Da anni la critica femminista ha mostrato alcune differenze di genere presenti nelle diverse visioni distopiche ad opera di donne e uomini. Ed è proprio sulla diversa sensibilità verso la questione di genere che si fondano le principali differenze tra i romanzi femminili e quelli maschili, questione che investe anche altre tematiche, quali la violenza o la funzione esclusivamente riproduttiva della donna, che, nella letteratura femminile, vengono viste come indissolubilmente legate al culto della virilità e all’idea di mascolinità che stanno alla base dei regimi totalitari degli anni Trenta e Quaranta. In generale, le opere scritte in quegli anni da donne europee mostrano una specificità di genere proprio nel riconoscimento del legame tra totalitarismo, violenza e discriminazione di genere, individuando così nel clima, nei rituali e nella mentalità dell’estrema destra in Europa il principale disagio dell’epoca—un’epoca che vede la costruzione di «un mondo di valori maschili estraneo alla società civile considerata», dopo l’entrata delle donne nella sfera pubblica in seguito al coinvolgimento della maggior parte degli uomini nella Grande guerra, «largamente dominata dal femminile». Per comprendere meglio il disagio dell’epoca è necessario quindi rivolgersi anche alle opere delle donne che pubblicarono negli anni immediatamente precedenti o successivi agli anni Quaranta: Katharine Burdekin soprattutto, contemporanea e antecedente di George Orwell, ma anche la scrittrice svedese Karin Boye e Bryher (Winifred Ellerman), anch’essa inglese e contemporanea dello scrittore. Il percorso sarà cronologico: seguirò la pubblicazione delle diverse opere, iniziando con Burdekin, autrice di diverse distopie, tra cui la più famosa è Swastika Night (1937), ma anche di Proud Man (1934) e di The End of This Day’s Business (scritto nel 1935, ma pubblicato solo nel 1989). Seguirò con la lettura di Kallocaina, una cupa distopia del 1940 ad opera di Boye, per finire con un lavoro recentemente ripubblicato, Visa for Avalon, scritto da Bryher nel 1965, nel tentativo di dare un panorama del disagio dell’epoca da parte delle donne e di rintracciare gli elementi comuni e specifici che attraversano queste narrazioni. Burdekin risponde al disagio dell’epoca con una serie di romanzi radicali, profondamente politici e profetici, tutti scritti negli anni Trenta, prima cioè che la drammaticità degli eventi fosse chiara a tutti, insistendo sul legame tra totalitarismo e culto della virilità, maschilismo e costruzione dei generi. È proprio questo aspetto che rende la sua visione maggiormente radicale e innovativa per l’epoca. Sempre a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta si situa l’opera della poetessa svedese Boye, che presenta con la sua distopia una metafora delle politiche di repressione e intolleranza della Germania di Hitler. Da ultima si trova Bryher, con un romanzo più tardo che non è una vera e propria distopia, bensì quella che potrebbe essere chiamata una ‘pre-distopia’, cioè il racconto delle giornate e delle ore immediatamente precedenti a quello che sarà un colpo di stato che porterà al totalitarismo.

Il disagio della civiltà dalla prospettiva delle donne: i romanzi di Burdekin, Boye e Bryher / R. Baccolini. - STAMPA. - (2007), pp. 41-54.

Il disagio della civiltà dalla prospettiva delle donne: i romanzi di Burdekin, Boye e Bryher

BACCOLINI, RAFFAELLA
2007

Abstract

Da anni la critica femminista ha mostrato alcune differenze di genere presenti nelle diverse visioni distopiche ad opera di donne e uomini. Ed è proprio sulla diversa sensibilità verso la questione di genere che si fondano le principali differenze tra i romanzi femminili e quelli maschili, questione che investe anche altre tematiche, quali la violenza o la funzione esclusivamente riproduttiva della donna, che, nella letteratura femminile, vengono viste come indissolubilmente legate al culto della virilità e all’idea di mascolinità che stanno alla base dei regimi totalitari degli anni Trenta e Quaranta. In generale, le opere scritte in quegli anni da donne europee mostrano una specificità di genere proprio nel riconoscimento del legame tra totalitarismo, violenza e discriminazione di genere, individuando così nel clima, nei rituali e nella mentalità dell’estrema destra in Europa il principale disagio dell’epoca—un’epoca che vede la costruzione di «un mondo di valori maschili estraneo alla società civile considerata», dopo l’entrata delle donne nella sfera pubblica in seguito al coinvolgimento della maggior parte degli uomini nella Grande guerra, «largamente dominata dal femminile». Per comprendere meglio il disagio dell’epoca è necessario quindi rivolgersi anche alle opere delle donne che pubblicarono negli anni immediatamente precedenti o successivi agli anni Quaranta: Katharine Burdekin soprattutto, contemporanea e antecedente di George Orwell, ma anche la scrittrice svedese Karin Boye e Bryher (Winifred Ellerman), anch’essa inglese e contemporanea dello scrittore. Il percorso sarà cronologico: seguirò la pubblicazione delle diverse opere, iniziando con Burdekin, autrice di diverse distopie, tra cui la più famosa è Swastika Night (1937), ma anche di Proud Man (1934) e di The End of This Day’s Business (scritto nel 1935, ma pubblicato solo nel 1989). Seguirò con la lettura di Kallocaina, una cupa distopia del 1940 ad opera di Boye, per finire con un lavoro recentemente ripubblicato, Visa for Avalon, scritto da Bryher nel 1965, nel tentativo di dare un panorama del disagio dell’epoca da parte delle donne e di rintracciare gli elementi comuni e specifici che attraversano queste narrazioni. Burdekin risponde al disagio dell’epoca con una serie di romanzi radicali, profondamente politici e profetici, tutti scritti negli anni Trenta, prima cioè che la drammaticità degli eventi fosse chiara a tutti, insistendo sul legame tra totalitarismo e culto della virilità, maschilismo e costruzione dei generi. È proprio questo aspetto che rende la sua visione maggiormente radicale e innovativa per l’epoca. Sempre a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta si situa l’opera della poetessa svedese Boye, che presenta con la sua distopia una metafora delle politiche di repressione e intolleranza della Germania di Hitler. Da ultima si trova Bryher, con un romanzo più tardo che non è una vera e propria distopia, bensì quella che potrebbe essere chiamata una ‘pre-distopia’, cioè il racconto delle giornate e delle ore immediatamente precedenti a quello che sarà un colpo di stato che porterà al totalitarismo.
2007
George Orwell: Antistalinismo e critica del totalitarismo. L’utopia negativa
41
54
Il disagio della civiltà dalla prospettiva delle donne: i romanzi di Burdekin, Boye e Bryher / R. Baccolini. - STAMPA. - (2007), pp. 41-54.
R. Baccolini
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