Il mondo dell’architettura, della progettazione, del planning sempre più appare pervaso da una forte forma di autoreferenzialità. Sconnesso dal sociale e dalle sue profondissime trasformazioni da un lato, e dall’altro dall’assenza di ciò che qui provvisoriamente voglio chiamare il senso delle generazioni. L’esempio più macroscopico consiste nell’assecondare la tendenza allo sprawl, foriera di una autentica catastrofe economica, sociologica e antropologica. Il presente volume dà conto di un movimento allo statu nascenti. Ugo Sasso, Witti Mitterer sono stati (e Witti è ancora) alla testa di un movimento che, attraverso un nuovo modo di costruire, vuole contribuire a cambiare e a salvare quel che resta del nostro territorio e, in definitiva, del nostro mondo. Un mondo profondamente ingiusto, dove gli interessi di pochi affossano la vita e la salute di miliardi di soggetti. È qui che questo volume dà conto di una svolta davvero radicale: la bioarchitettura abbandona una visione puramente tecnica e sceglie una vera e propria antropologia integrale, che si connette a quanto di più avveduto e intelligente e lungimirante il nostro sistema della cultura ha prodotto (penso a un Lester R. Brown, ad esempio). Tutto questo ci fa capire che dobbiamo spezzare una lancia in favore di un approccio di tipo globale, planetario. Perché, bisogna ricordarlo, il mondo non finisce con l’Unione Europea, con lo spazio Schengen e probabilmente proprio dove cambia la lingua, il colore della pelle, il modo di pensare, di sentire, di pregare il mondo si fa più ampio, più giusto. Costruire, progettare, conservare, con materiali buoni, puliti e giusti, non sottrarre più metri quadrati all’agricoltura, sono solo un mezzo per diffondere una visione della vita in cui vi sia, vi debba essere, spazio e diritti per tutti. Molta utopia, fortunatamente, è sottesa a questo volume, che raccoglie al proprio interno contributi di scienziati di caratura internazionale e racconta, successivamente, buone pratiche alla portata di tutti. Penso ad un patrimonio abitativo che si possa dire bello poiché tramandabile nella sua resistenza, costruito secondo criteri che vedano anche nelle generazioni future il destinatario di scelte effettuate nell’immediato. In termini di mero calcolo costi-benefici, adattare non significa non guadagnare; si può progettare una riqualificazione che offra pure un’estetica che tuttavia abbia più a che vedere con il buon senso nella scelta dei materiali che non con la logica del surplus. Una residenza ben costruita, che offra gradevolezza e pochi semplici accorgimenti legati alle necessità dettate dall’età o dalla differente provenienza geografica culturale, per rendere più facile l’abitare. Certo è che un progetto di tale portata richiederebbe innanzitutto una profonda trasformazione delle logiche imperanti di urbanisti e pianificatori. È questo, almeno così mi pare, che il presente volume, nella sua ricca e variegata articolazione, vuole affermare con forza: il dibattito è aperto, ma il tempo delle decisioni deve essere considerato imminente.

Dare voce / Giovanni Pieretti. - STAMPA. - (2013), pp. 9-10.

Dare voce

PIERETTI, GIOVANNI
2013

Abstract

Il mondo dell’architettura, della progettazione, del planning sempre più appare pervaso da una forte forma di autoreferenzialità. Sconnesso dal sociale e dalle sue profondissime trasformazioni da un lato, e dall’altro dall’assenza di ciò che qui provvisoriamente voglio chiamare il senso delle generazioni. L’esempio più macroscopico consiste nell’assecondare la tendenza allo sprawl, foriera di una autentica catastrofe economica, sociologica e antropologica. Il presente volume dà conto di un movimento allo statu nascenti. Ugo Sasso, Witti Mitterer sono stati (e Witti è ancora) alla testa di un movimento che, attraverso un nuovo modo di costruire, vuole contribuire a cambiare e a salvare quel che resta del nostro territorio e, in definitiva, del nostro mondo. Un mondo profondamente ingiusto, dove gli interessi di pochi affossano la vita e la salute di miliardi di soggetti. È qui che questo volume dà conto di una svolta davvero radicale: la bioarchitettura abbandona una visione puramente tecnica e sceglie una vera e propria antropologia integrale, che si connette a quanto di più avveduto e intelligente e lungimirante il nostro sistema della cultura ha prodotto (penso a un Lester R. Brown, ad esempio). Tutto questo ci fa capire che dobbiamo spezzare una lancia in favore di un approccio di tipo globale, planetario. Perché, bisogna ricordarlo, il mondo non finisce con l’Unione Europea, con lo spazio Schengen e probabilmente proprio dove cambia la lingua, il colore della pelle, il modo di pensare, di sentire, di pregare il mondo si fa più ampio, più giusto. Costruire, progettare, conservare, con materiali buoni, puliti e giusti, non sottrarre più metri quadrati all’agricoltura, sono solo un mezzo per diffondere una visione della vita in cui vi sia, vi debba essere, spazio e diritti per tutti. Molta utopia, fortunatamente, è sottesa a questo volume, che raccoglie al proprio interno contributi di scienziati di caratura internazionale e racconta, successivamente, buone pratiche alla portata di tutti. Penso ad un patrimonio abitativo che si possa dire bello poiché tramandabile nella sua resistenza, costruito secondo criteri che vedano anche nelle generazioni future il destinatario di scelte effettuate nell’immediato. In termini di mero calcolo costi-benefici, adattare non significa non guadagnare; si può progettare una riqualificazione che offra pure un’estetica che tuttavia abbia più a che vedere con il buon senso nella scelta dei materiali che non con la logica del surplus. Una residenza ben costruita, che offra gradevolezza e pochi semplici accorgimenti legati alle necessità dettate dall’età o dalla differente provenienza geografica culturale, per rendere più facile l’abitare. Certo è che un progetto di tale portata richiederebbe innanzitutto una profonda trasformazione delle logiche imperanti di urbanisti e pianificatori. È questo, almeno così mi pare, che il presente volume, nella sua ricca e variegata articolazione, vuole affermare con forza: il dibattito è aperto, ma il tempo delle decisioni deve essere considerato imminente.
2013
Costruire sostenibilità: crisi ambientale e bioarchitettura
9
10
Dare voce / Giovanni Pieretti. - STAMPA. - (2013), pp. 9-10.
Giovanni Pieretti
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/163041
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