E' il caso di chiarire subito in che senso il Novecento lo possiamo considerare un'età d'oro del teatro. E' evidente che può esserlo innanzitutto per il fatto di aver costituito un vertice, un culmine, nella vicenda plurisecolare della scena occidentale: basterebbe pensare all'avvento della Regia, modalità produttivo-creativa del tutto inedita ed essenzialmente novecentesca – comunque la si pensi sui suoi precorrimenti nel XIX secolo - alla tradizione dei registi-pedogoghi, a figure come Craig, Appia, Stanislavskij, Mejerchol'd, Artaud, Brecht, giù giù fino a Grotowski, Kantor, Brook, Mnouchkine, Barba -per non citare che alcuni dei più celebri. In fondo, in questa accezione, l'idea del Novecento come età d'oro del teatro è tutt'altro che inedita. Tuttavia la stessa immagine può essere utilizzata anche e soprattutto per mettere in rilievo un altro carattere del Novecento teatrale che è almeno altrettanto importante di quello riguardante l'eccellenza e l'originalità artistiche appena ricordate: e cioè il carattere della crisi. Mentre da un lato ha rappresentato indubbiamente un apogeo nella storia del teatro, dall'altro e per le stesse ragioni il Novecento è stato anche un'epoca che ha messo in crisi profondamente il teatro, di più, che ha reso possibile pensare la crisi del teatro, addirittura la sua stessa scomparsa. Nella I parte, Novecento e oltre: questioni, si affrontano punti nodali del dibattito attuale sul teatro e sulla sua crisi, come il superamento del testo e del testocentrismo, la performance, la corporeità, l'uso politico, l'attore e la sua biografia, la riscoperta della Commedia dell'Arte. Trasversale ai vari temi risulta quella che possiamo chiamare la “svolta performativa”, o performativizzazione, fenomeno in atto da tempo per la verità, con vasti e profondi riflessi sulla scrittura drammatica, sulla messa in scena e sul lavoro dell'attore. Nella II parte, Novecento e oltre: punti di riferimento, si ritorna in maniera approfondita e criticamente aggiornata su alcune figure chiave del Novecento teatrale, da Artaud a Decroux, da Beckett a Grotowski, per discuterne il lascito attuale su temi cruciali come la corporeità, di nuovo, la vocalità, la compressione ed essenzializzazione della forma, l'interazione scrittura drammatica-scrittura scenica, la questione della tecnica e della trasmissione dell'esperienza. La III parte, Il Nuovo Teatro Italiano: l'età d'oro e il suo dopo, quasi un libro nel libro, ritorna a un altro tema d'elezione dello scrivente come il nuovo teatro, limitandosi in questo caso all'orizzonte della scena italiana e ripercorrendone le almeno tre generazioni: da pionieri come Luigi Nono a padri fondatori come Leo de Berardinis e Giuliano Scabia, da presenze anomale ma feconde come Pier Paolo Pasolini e Moni Ovadia a fenomeni della seconda e terza generazione, come Il Teatro delle Albe di Ravenna, con Marco Martinelli e Ermanna Montanari, Pippo Delbono, Ascanio Celestini, il movimento dei Teatri Invisibili, e infine due realtà d'eccellenza del panorama attuale, come il Workcenter di Pontedera fondato da Grotowski nel 1986, fenomeno italiano anch'esso, nonostante tutto, e la Socìetas Raffaello Sanzio, forse il gruppo oggi più noto e richiesto nel mondo.
Marco De Marinis (2013). Il teatro dopo l'età d'oro. Novecento e oltre. Roma : Bulzoni.
Il teatro dopo l'età d'oro. Novecento e oltre
DE MARINIS, MARCO
2013
Abstract
E' il caso di chiarire subito in che senso il Novecento lo possiamo considerare un'età d'oro del teatro. E' evidente che può esserlo innanzitutto per il fatto di aver costituito un vertice, un culmine, nella vicenda plurisecolare della scena occidentale: basterebbe pensare all'avvento della Regia, modalità produttivo-creativa del tutto inedita ed essenzialmente novecentesca – comunque la si pensi sui suoi precorrimenti nel XIX secolo - alla tradizione dei registi-pedogoghi, a figure come Craig, Appia, Stanislavskij, Mejerchol'd, Artaud, Brecht, giù giù fino a Grotowski, Kantor, Brook, Mnouchkine, Barba -per non citare che alcuni dei più celebri. In fondo, in questa accezione, l'idea del Novecento come età d'oro del teatro è tutt'altro che inedita. Tuttavia la stessa immagine può essere utilizzata anche e soprattutto per mettere in rilievo un altro carattere del Novecento teatrale che è almeno altrettanto importante di quello riguardante l'eccellenza e l'originalità artistiche appena ricordate: e cioè il carattere della crisi. Mentre da un lato ha rappresentato indubbiamente un apogeo nella storia del teatro, dall'altro e per le stesse ragioni il Novecento è stato anche un'epoca che ha messo in crisi profondamente il teatro, di più, che ha reso possibile pensare la crisi del teatro, addirittura la sua stessa scomparsa. Nella I parte, Novecento e oltre: questioni, si affrontano punti nodali del dibattito attuale sul teatro e sulla sua crisi, come il superamento del testo e del testocentrismo, la performance, la corporeità, l'uso politico, l'attore e la sua biografia, la riscoperta della Commedia dell'Arte. Trasversale ai vari temi risulta quella che possiamo chiamare la “svolta performativa”, o performativizzazione, fenomeno in atto da tempo per la verità, con vasti e profondi riflessi sulla scrittura drammatica, sulla messa in scena e sul lavoro dell'attore. Nella II parte, Novecento e oltre: punti di riferimento, si ritorna in maniera approfondita e criticamente aggiornata su alcune figure chiave del Novecento teatrale, da Artaud a Decroux, da Beckett a Grotowski, per discuterne il lascito attuale su temi cruciali come la corporeità, di nuovo, la vocalità, la compressione ed essenzializzazione della forma, l'interazione scrittura drammatica-scrittura scenica, la questione della tecnica e della trasmissione dell'esperienza. La III parte, Il Nuovo Teatro Italiano: l'età d'oro e il suo dopo, quasi un libro nel libro, ritorna a un altro tema d'elezione dello scrivente come il nuovo teatro, limitandosi in questo caso all'orizzonte della scena italiana e ripercorrendone le almeno tre generazioni: da pionieri come Luigi Nono a padri fondatori come Leo de Berardinis e Giuliano Scabia, da presenze anomale ma feconde come Pier Paolo Pasolini e Moni Ovadia a fenomeni della seconda e terza generazione, come Il Teatro delle Albe di Ravenna, con Marco Martinelli e Ermanna Montanari, Pippo Delbono, Ascanio Celestini, il movimento dei Teatri Invisibili, e infine due realtà d'eccellenza del panorama attuale, come il Workcenter di Pontedera fondato da Grotowski nel 1986, fenomeno italiano anch'esso, nonostante tutto, e la Socìetas Raffaello Sanzio, forse il gruppo oggi più noto e richiesto nel mondo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.