, Albert Einstein e alcuni amici fondarono a Berna l’Accademia Olimpia, costituita per approfondire questioni di fisica e di filosofia. Dai Beatles ai fratelli Wright, dagli Impressionisti ai coniugi Curie, la storia delle collaborazioni creative è ricca di esempi. Le ragioni per cui creatività e collaborazione di gruppo sono concetti strettamente legati sono, a prima vista, abbastanza ovvie. In primo luogo, collaborare consente di scomporre problemi complessi in compiti più semplici, che possono essere distribuiti in base alle competenze dei partecipanti. Ad esempio, la scoperta dell’esistenza del bosone di Higgs nell’ambito del progetto Large Hadron Collider (LHC) del CERN sarebbe stata impossibile senza la partecipazione di migliaia tra fisici, informatici e ingegneri provenienti da ogni parte del mondo, che hanno messo a disposizione le proprie competenze specialistiche per riuscire a risolvere le complesse sfide tecniche e scientifiche poste da un’impresa così ambiziosa. In secondo luogo, la collaborazione promuove il pensiero divergente, facilita il coordinamento e consente ai membri del gruppo (o, nel caso del progetto LHC, della comunità) di condividere pratiche, metodi e conoscenze. La ricerca sugli aspetti sociali della creatività ha prodotto diversi modelli concettuali, che possono essere ricompresi in due filoni più generali: quello socio-cognitivo e quello socio-culturale. Il primo approccio si è focalizzato sulle dimensioni cognitive della creatività di gruppo e sulle possibili strategie per ottimizzarne l’efficacia. L’approccio socio-culturale, invece, ha posto maggiore enfasi sull’esperienza della collaborazione creativa, approfondendo il ruolo dei fattori intersoggettivi e culturali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.