Questo volume è il risultato di uno studio in corso da ormai una decina di anni sul tema del patrimonio culturale come risorsa turistica. Iniziato come progetto di dottorato relativamente all’isola di Gorée, in Senegal, esteso successivamente ad un’altra realtà territoriale, Ilha de Moçambique, in Mozambico, è stato successivamente ampliato ramificando l’oggetto di studio in più sottotematiche che ruotano attorno al concetto generale di “isola degli schiavi” ossia quei luoghi insulari che hanno avuto un ruolo chiave nel corso della tratta degli schiavi e che di questo episodio portano ancora tracce architettoniche e culturali. La pluralità di argomenti connessi a questo concetto centrale connota la prima parte di questo volume con una evidente frammentarietà: questo aspetto è da leggersi come un tentativo di inquadrare il tema da molteplici punti di vista, seguendo tuttavia un approccio di studio prettamente geografico, nella speranza di offrire a chi legge un approfondimento su tutti quei temi che andranno poi a costituire la base teorica dei casi di studio presentati nella seconda parte del testo. L’interesse verso l’isola di Gorée è nato quando, durante il dottorato di ricerca, ho avuto modo di partecipare a un progetto, promosso dall’Associazione Arcobaleno di Rimini tra i mesi di giugno e luglio 2001, inteso a realizzare delle attività imprenditoriali sull’isola senegalese, da affidare alla gestione di alcuni senegalesi che da anni vivevano e lavoravano a Rimini. L’assunto di partenza dell’Associazione Arcobaleno era che il capitale conoscitivo accumulato da questi migranti, insieme alla mentalità imprenditoriale acquisita negli anni di permanenza in Italia, avrebbero potuto consentire loro di realizzare tali attività. L’Associazione ha contattato l’Università di Bologna – Sezione di Rimini, nella persona della Prof.ssa Fiorella Dallari, per svolgere uno studio di fattibilità prima di dare l’avvio al progetto. Tale studio è stato poi condotto effettivamente da due giovani ricercatrici, la Dott.ssa Alessia Mariotti e la sottoscritta, che hanno trascorso un periodo di ricerca sul campo sull’isola nell’ottobre del 2003. Dopo questa esperienza di studio sul campo, ho avuto modo di recarmi nuovamente sull’isola l’anno successivo per tre mesi, grazie a un programma di mobilità per giovani ricercatori promosso dall’Università di Bologna, nel corso dei quali ho approfondito la conoscenza diretta delle problematiche a cui il territorio è sottoposto; sulla base di questo lavoro ho poi redatto la mia tesi di dottorato, che confluisce parzialmente in questo volume. Partendo dal caso di studio già condotto sull’isola di Gorée, dal 2007 ho iniziato a estendere la ricerca ad altre realtà territoriali simili, piccole isole africane che per eredità storica si sono trovate ad essere simboli della memoria collettiva. E’ stato così preso in esame il caso di Ilha de Moçambique, piccola isola nel nord del Mozambico, luogo di partenza della penetrazione portoghese in quello che fu per secoli un terreno di conquista di schiavi e di traffici commerciali più o meno leciti e, in seguito, prima capitale dell’Impero portoghese dell’Africa occidentale. Per mancanza di finanziamenti negli anni successivi, il progetto di allargare lo studio ad altre piccole isole africane e, successivamente, ad altre realtà territoriali dall’altro lato dell’Oceano Atlantico, è rimasto per ora senza seguito ma a mio avviso rimane valido. Ilha de Moçambique presenta un patrimonio architettonico e storico che l’Unesco ha ritenuto di dover tutelare con la nomina a sito patrimoniale, ma presenta anche una ricchezza culturale che oggi è a forte rischio di scomparsa a causa delle carenti opportunità economiche per la sua popolazione. Ecco allora che la rivalutazione turistica delle risorse locali potrebbe offrire uno sbocco professionale ai suoi abitanti, oltre che un’ingente entrata per le casse statali, attraverso politiche di promozione e recupero di tali patrimoni. Anche qui è stato condotto un periodo di ricerca nel mese di aprile 2008, finalizzato a reperire le medesime informazioni già raccolte per l’isola di Gorée, al fine di avere due set di dati quali-quantitativi comparabili. In seguito, mi sono resa conto che dallo studio delle due piccole realtà territoriali prese in esame emergeva continuamente il tema del patrimonio storico-culturale che, pur potendo offrire grandi potenzialità di sviluppo, spesso non viene sfruttato adeguatamente. Ho così iniziato a focalizzare le mie ricerche su un particolare tipo di turismo culturale, quello cosiddetto della memoria, che richiama visitatori alla ricerca di vestigia del proprio passato o di un passato collettivo spesso tragico come, nel caso da me approfondito, quello della tratta degli schiavi. A proposito va segnalato l’interesse dell’Unesco verso tali tematiche, inserite in un progetto chiamato Slave Route project che l’agenzia delle Nazioni Unite insieme alla World Trade Organization ha avviato nel 1994, con la duplice finalità di promuovere e tutelare la memoria di questo evento drammatico della storia umana, ma anche di farne una leva per lo sviluppo locale di popolazioni povere che vivono nei luoghi dove un tempo esso veniva praticato. L’Unesco, inoltre, stimola studiosi di tutto il mondo ad approfondire le conoscenze sulla tratta come fenomeno storico, sociale, economico, politico e culturale. Se esiste già una produzione bibliografica piuttosto ampia sul turismo della memoria legato ai luoghi della tratta, in paesi come Ghana e Benin, lo studio è ancora molto carente su altri paesi che pure avrebbero elevate potenzialità in tal senso. Di qui la principale motivazione per analizzare questo fenomeno socio-culturale nei suoi risvolti turistici; inoltre, come già accennato, nonostante i due casi di studio che qui vengono presentati, il tema generale non è affatto esaurito e in effetti le prospettive per ampliarne il raggio di interesse sono molteplici, andando dall’estensione della metodologia e finalità di indagine verso altre isole del continente africano, fino all’esplorazione delle dinamiche turistico-culturali in altre isole o territori al di là dell’Oceano Atlantico, le Americhe, verso cui il leit motif della tratta degli schiavi inesorabilmente conduce. In tal senso ho anche intrapreso la lettura di una serie di lavori di autori riconducibili ai Postcolonial Studies, che mi hanno consentito di collegare il turismo della memoria al recupero delle origini e di ampliare la prospettiva con cui affrontare il tema del turismo della memoria. Analizzando il tema del turismo nei paesi più poveri e confrontandolo con le potenzialità di sviluppo locale, è emerso nei miei studi un altro tema, che è il ruolo delle isole nel contesto geopolitico mondiale, con particolare riferimento alle fasi della territorializzazione che le ha caratterizzate dall’epoca delle esplorazioni marittime fino a quella coloniale. Lo studio mi ha poi portato a considerare i successivi processi territoriali cui esse sono andate incontro in epoca postcoloniale, in particolare alla luce delle diverse identità create dall’introduzione in questi luoghi di nuove finalità territoriali, legate allo sfruttamento turistico. L’appropriazione turistica delle isole, avamposti dell’occupazione coloniale europea in tutto il pianeta, ha prodotto nuovi scenari territoriali, nei quali i bisogni e le auto-rappresentazioni dei residenti si confrontano e spesso scontrano con le necessità edonistiche e le aspettative dei turisti, indotte dal mercato turistico, spesso di massa, e dalle immagini che esso produce ad uso e consumo del turismo, che se ne appropria con voracità. Alle prese con una territorializzazione che diventa sempre più turisticizzata, le isole possono essere esposte a un forte rischio per la sopravvivenza della cultura locale, fagocitata dalla macchina turistica che ne fa luoghi dell’immaginario. A fianco di questo filone di studi sul turismo culturale, analizzato come evidenziato sotto diversi punti di vista, dalla primavera 2010 ho deciso di approfondire il tema del ruolo delle immagini e degli immaginari nella promozione turistica dei luoghi e nella creazione dello spazio turistico, in particolare per quanto riguarda il continente africano. In una società dominata dai media e dall’accesso sempre più diretto e rapido all’informazione, l’immagine è divenuta un elemento fondamentale per stimolare l’interesse dei potenziali turisti e creare in essi un’aspettativa emotiva nei confronti dei luoghi che si apprestano a visitare. Spesso, tuttavia, queste immagini sono fortemente stereotipate in senso migliorativo, per sottostare a un immaginario che esse stesse hanno contribuito a creare ma che non corrisponde alla realtà dei luoghi, e ciò crea scontento o disappunto nei turisti. D’altro canto, si nota anche una tendenza di alcuni luoghi a inscenare lo stereotipo, per soddisfare le aspettative create dalle agenzie turistiche e pubblicitarie, con una conseguente discrasia tra l’identità locale e la realtà vissuta nel quotidiano. Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, queste stereotipizzazioni vanno a sovrapporsi o affiancarsi ad altri stereotipi presenti nell’immaginario collettivo dei paesi occidentali più industrializzati, dove si generano i flussi turistici e dove, quindi, agisce la promozione di immagini turistiche. In generale i paesi in via di sviluppo e in particolare quelli africani, sono associati a immagini di povertà, fame e morte ma anche violenza, insicurezza e corruzione. La promozione turistica di questi paesi deve quindi agire su un difficile substrato negativo presente da decenni nella mentalità collettiva, promuovendo una rivalorizzazione di tali luoghi attraverso l’uso di immagini positive e attraenti per i turisti (sebbene fortemente imbevute di una onnipresente retorica coloniale). Tali immagini sono spesso legate a stereotipi antecedenti, nati e sviluppati in epoca coloniale e legati all’esotismo, all’eden, alla presenza di una natura rigogliosa e incontaminata ma anche di popoli rimasti altrettanto incontaminati, cristallizzati in un’epoca che rappresenta uno stadio primitivo di tutti i popoli del pianeta. In tal senso, la promozione turistica fa leva su immagini che sono riconducibili ad alcuni miti, che spesso non corrispondono affatto alle realtà che si riscontrano sui territori in questione. Tutti questi temi vengono presentati in questo volume, in particolar modo cercando di focalizzare l’attenzione sul continente africano e, soprattutto, sulle due isole che costituiscono il nucleo di questo lavoro.
E.Magnani (2013). Turismo, memoria e tratta degli schiavi. L'heritage come strumento di sviluppo locale in Africa. Milano : Franco Angeli.
Turismo, memoria e tratta degli schiavi. L'heritage come strumento di sviluppo locale in Africa
MAGNANI, ELISA
2013
Abstract
Questo volume è il risultato di uno studio in corso da ormai una decina di anni sul tema del patrimonio culturale come risorsa turistica. Iniziato come progetto di dottorato relativamente all’isola di Gorée, in Senegal, esteso successivamente ad un’altra realtà territoriale, Ilha de Moçambique, in Mozambico, è stato successivamente ampliato ramificando l’oggetto di studio in più sottotematiche che ruotano attorno al concetto generale di “isola degli schiavi” ossia quei luoghi insulari che hanno avuto un ruolo chiave nel corso della tratta degli schiavi e che di questo episodio portano ancora tracce architettoniche e culturali. La pluralità di argomenti connessi a questo concetto centrale connota la prima parte di questo volume con una evidente frammentarietà: questo aspetto è da leggersi come un tentativo di inquadrare il tema da molteplici punti di vista, seguendo tuttavia un approccio di studio prettamente geografico, nella speranza di offrire a chi legge un approfondimento su tutti quei temi che andranno poi a costituire la base teorica dei casi di studio presentati nella seconda parte del testo. L’interesse verso l’isola di Gorée è nato quando, durante il dottorato di ricerca, ho avuto modo di partecipare a un progetto, promosso dall’Associazione Arcobaleno di Rimini tra i mesi di giugno e luglio 2001, inteso a realizzare delle attività imprenditoriali sull’isola senegalese, da affidare alla gestione di alcuni senegalesi che da anni vivevano e lavoravano a Rimini. L’assunto di partenza dell’Associazione Arcobaleno era che il capitale conoscitivo accumulato da questi migranti, insieme alla mentalità imprenditoriale acquisita negli anni di permanenza in Italia, avrebbero potuto consentire loro di realizzare tali attività. L’Associazione ha contattato l’Università di Bologna – Sezione di Rimini, nella persona della Prof.ssa Fiorella Dallari, per svolgere uno studio di fattibilità prima di dare l’avvio al progetto. Tale studio è stato poi condotto effettivamente da due giovani ricercatrici, la Dott.ssa Alessia Mariotti e la sottoscritta, che hanno trascorso un periodo di ricerca sul campo sull’isola nell’ottobre del 2003. Dopo questa esperienza di studio sul campo, ho avuto modo di recarmi nuovamente sull’isola l’anno successivo per tre mesi, grazie a un programma di mobilità per giovani ricercatori promosso dall’Università di Bologna, nel corso dei quali ho approfondito la conoscenza diretta delle problematiche a cui il territorio è sottoposto; sulla base di questo lavoro ho poi redatto la mia tesi di dottorato, che confluisce parzialmente in questo volume. Partendo dal caso di studio già condotto sull’isola di Gorée, dal 2007 ho iniziato a estendere la ricerca ad altre realtà territoriali simili, piccole isole africane che per eredità storica si sono trovate ad essere simboli della memoria collettiva. E’ stato così preso in esame il caso di Ilha de Moçambique, piccola isola nel nord del Mozambico, luogo di partenza della penetrazione portoghese in quello che fu per secoli un terreno di conquista di schiavi e di traffici commerciali più o meno leciti e, in seguito, prima capitale dell’Impero portoghese dell’Africa occidentale. Per mancanza di finanziamenti negli anni successivi, il progetto di allargare lo studio ad altre piccole isole africane e, successivamente, ad altre realtà territoriali dall’altro lato dell’Oceano Atlantico, è rimasto per ora senza seguito ma a mio avviso rimane valido. Ilha de Moçambique presenta un patrimonio architettonico e storico che l’Unesco ha ritenuto di dover tutelare con la nomina a sito patrimoniale, ma presenta anche una ricchezza culturale che oggi è a forte rischio di scomparsa a causa delle carenti opportunità economiche per la sua popolazione. Ecco allora che la rivalutazione turistica delle risorse locali potrebbe offrire uno sbocco professionale ai suoi abitanti, oltre che un’ingente entrata per le casse statali, attraverso politiche di promozione e recupero di tali patrimoni. Anche qui è stato condotto un periodo di ricerca nel mese di aprile 2008, finalizzato a reperire le medesime informazioni già raccolte per l’isola di Gorée, al fine di avere due set di dati quali-quantitativi comparabili. In seguito, mi sono resa conto che dallo studio delle due piccole realtà territoriali prese in esame emergeva continuamente il tema del patrimonio storico-culturale che, pur potendo offrire grandi potenzialità di sviluppo, spesso non viene sfruttato adeguatamente. Ho così iniziato a focalizzare le mie ricerche su un particolare tipo di turismo culturale, quello cosiddetto della memoria, che richiama visitatori alla ricerca di vestigia del proprio passato o di un passato collettivo spesso tragico come, nel caso da me approfondito, quello della tratta degli schiavi. A proposito va segnalato l’interesse dell’Unesco verso tali tematiche, inserite in un progetto chiamato Slave Route project che l’agenzia delle Nazioni Unite insieme alla World Trade Organization ha avviato nel 1994, con la duplice finalità di promuovere e tutelare la memoria di questo evento drammatico della storia umana, ma anche di farne una leva per lo sviluppo locale di popolazioni povere che vivono nei luoghi dove un tempo esso veniva praticato. L’Unesco, inoltre, stimola studiosi di tutto il mondo ad approfondire le conoscenze sulla tratta come fenomeno storico, sociale, economico, politico e culturale. Se esiste già una produzione bibliografica piuttosto ampia sul turismo della memoria legato ai luoghi della tratta, in paesi come Ghana e Benin, lo studio è ancora molto carente su altri paesi che pure avrebbero elevate potenzialità in tal senso. Di qui la principale motivazione per analizzare questo fenomeno socio-culturale nei suoi risvolti turistici; inoltre, come già accennato, nonostante i due casi di studio che qui vengono presentati, il tema generale non è affatto esaurito e in effetti le prospettive per ampliarne il raggio di interesse sono molteplici, andando dall’estensione della metodologia e finalità di indagine verso altre isole del continente africano, fino all’esplorazione delle dinamiche turistico-culturali in altre isole o territori al di là dell’Oceano Atlantico, le Americhe, verso cui il leit motif della tratta degli schiavi inesorabilmente conduce. In tal senso ho anche intrapreso la lettura di una serie di lavori di autori riconducibili ai Postcolonial Studies, che mi hanno consentito di collegare il turismo della memoria al recupero delle origini e di ampliare la prospettiva con cui affrontare il tema del turismo della memoria. Analizzando il tema del turismo nei paesi più poveri e confrontandolo con le potenzialità di sviluppo locale, è emerso nei miei studi un altro tema, che è il ruolo delle isole nel contesto geopolitico mondiale, con particolare riferimento alle fasi della territorializzazione che le ha caratterizzate dall’epoca delle esplorazioni marittime fino a quella coloniale. Lo studio mi ha poi portato a considerare i successivi processi territoriali cui esse sono andate incontro in epoca postcoloniale, in particolare alla luce delle diverse identità create dall’introduzione in questi luoghi di nuove finalità territoriali, legate allo sfruttamento turistico. L’appropriazione turistica delle isole, avamposti dell’occupazione coloniale europea in tutto il pianeta, ha prodotto nuovi scenari territoriali, nei quali i bisogni e le auto-rappresentazioni dei residenti si confrontano e spesso scontrano con le necessità edonistiche e le aspettative dei turisti, indotte dal mercato turistico, spesso di massa, e dalle immagini che esso produce ad uso e consumo del turismo, che se ne appropria con voracità. Alle prese con una territorializzazione che diventa sempre più turisticizzata, le isole possono essere esposte a un forte rischio per la sopravvivenza della cultura locale, fagocitata dalla macchina turistica che ne fa luoghi dell’immaginario. A fianco di questo filone di studi sul turismo culturale, analizzato come evidenziato sotto diversi punti di vista, dalla primavera 2010 ho deciso di approfondire il tema del ruolo delle immagini e degli immaginari nella promozione turistica dei luoghi e nella creazione dello spazio turistico, in particolare per quanto riguarda il continente africano. In una società dominata dai media e dall’accesso sempre più diretto e rapido all’informazione, l’immagine è divenuta un elemento fondamentale per stimolare l’interesse dei potenziali turisti e creare in essi un’aspettativa emotiva nei confronti dei luoghi che si apprestano a visitare. Spesso, tuttavia, queste immagini sono fortemente stereotipate in senso migliorativo, per sottostare a un immaginario che esse stesse hanno contribuito a creare ma che non corrisponde alla realtà dei luoghi, e ciò crea scontento o disappunto nei turisti. D’altro canto, si nota anche una tendenza di alcuni luoghi a inscenare lo stereotipo, per soddisfare le aspettative create dalle agenzie turistiche e pubblicitarie, con una conseguente discrasia tra l’identità locale e la realtà vissuta nel quotidiano. Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, queste stereotipizzazioni vanno a sovrapporsi o affiancarsi ad altri stereotipi presenti nell’immaginario collettivo dei paesi occidentali più industrializzati, dove si generano i flussi turistici e dove, quindi, agisce la promozione di immagini turistiche. In generale i paesi in via di sviluppo e in particolare quelli africani, sono associati a immagini di povertà, fame e morte ma anche violenza, insicurezza e corruzione. La promozione turistica di questi paesi deve quindi agire su un difficile substrato negativo presente da decenni nella mentalità collettiva, promuovendo una rivalorizzazione di tali luoghi attraverso l’uso di immagini positive e attraenti per i turisti (sebbene fortemente imbevute di una onnipresente retorica coloniale). Tali immagini sono spesso legate a stereotipi antecedenti, nati e sviluppati in epoca coloniale e legati all’esotismo, all’eden, alla presenza di una natura rigogliosa e incontaminata ma anche di popoli rimasti altrettanto incontaminati, cristallizzati in un’epoca che rappresenta uno stadio primitivo di tutti i popoli del pianeta. In tal senso, la promozione turistica fa leva su immagini che sono riconducibili ad alcuni miti, che spesso non corrispondono affatto alle realtà che si riscontrano sui territori in questione. Tutti questi temi vengono presentati in questo volume, in particolar modo cercando di focalizzare l’attenzione sul continente africano e, soprattutto, sulle due isole che costituiscono il nucleo di questo lavoro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.