“Ho scelto una città, la città di Orte […], ho scelto come tela la forma di una città, il profilo di una città. […] Io ho scelto una inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta, ed è più o meno l’inquadratura così; basta che io muova questo affare qui, nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città, è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo, che è quella cosa che si vede là a sinistra. La vedi?” (Pier Paolo Pasolini, Paolo Brunatto, Pasolini e … la forma della città, documentario RAI a cura di A. Zanoli, autunno 1973, trasmesso 7 febbraio 1974). E’ con queste parole che Pier Paolo Pasoli, in modo consapevole, esprime il dramma della perdita di identità della città europea, che in nome della “modernità” ha visto stravolgere l’identità e il modo millenario di comporre gli spazi urbani. Il patrimonio architettonico antico rappresenta la struttura del territorio e quindi la sua lettura, la comprensione della sua evoluzione e stratificazione è l’elemento primo per poter arrivare, alla stesura di un metodo di intervento. Il progetto deve, indagando i luoghi, trovare nelle città, nei suoi isolati, nelle proprie architetture, gli elementi capaci di caratterizzare il tessuto urbano. In linea con questo pensiero Rob Krier scrive: “Nella città ogni architettura deve sottomettersi alle strutture di insieme. Ciò vuol dire che la scala, il tipo di costruzione, e il linguaggio architettonico devono accordarsi armoniosamente alle strutture esistenti” (R. Krier, Lo spazio della città, cit. dall’edizione italiana, Milano, 1982). Solo una volta studiati i rapporti architettonici della Città di Savona, attraverso le tipologie edilizie che la caratterizzano, le dimensioni sia in alzato che in pianta dei corpi di fabbrica ed i temi presenti nello spazio pubblico (portici, loggiati, ecc.), si può giungere ad una nuova proposta progettuale che prenda in considerazione tutti quegli elementi tipici del luogo. Alla base del progetto urbano vi è la convinzione che la città debba essere considerata un fenomeno collettivo dove si manifesta la vita dell’individuo, oltre che essere il luogo in cui la società acquista consapevolezza e si relaziona con i sedimenti delle stratificazioni della storia, continuamente, trovando in essi la propria espressione. Attualmente, troppo soventemente, la disciplina dell’urbanistica ha condotto alla perdita dello spazio urbano, creando una città frammentata, dispersa e disgregata sul territorio dove l’architetto, disabituato a confrontarsi con il tessuto della città, progetta architetture autistiche e autoreferenziali, non considerando che l’urbs non è composta da elementi solitari, ma da un “continuum” di edifici che definisco lo spazio pubblico della strada, della piazza e dell’isolato. Per questo motivo, il progetto urbano si contrappone alla libera creatività dell’architetto e/o studente, cercando di interpretare in modo corretto i temi presenti nel tessuto urbano e da essi proporre il disegno di un nuovo brano di città. La creatività individuale, quindi, non deve essere fine a se stessa, ma deve confrontarsi con le misure dei corpi di fabbrica e con le proporzioni che hanno dettato la composizione della città storica. Nessuno può negare che a partire dalle origini dell’architettura moderna, l’arte di costruire la città, come la intendeva Camillo Sitte, e di originare lo spazio urbano come spazio esterno esteticamente riconoscibile e fruibile, è stata sacrificata in nome di una ideologia del paesaggio urbano caotico, pseudo democratico e pseudo umano. Klaus Theo Brenner e Massimo Fagioli nel loro saggio introduttivo intitolato “Razionalisti berlinesi” parlano di “[...] una architettura che affianchi il principio della ragione al desiderio di bellezza e grazia, un’architettura che nell’oggetto architettonico veda l’edificio, da intendersi solo come parte della città, un’architettura che riconosca lo spazio pubblico delle strade e delle piazze come luogo di riferimento primario per la forma degli edifici e che, in ultimo, renda visibile la storia della città europea nei suoi molteplici e complessi aspetti, quale punto di riferimento del progetto contemporaneo” (K. T. Brenner, M. Fagioli, Razionalisti berlinesi, in AA.VV. Razionalisti berlinesi, Aion Edizioni, Firenze 2010, p. 6). L’obbiettivo dell’esercitazione didattica vuole essere quello di prefigurare un modello progettuale valido per la stesura di una proposta concreta di un intervento di recupero urbano da applicare al brano di città, oggetto di intervento, che è caratterizzato da un mancato disegno planimetrico e da una edificazione “casuale”.
Franco Stella, T. Lanteri Minet, L. E. Mazzone (2013). Progetti di piazze e strade. Roma : Aracne Editore srl.
Progetti di piazze e strade
LANTERI MINET, TOMASO;
2013
Abstract
“Ho scelto una città, la città di Orte […], ho scelto come tela la forma di una città, il profilo di una città. […] Io ho scelto una inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta, ed è più o meno l’inquadratura così; basta che io muova questo affare qui, nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città, è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo, che è quella cosa che si vede là a sinistra. La vedi?” (Pier Paolo Pasolini, Paolo Brunatto, Pasolini e … la forma della città, documentario RAI a cura di A. Zanoli, autunno 1973, trasmesso 7 febbraio 1974). E’ con queste parole che Pier Paolo Pasoli, in modo consapevole, esprime il dramma della perdita di identità della città europea, che in nome della “modernità” ha visto stravolgere l’identità e il modo millenario di comporre gli spazi urbani. Il patrimonio architettonico antico rappresenta la struttura del territorio e quindi la sua lettura, la comprensione della sua evoluzione e stratificazione è l’elemento primo per poter arrivare, alla stesura di un metodo di intervento. Il progetto deve, indagando i luoghi, trovare nelle città, nei suoi isolati, nelle proprie architetture, gli elementi capaci di caratterizzare il tessuto urbano. In linea con questo pensiero Rob Krier scrive: “Nella città ogni architettura deve sottomettersi alle strutture di insieme. Ciò vuol dire che la scala, il tipo di costruzione, e il linguaggio architettonico devono accordarsi armoniosamente alle strutture esistenti” (R. Krier, Lo spazio della città, cit. dall’edizione italiana, Milano, 1982). Solo una volta studiati i rapporti architettonici della Città di Savona, attraverso le tipologie edilizie che la caratterizzano, le dimensioni sia in alzato che in pianta dei corpi di fabbrica ed i temi presenti nello spazio pubblico (portici, loggiati, ecc.), si può giungere ad una nuova proposta progettuale che prenda in considerazione tutti quegli elementi tipici del luogo. Alla base del progetto urbano vi è la convinzione che la città debba essere considerata un fenomeno collettivo dove si manifesta la vita dell’individuo, oltre che essere il luogo in cui la società acquista consapevolezza e si relaziona con i sedimenti delle stratificazioni della storia, continuamente, trovando in essi la propria espressione. Attualmente, troppo soventemente, la disciplina dell’urbanistica ha condotto alla perdita dello spazio urbano, creando una città frammentata, dispersa e disgregata sul territorio dove l’architetto, disabituato a confrontarsi con il tessuto della città, progetta architetture autistiche e autoreferenziali, non considerando che l’urbs non è composta da elementi solitari, ma da un “continuum” di edifici che definisco lo spazio pubblico della strada, della piazza e dell’isolato. Per questo motivo, il progetto urbano si contrappone alla libera creatività dell’architetto e/o studente, cercando di interpretare in modo corretto i temi presenti nel tessuto urbano e da essi proporre il disegno di un nuovo brano di città. La creatività individuale, quindi, non deve essere fine a se stessa, ma deve confrontarsi con le misure dei corpi di fabbrica e con le proporzioni che hanno dettato la composizione della città storica. Nessuno può negare che a partire dalle origini dell’architettura moderna, l’arte di costruire la città, come la intendeva Camillo Sitte, e di originare lo spazio urbano come spazio esterno esteticamente riconoscibile e fruibile, è stata sacrificata in nome di una ideologia del paesaggio urbano caotico, pseudo democratico e pseudo umano. Klaus Theo Brenner e Massimo Fagioli nel loro saggio introduttivo intitolato “Razionalisti berlinesi” parlano di “[...] una architettura che affianchi il principio della ragione al desiderio di bellezza e grazia, un’architettura che nell’oggetto architettonico veda l’edificio, da intendersi solo come parte della città, un’architettura che riconosca lo spazio pubblico delle strade e delle piazze come luogo di riferimento primario per la forma degli edifici e che, in ultimo, renda visibile la storia della città europea nei suoi molteplici e complessi aspetti, quale punto di riferimento del progetto contemporaneo” (K. T. Brenner, M. Fagioli, Razionalisti berlinesi, in AA.VV. Razionalisti berlinesi, Aion Edizioni, Firenze 2010, p. 6). L’obbiettivo dell’esercitazione didattica vuole essere quello di prefigurare un modello progettuale valido per la stesura di una proposta concreta di un intervento di recupero urbano da applicare al brano di città, oggetto di intervento, che è caratterizzato da un mancato disegno planimetrico e da una edificazione “casuale”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.