Il sistema penale nel suo complesso, inteso come apparato giudiziario rinforzato dalla macchina burocratica costituita da forze dell’ordine ed amministrazione penitenziaria, appare, in prospettiva sistemica ed istituzionale, contemporaneamente come il luogo e il processo entro cui ed attraverso cui si moltiplica il numero di individui a-sociali e recidivi, a dispetto del principio che vorrebbe accanto alla punizione anche la promozione del reinserimento sociale. Emerge, quindi, come le promesse su cui tale sistema si regge ufficialmente non solo vengano ‘tradite’ nei fatti, ma in qualche modo vedano una stretta connessione tra ‘tradimento’ e logiche istituzionali che informano e sorreggono il sistema stesso. In termini neo-istituzionalisti, il sistema penale - inteso in senso ampio - opera attraverso una serie di frames (schemi) cognitivi e regolativi ad alto potenziale generativo di visioni e modi dell’azione. Tali schemi sono in grado di dare vita a definizioni di crimine e di pena che si trovano così ad essere costruite socialmente, piuttosto che ‘oggettivamente’ rinvenibili, ed assumono un’efficacia normativa tale da prescrivere ed informare, in talune condizioni, l’andamento dei servizi ed il comportamento degli attori al loro interno. Non sarebbe pertanto una sorpresa constatare, con spietata regolarità, la scarsa rispondenza delle azioni realizzate entro il sistema penale rispetto a finalità quali il reinserimento sociale e, per certi versi, la stessa dissuasione a compiere atti criminosi. Con facilità si può osservare un circolo vizioso che sembra aver accelerato con particolare forza nell’ultimo decennio del secolo scorso: si osservano variazioni concomitanti piuttosto chiare tra aumento della popolazione detenuta e condannata, incremento della percezione sociale di insicurezza, inasprimento della domanda sociale di tipo punitivo (fortemente ‘incoraggiata’ per via politica). Questa sembrerebbe, pertanto, la reale catena di relazioni che guida il sistema penale, piuttosto che l’andamento e l’evoluzione endogena del fenomeno criminoso. Per ciò che riguarda, in particolare, la realtà carceraria, si nota come all’aumento della popolazione detenuta corrisponda un ampliamento delle popolazioni-bersaglio ristrette, termine che indica “le categorie sociali più esposte al rischio ‘penitenziario’, del quale si sa che colpisce di preferenza i giovani, gli immigrati, i meno privilegiati” . Gli stranieri in carcere o, meglio, la consistenza e le modalità del loro ingresso e del loro iter penal-penitenziario costituiscono una sorta di cartina di tornasole della genesi sociale dei tassi di carcerizzazione e, inoltre, consentono di riflettere sugli aspetti paradossali dell’integrazione per via penale. Il contesto locale ha la possibilità di costruire propri discorsi e frame che possono modificare le correnti e le pressioni isomorfiche del sistema istituzionale, sovrapponendovi una ‘comunità di pratica’ che agisce (può agire) a livello sia professionale (codice dei servizi), sia civico (codice della sensibilizzazione sociale).

Uno sguardo dal carcere: l’integrazione paradossale, l’integrazione negata, le politiche di livello locale

MARTELLI, ALESSANDRO
2004

Abstract

Il sistema penale nel suo complesso, inteso come apparato giudiziario rinforzato dalla macchina burocratica costituita da forze dell’ordine ed amministrazione penitenziaria, appare, in prospettiva sistemica ed istituzionale, contemporaneamente come il luogo e il processo entro cui ed attraverso cui si moltiplica il numero di individui a-sociali e recidivi, a dispetto del principio che vorrebbe accanto alla punizione anche la promozione del reinserimento sociale. Emerge, quindi, come le promesse su cui tale sistema si regge ufficialmente non solo vengano ‘tradite’ nei fatti, ma in qualche modo vedano una stretta connessione tra ‘tradimento’ e logiche istituzionali che informano e sorreggono il sistema stesso. In termini neo-istituzionalisti, il sistema penale - inteso in senso ampio - opera attraverso una serie di frames (schemi) cognitivi e regolativi ad alto potenziale generativo di visioni e modi dell’azione. Tali schemi sono in grado di dare vita a definizioni di crimine e di pena che si trovano così ad essere costruite socialmente, piuttosto che ‘oggettivamente’ rinvenibili, ed assumono un’efficacia normativa tale da prescrivere ed informare, in talune condizioni, l’andamento dei servizi ed il comportamento degli attori al loro interno. Non sarebbe pertanto una sorpresa constatare, con spietata regolarità, la scarsa rispondenza delle azioni realizzate entro il sistema penale rispetto a finalità quali il reinserimento sociale e, per certi versi, la stessa dissuasione a compiere atti criminosi. Con facilità si può osservare un circolo vizioso che sembra aver accelerato con particolare forza nell’ultimo decennio del secolo scorso: si osservano variazioni concomitanti piuttosto chiare tra aumento della popolazione detenuta e condannata, incremento della percezione sociale di insicurezza, inasprimento della domanda sociale di tipo punitivo (fortemente ‘incoraggiata’ per via politica). Questa sembrerebbe, pertanto, la reale catena di relazioni che guida il sistema penale, piuttosto che l’andamento e l’evoluzione endogena del fenomeno criminoso. Per ciò che riguarda, in particolare, la realtà carceraria, si nota come all’aumento della popolazione detenuta corrisponda un ampliamento delle popolazioni-bersaglio ristrette, termine che indica “le categorie sociali più esposte al rischio ‘penitenziario’, del quale si sa che colpisce di preferenza i giovani, gli immigrati, i meno privilegiati” . Gli stranieri in carcere o, meglio, la consistenza e le modalità del loro ingresso e del loro iter penal-penitenziario costituiscono una sorta di cartina di tornasole della genesi sociale dei tassi di carcerizzazione e, inoltre, consentono di riflettere sugli aspetti paradossali dell’integrazione per via penale. Il contesto locale ha la possibilità di costruire propri discorsi e frame che possono modificare le correnti e le pressioni isomorfiche del sistema istituzionale, sovrapponendovi una ‘comunità di pratica’ che agisce (può agire) a livello sia professionale (codice dei servizi), sia civico (codice della sensibilizzazione sociale).
2004
Carcere e detenuti stranieri. Percorsi trattamentali e reinserimento
189
204
A. Martelli
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