Non sono molti i saggi che, affrontando i temi del welfare locale in prospettiva storica, si sono soffermati sulla seconda metà del Novecento. Possiamo ricordare il lavoro appena uscito di Massimiliano Paniga sull'Ente comunale di assistenza (Eca) di Milano1, quello meno recente di Magagnoli, Sigman, Trionfini sull'esperienza municipale modenese e la creazione in quel territorio di un sistema di protezione sociale2, oppure il libro curato da Michela Manesso sulle vicende dell'Omni3, che nella seconda parte analizza l'operato dell'ente in tre importanti contesti territoriali: Venezia, Roma e Napoli. Vi sono, infine, alcuni volumi incentrati sul contributo degli istituti religiosi alla costruzione di reti sociali e di assistenza, i quali, tuttavia, coprono un arco cronologico che quasi mai supera il 19504. La non voluminosa ricerca storica sul welfare5 ha, infatti, quasi sempre privilegiato un approccio di tipo nazionale6 spesso associando l'Italia agli altri stati meridionali nel cosiddetto modello mediterraneo7. Considerazioni analoghe si possono fare sui percorsi di analisi affermatesi negli altri paesi europei8. I volumi citati in apertura, pur nella loro diversità, convergono su alcune conclusioni: il protagonismo delle comunità locali nella costruzione di una visione originale del welfare e nell'individuazione di percorsi di innovazione sociale, che è complementare alla debolezza della elaborazione compiuta a livello nazionale; la scarsa attenzione ai temi della sostenibilità dei costi, la quale spesso viene risolta nell'antagonismo fra amministrazioni comunali, enti nazionali da una parte e governo centrale dall'altra. Il nostro saggio si inserisce in questo filone di letteratura sviluppando i casi di Verona e Bologna, in quanto espressione di due subculture, quella cattolica e quella comunista9, tradizionalmente antagoniste ma nello stesso tempo molto attente ai temi dell'assistenza e della coesione sociale. Oggetto della nostra indagine sono le due istituzioni che, pur nella loro diversità, sembrano contribuire più di altre alla costruzione di un welfare locale nel primo dopoguerra, l'amministrazione pubblica e l'Ente comunale di assistenza. Ci soffermeremo sul periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta perché in esso si delineano alcuni passaggi fondamentali. Il primo riguarda il ruolo che i diversi protagonisti si ritagliano: i Comuni, o almeno alcuni di essi, da semplici erogatori di servizi iniziano a proporsi come centri di innovazione sociale; al contrario i numerosi enti statali che l'epoca fascista aveva lasciato in eredità perdono con il progredire degli anni quella capacità innovativa che pur avevano manifestato nella fase iniziale della loro storia. Il secondo attiene all'affermarsi della società dei consumi, la quale impone a tutte le istituzioni coinvolte nei progetti di assistenza di confrontarsi non solo con l'universalismo dei diritti di cittadinanza ma anche con quello del consumo che si esprime con la libertà di scegliere e comperare ciò che si vuole senza alcuna mediazione se non quella del denaro. Può sembrare contraddittorio adottare il paradigma della società dei consumi per analizzare i servizi forniti a coloro che da essa restano esclusi, in quanto privi del fondamentale strumento di mediazione, il denaro. Resta però il fatto che tutti i protagonisti del welfare locale si confrontano con i nuovi desideri che essa produce, trovando fra l'altro soluzioni originali. Infatti, l'obiettivo originario di fornire aiuto a chi è in difficoltà progressivamente assume una connotazione più ampia e arriva ad includere l'idea di contribuire al miglioramento della qualità della vita di tutti coloro che vivono in un territorio. E' offrendo questa nuova prospettiva che il welfare comunale entra nell'epoca della società dei consumi. Così facendo si va anche ad una riscrittura delle basi culturali del welfare italiano che parte dal territorio e pertanto si potrebbe dire di tipo bottom up. Infatti, se la motivazione ideologica degli interventi in epoca fascista andava ricercata negli ideali di grandezza della nazione e di superiorità della razza, quella dell'epoca repubblicana incentrata sui diritti di cittadinanza, restò in parte schiacciata dall'impossibilità di riproporre, in un paese con risorse ancora scarse come l'Italia, il generoso modello inglese di Beveridge. Questo vuoto venne così colmato a livello comunale con l'idea di una migliore qualità della vita per l'intera communità. Il saggio, dopo aver proposto un primo paragrafo in cui si descrive l'eredità che l'epoca precedente consegna agli anni cinquanta, propone un'analisi aggregata delle politiche sociali dei Comuni (nel paragrafo 2) e dell'Eca (nel paragrafo 3). Nei paragrafi 4 e 5, invece, l'attenzione viene portata a due diverse aree dell'Italia centro settentrionale, rispettivamente Bologna e Verona, allo scopo di confrontare le strategie sia dell'Eca sia delle amministrazioni comunali. L'ultimo paragrafo è dedicato alle conclusioni della ricerca, che verranno lette soprattutto in termini di capacità dei territori di produrre innovazione sociale e di rispondere alle sfide della società dei consumi.

Patrizia Battilani, Francesca Fauri (2013). Il welfare locale dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. Bologna : IL MULINO.

Il welfare locale dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta

BATTILANI, PATRIZIA;FAURI, FRANCESCA
2013

Abstract

Non sono molti i saggi che, affrontando i temi del welfare locale in prospettiva storica, si sono soffermati sulla seconda metà del Novecento. Possiamo ricordare il lavoro appena uscito di Massimiliano Paniga sull'Ente comunale di assistenza (Eca) di Milano1, quello meno recente di Magagnoli, Sigman, Trionfini sull'esperienza municipale modenese e la creazione in quel territorio di un sistema di protezione sociale2, oppure il libro curato da Michela Manesso sulle vicende dell'Omni3, che nella seconda parte analizza l'operato dell'ente in tre importanti contesti territoriali: Venezia, Roma e Napoli. Vi sono, infine, alcuni volumi incentrati sul contributo degli istituti religiosi alla costruzione di reti sociali e di assistenza, i quali, tuttavia, coprono un arco cronologico che quasi mai supera il 19504. La non voluminosa ricerca storica sul welfare5 ha, infatti, quasi sempre privilegiato un approccio di tipo nazionale6 spesso associando l'Italia agli altri stati meridionali nel cosiddetto modello mediterraneo7. Considerazioni analoghe si possono fare sui percorsi di analisi affermatesi negli altri paesi europei8. I volumi citati in apertura, pur nella loro diversità, convergono su alcune conclusioni: il protagonismo delle comunità locali nella costruzione di una visione originale del welfare e nell'individuazione di percorsi di innovazione sociale, che è complementare alla debolezza della elaborazione compiuta a livello nazionale; la scarsa attenzione ai temi della sostenibilità dei costi, la quale spesso viene risolta nell'antagonismo fra amministrazioni comunali, enti nazionali da una parte e governo centrale dall'altra. Il nostro saggio si inserisce in questo filone di letteratura sviluppando i casi di Verona e Bologna, in quanto espressione di due subculture, quella cattolica e quella comunista9, tradizionalmente antagoniste ma nello stesso tempo molto attente ai temi dell'assistenza e della coesione sociale. Oggetto della nostra indagine sono le due istituzioni che, pur nella loro diversità, sembrano contribuire più di altre alla costruzione di un welfare locale nel primo dopoguerra, l'amministrazione pubblica e l'Ente comunale di assistenza. Ci soffermeremo sul periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta perché in esso si delineano alcuni passaggi fondamentali. Il primo riguarda il ruolo che i diversi protagonisti si ritagliano: i Comuni, o almeno alcuni di essi, da semplici erogatori di servizi iniziano a proporsi come centri di innovazione sociale; al contrario i numerosi enti statali che l'epoca fascista aveva lasciato in eredità perdono con il progredire degli anni quella capacità innovativa che pur avevano manifestato nella fase iniziale della loro storia. Il secondo attiene all'affermarsi della società dei consumi, la quale impone a tutte le istituzioni coinvolte nei progetti di assistenza di confrontarsi non solo con l'universalismo dei diritti di cittadinanza ma anche con quello del consumo che si esprime con la libertà di scegliere e comperare ciò che si vuole senza alcuna mediazione se non quella del denaro. Può sembrare contraddittorio adottare il paradigma della società dei consumi per analizzare i servizi forniti a coloro che da essa restano esclusi, in quanto privi del fondamentale strumento di mediazione, il denaro. Resta però il fatto che tutti i protagonisti del welfare locale si confrontano con i nuovi desideri che essa produce, trovando fra l'altro soluzioni originali. Infatti, l'obiettivo originario di fornire aiuto a chi è in difficoltà progressivamente assume una connotazione più ampia e arriva ad includere l'idea di contribuire al miglioramento della qualità della vita di tutti coloro che vivono in un territorio. E' offrendo questa nuova prospettiva che il welfare comunale entra nell'epoca della società dei consumi. Così facendo si va anche ad una riscrittura delle basi culturali del welfare italiano che parte dal territorio e pertanto si potrebbe dire di tipo bottom up. Infatti, se la motivazione ideologica degli interventi in epoca fascista andava ricercata negli ideali di grandezza della nazione e di superiorità della razza, quella dell'epoca repubblicana incentrata sui diritti di cittadinanza, restò in parte schiacciata dall'impossibilità di riproporre, in un paese con risorse ancora scarse come l'Italia, il generoso modello inglese di Beveridge. Questo vuoto venne così colmato a livello comunale con l'idea di una migliore qualità della vita per l'intera communità. Il saggio, dopo aver proposto un primo paragrafo in cui si descrive l'eredità che l'epoca precedente consegna agli anni cinquanta, propone un'analisi aggregata delle politiche sociali dei Comuni (nel paragrafo 2) e dell'Eca (nel paragrafo 3). Nei paragrafi 4 e 5, invece, l'attenzione viene portata a due diverse aree dell'Italia centro settentrionale, rispettivamente Bologna e Verona, allo scopo di confrontare le strategie sia dell'Eca sia delle amministrazioni comunali. L'ultimo paragrafo è dedicato alle conclusioni della ricerca, che verranno lette soprattutto in termini di capacità dei territori di produrre innovazione sociale e di rispondere alle sfide della società dei consumi.
2013
Consumare il welfare. L'esperienza italiana del secondo novecento
111
148
Patrizia Battilani, Francesca Fauri (2013). Il welfare locale dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. Bologna : IL MULINO.
Patrizia Battilani; Francesca Fauri
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