Al centro di uno dei testi più celebri e celebrati della letteratura fantastica – Ligeia di Edgar Allan Poe – si trova una stanza le cui pareti sono ricoperte da un pesante tessuto su cui spiccano enigmatici arabeschi disegnati in modo da cambiare aspetto col variare della posizione dell’osservatore e da proiettarsi prodigiosamente nello spazio in cui questi si trova. Prendendo le mosse da questa stanza ed interpretando i suoi inquietanti drappeggi alla luce della concezione freudiana dell’Unheimliches, l’innovativo percorso teorico che apre questo volume suggerisce la possibilità di considerare la narrazione fantastica come una sorta di anamorfosi letteraria, «controforma» straniante che imbraccia le armi del realismo al fine paradossale di dimostrare che il preteso naturalismo della rappresentazione e la posizione stessa del soggetto/lettore si reggono su una complessa macchina di artifici. I capitoli successivi – ciascuno dedicato ad un classico tema del perturbante – mettono alla prova l’utilità critica di questa proposta teorica concentrandosi sugli autori più rappresentativi di quella cruciale fase di passaggio che il fantastico italiano attraversa a cavallo fra Otto e Novecento. In questa nuova prospettiva, i doppi e i revenants, i simulacri animati e i corpi in frammenti che si affollano nell’opera di Capuana, Papini e Pirandello rivelano tutto il loro potenziale metanarrativo, e divengono altrettante figurazioni en abyme della natura intrinsecamente perturbante della comunicazione letteraria, emblemi anamorfici di quell’imprudente commercio con i fantasmi e con la morte che sono la scrittura e la lettura di un testo.
Angelo M. Mangini (2007). Letteratura come anamorfosi. Teoria e prassi del fantastico nell’Italia del primo Novecento,. Bologna : BONONIA UNIVERSITY PRESS.
Letteratura come anamorfosi. Teoria e prassi del fantastico nell’Italia del primo Novecento,
MANGINI, ANGELO MARIA
2007
Abstract
Al centro di uno dei testi più celebri e celebrati della letteratura fantastica – Ligeia di Edgar Allan Poe – si trova una stanza le cui pareti sono ricoperte da un pesante tessuto su cui spiccano enigmatici arabeschi disegnati in modo da cambiare aspetto col variare della posizione dell’osservatore e da proiettarsi prodigiosamente nello spazio in cui questi si trova. Prendendo le mosse da questa stanza ed interpretando i suoi inquietanti drappeggi alla luce della concezione freudiana dell’Unheimliches, l’innovativo percorso teorico che apre questo volume suggerisce la possibilità di considerare la narrazione fantastica come una sorta di anamorfosi letteraria, «controforma» straniante che imbraccia le armi del realismo al fine paradossale di dimostrare che il preteso naturalismo della rappresentazione e la posizione stessa del soggetto/lettore si reggono su una complessa macchina di artifici. I capitoli successivi – ciascuno dedicato ad un classico tema del perturbante – mettono alla prova l’utilità critica di questa proposta teorica concentrandosi sugli autori più rappresentativi di quella cruciale fase di passaggio che il fantastico italiano attraversa a cavallo fra Otto e Novecento. In questa nuova prospettiva, i doppi e i revenants, i simulacri animati e i corpi in frammenti che si affollano nell’opera di Capuana, Papini e Pirandello rivelano tutto il loro potenziale metanarrativo, e divengono altrettante figurazioni en abyme della natura intrinsecamente perturbante della comunicazione letteraria, emblemi anamorfici di quell’imprudente commercio con i fantasmi e con la morte che sono la scrittura e la lettura di un testo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.