Al centro del saggio vi è il panorama mediatico statunitense, in particolare il settimanale «Newsweek» che nel 2006 ha raccolto lettere ed e-mail dei soldati caduti in Iraq, poi pubblicate in un numero speciale, ma soprattutto ordinate in un archivio web corredato di fotografie, immagini video e registrazioni audio. L’operazione di «Newsweek» è interessante perché diviene uno dei tanti sintomi di una svolta nelle rappresentazioni e nella vendita della Seconda Guerra del Golfo che testimonia di una parziale ritrovata autonomia dei media statunitensi nei confronti del potere politico, e dunque anche di un tentativo di cambiamento della morfologia dell’opinione pubblica americana. Il settimanale si pone infatti esso stesso come testimone e narratore della storia fino a poco tempo fa mai raccontata, al contrario, spesso censurata, dei caduti in guerra, che vengono quindi trasformati in vittime di un conflitto che si inizia a trattare come «trauma culturale». E dunque, dal momento che il potere politico non solo non ha saputo vincere la guerra, ma non l’ha nemmeno saputa raccontare, «Newsweek» si è candidato a riscriverne la storia “dal basso”, in modo da salvare non tanto coloro che sono morti, bensì l’identità nazionale americana, l’umanità, il coraggio, ma anche le paure dei suoi eroi, e il dolore di chi rimane, tutti uniti insieme in quella che risulta essere una vera e propria «comunità di memoria e di rimembranza». Il conflitto iracheno viene allora raccontato non solo da chi l’ha vissuto direttamente e quotidianamente, subendone la violenza, ma anche la noia e la ripetizione, ma viene anche periodizzato: ciascuna missiva viene infatti inserita in una narrativa con cui si scandisce la guerra, che viene divisa in quattro fasi: da quella dell’invasione, all’inizio delle insurrezione, fino allo scoppio della guerra civile, passando per il tentativo di instaurare la democrazia con le elezioni. In questo modo il settimanale, investendo i propri lettori del ruolo di spettatori e testimoni, si riappropria non solo della storia ma anche della memoria della guerra, trovando un posto al dolore causato e provato, identificando alcune delle sue vittime, soprattutto definendo la relazione che queste intrattengono con la comunità più ampia della nazione americana traumatizzata dalla guerra.
Titolo: | Le voci dei caduti: "Newsweek" e il trauma culturale della guerra in Iraq |
Autore/i: | DEMARIA, CRISTINA |
Autore/i Unibo: | |
Anno: | 2008 |
Titolo del libro: | Marketing e rappresentazione dei conflitti: media, opinione pubblica, costruzione del consenso |
Pagina iniziale: | 129 |
Pagina finale: | 170 |
Abstract: | Al centro del saggio vi è il panorama mediatico statunitense, in particolare il settimanale «Newsweek» che nel 2006 ha raccolto lettere ed e-mail dei soldati caduti in Iraq, poi pubblicate in un numero speciale, ma soprattutto ordinate in un archivio web corredato di fotografie, immagini video e registrazioni audio. L’operazione di «Newsweek» è interessante perché diviene uno dei tanti sintomi di una svolta nelle rappresentazioni e nella vendita della Seconda Guerra del Golfo che testimonia di una parziale ritrovata autonomia dei media statunitensi nei confronti del potere politico, e dunque anche di un tentativo di cambiamento della morfologia dell’opinione pubblica americana. Il settimanale si pone infatti esso stesso come testimone e narratore della storia fino a poco tempo fa mai raccontata, al contrario, spesso censurata, dei caduti in guerra, che vengono quindi trasformati in vittime di un conflitto che si inizia a trattare come «trauma culturale». E dunque, dal momento che il potere politico non solo non ha saputo vincere la guerra, ma non l’ha nemmeno saputa raccontare, «Newsweek» si è candidato a riscriverne la storia “dal basso”, in modo da salvare non tanto coloro che sono morti, bensì l’identità nazionale americana, l’umanità, il coraggio, ma anche le paure dei suoi eroi, e il dolore di chi rimane, tutti uniti insieme in quella che risulta essere una vera e propria «comunità di memoria e di rimembranza». Il conflitto iracheno viene allora raccontato non solo da chi l’ha vissuto direttamente e quotidianamente, subendone la violenza, ma anche la noia e la ripetizione, ma viene anche periodizzato: ciascuna missiva viene infatti inserita in una narrativa con cui si scandisce la guerra, che viene divisa in quattro fasi: da quella dell’invasione, all’inizio delle insurrezione, fino allo scoppio della guerra civile, passando per il tentativo di instaurare la democrazia con le elezioni. In questo modo il settimanale, investendo i propri lettori del ruolo di spettatori e testimoni, si riappropria non solo della storia ma anche della memoria della guerra, trovando un posto al dolore causato e provato, identificando alcune delle sue vittime, soprattutto definendo la relazione che queste intrattengono con la comunità più ampia della nazione americana traumatizzata dalla guerra. |
Data prodotto definitivo in UGOV: | 12-feb-2008 |
Data stato definitivo: | 13-lug-2017 |
Appare nelle tipologie: | 2.01 Capitolo / saggio in libro |