Nel presente lavoro si presentano le ricerche archeozoologiche relative ai livelli del Bronzo antico I del settore B dell’abitato del Lavagnone. Tra i mammiferi domestici prevalgono nettamente gli ovicaprini (52,7% del NR e 39,3% del NMI) con una sostanziale equivalenza tra le due specie. Lo sfruttamento degli ovicaprini risulta pertanto abbastanza bilanciato, con una prevalenza dell’interesse verso lo sfruttamento della carne, ma con caratteristiche tali da indiziare anche lo sfruttamento delle risorse secondarie. I suini domestici, sfruttati esclusivamente per la carne, costituiscono il secondo taxon dal punto di vista quantitativo (23,4% del NR e 26,9% del NMI). La maggior parte degli individui veniva macellata in età giovanile o subadulta, in particolare i maschi, e moltissimi individui non raggiungevano l’anno di età, secondo un modello di sfruttamento non finalizzato al massimo della quantità di carne producibile ma, verosimilmente, alla sua qualità. Tale “modello” evidentemente rappresenta una scelta di tipo “culturale” da parte delle popolazioni dell’età del Bronzo che trova conferma anche in altri contesti come ad esempio a Barche (Riedel 1976). Tra le principali specie domestiche i bovini sono quelli meno abbondanti rispetto alle altre specie (20,6% del NR e 21,2% del NMI). La composizione della popolazione dei bovini, dal punto di vista delle classi di età, evidenzia uno sfruttamento abbastanza equilibrato con circa la metà degli individui macellato per la carne in età giovanile o subadulta ed altrettanti individui mantenuti in vita fino all’età adulta per l’utilizzo anche delle altre risorse ottenibili da questa specie, quali il latte e la forza-lavoro. Completa il quadro dei mammiferi domestici il cane (1,0% del NR e 4,3% del NMI) che normalmente non è utilizzato a fini alimentari anche se a Lavagnone, così come sempre più spesso negli ultimi tempi viene segnalato in molti siti di età preistorica e protostorica, il consumo della carne di questo animale è un evento affatto raro. La percentuale di mammiferi selvatici varia tra 2,3% se valutata sulla base del numero dei resti (Tab. 29) e l’8,3% se valutata in numero minimo degli individui (che tende per definizione a sopravvalutare le specie poco numerose). L’attività venatoria quindi non era molto praticata ed era rivolta principalmente al cervo (1,3% del NR escludendo i palchi e 3,4% del NMI) e al capriolo (0,3% del NR escludendo i palchi e 1,7% del NMI), seguiti dal cinghiale e dalla lepre appena rappresentati dal punto di vista quantitativo. I resti dei palchi dei cervi e dei caprioli, sia di quelli cacciati sia di quelli caduchi raccolti nei boschi, venivano utilizzati per scopi artigianali. Tra gli altri mammiferi selvatici sono testimoniati, inoltre, individui giovanili di gatto selvatico ed isolati resti di tasso e di riccio. I pochi resti testimonianti la pratica dell’uccellagione evidenziano la presenza della folaga e quella dell’oca selvatica e dell’airone cenerino. Si tratta di specie di uccelli che frequentano abitualmente zone umide quali laghi, fiumi ed estuari, la folaga in particolare nidifica in genere tra le canne e l’alta vegetazione acquatica. Oltre alla caccia, anche la pesca non sembra un’attività regolarmente praticata nell’economia di sussistenza dell’abitato. I pochi resti rinvenuti si riferiscono al luccio e alla tinca. Il luccio lo si trova normalmente sia in acque stagnanti e sia in acque correnti, mentre la tinca preferisce acque tranquille e ricche di densa vegetazione. Un’attività, invece, piuttosto praticata era la cattura delle testuggini palustri.

Archeozoologia dell'abitato del Lavagnone: settore B, i livelli del Bronzo antico I

CURCI, ANTONIO
2013

Abstract

Nel presente lavoro si presentano le ricerche archeozoologiche relative ai livelli del Bronzo antico I del settore B dell’abitato del Lavagnone. Tra i mammiferi domestici prevalgono nettamente gli ovicaprini (52,7% del NR e 39,3% del NMI) con una sostanziale equivalenza tra le due specie. Lo sfruttamento degli ovicaprini risulta pertanto abbastanza bilanciato, con una prevalenza dell’interesse verso lo sfruttamento della carne, ma con caratteristiche tali da indiziare anche lo sfruttamento delle risorse secondarie. I suini domestici, sfruttati esclusivamente per la carne, costituiscono il secondo taxon dal punto di vista quantitativo (23,4% del NR e 26,9% del NMI). La maggior parte degli individui veniva macellata in età giovanile o subadulta, in particolare i maschi, e moltissimi individui non raggiungevano l’anno di età, secondo un modello di sfruttamento non finalizzato al massimo della quantità di carne producibile ma, verosimilmente, alla sua qualità. Tale “modello” evidentemente rappresenta una scelta di tipo “culturale” da parte delle popolazioni dell’età del Bronzo che trova conferma anche in altri contesti come ad esempio a Barche (Riedel 1976). Tra le principali specie domestiche i bovini sono quelli meno abbondanti rispetto alle altre specie (20,6% del NR e 21,2% del NMI). La composizione della popolazione dei bovini, dal punto di vista delle classi di età, evidenzia uno sfruttamento abbastanza equilibrato con circa la metà degli individui macellato per la carne in età giovanile o subadulta ed altrettanti individui mantenuti in vita fino all’età adulta per l’utilizzo anche delle altre risorse ottenibili da questa specie, quali il latte e la forza-lavoro. Completa il quadro dei mammiferi domestici il cane (1,0% del NR e 4,3% del NMI) che normalmente non è utilizzato a fini alimentari anche se a Lavagnone, così come sempre più spesso negli ultimi tempi viene segnalato in molti siti di età preistorica e protostorica, il consumo della carne di questo animale è un evento affatto raro. La percentuale di mammiferi selvatici varia tra 2,3% se valutata sulla base del numero dei resti (Tab. 29) e l’8,3% se valutata in numero minimo degli individui (che tende per definizione a sopravvalutare le specie poco numerose). L’attività venatoria quindi non era molto praticata ed era rivolta principalmente al cervo (1,3% del NR escludendo i palchi e 3,4% del NMI) e al capriolo (0,3% del NR escludendo i palchi e 1,7% del NMI), seguiti dal cinghiale e dalla lepre appena rappresentati dal punto di vista quantitativo. I resti dei palchi dei cervi e dei caprioli, sia di quelli cacciati sia di quelli caduchi raccolti nei boschi, venivano utilizzati per scopi artigianali. Tra gli altri mammiferi selvatici sono testimoniati, inoltre, individui giovanili di gatto selvatico ed isolati resti di tasso e di riccio. I pochi resti testimonianti la pratica dell’uccellagione evidenziano la presenza della folaga e quella dell’oca selvatica e dell’airone cenerino. Si tratta di specie di uccelli che frequentano abitualmente zone umide quali laghi, fiumi ed estuari, la folaga in particolare nidifica in genere tra le canne e l’alta vegetazione acquatica. Oltre alla caccia, anche la pesca non sembra un’attività regolarmente praticata nell’economia di sussistenza dell’abitato. I pochi resti rinvenuti si riferiscono al luccio e alla tinca. Il luccio lo si trova normalmente sia in acque stagnanti e sia in acque correnti, mentre la tinca preferisce acque tranquille e ricche di densa vegetazione. Un’attività, invece, piuttosto praticata era la cattura delle testuggini palustri.
2013
Economia e Ambiente nell'Italia Padana dll'Età del Bronzo. Le indagini bioarcheologiche
107
132
Curci A.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/154198
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