Nota a Tange. Il testo di Tange presenta notevoli difficoltà di traduzione, attribuibili a un registro aulico e poetico radicato nella più antica tradizione classica del linguaggio letterario giapponese. Tale registro implica innanzitutto l’uso di caratteri desueti, molti dei quali risultano irreperibili nei più diffusi dizionari. A ciò si aggiunge una tessitura sintattica caratterizzata da numerose ellissi e da un uso di connettivi o deittici privi di riferimenti contestuali trasparenti. Le ragioni per le quali l’autore abbia orientato le sue scelte stilistiche in una direzione così estrema e inattuale sembrano dettate da un approccio poetico e addirittura visionario con la materia trattata, come se si trattasse, per lui, di fare i conti “a tu per tu”, da artista e non da studioso, con i grandi personaggi-maestri evocati nel testo, ed in particolare, a nostro avviso, con la figura di Michelangelo; quasi fosse impossibile accostarsi a questo gigante dell’arte occidentale senza esprimere nella lingua un tormento e una tensione drammatica omologa a quella della personalità e dell’arte michelangiolesca. Non era evidentemente nelle intenzioni di Tange scrivere un saggio critico di tipo scientifico; o, se lo era in origine, l’incompiutezza di un lavoro rimasto interrotto allo stadio di introduzione (quasi in empatia stilistica col non-finito michelangiolesco) sembra testimoniare una decisa insofferenza dell’autore per la forma tradizionale del saggio critico. E non è questo, dunque, ciò che si deve aspettare il lettore. Di qui la necessità di avvertirlo con questa nota, non tanto degli aspri ostacoli che i traduttori hanno dovuto affrontare per rendere il più possibile intelligibile il testo – che necessariamente conserva in italiano l’eco di una tensione a tratti tendente all’oscurità – quanto per introdurlo a una lettura che sfugge ai canoni tradizionali della letteratura storico-artistica.
L. Ricca, R. Shimizu (2010). Nota a Tange. BOLOGNA : Bononia University Press.
Nota a Tange
RICCA, LAURA;
2010
Abstract
Nota a Tange. Il testo di Tange presenta notevoli difficoltà di traduzione, attribuibili a un registro aulico e poetico radicato nella più antica tradizione classica del linguaggio letterario giapponese. Tale registro implica innanzitutto l’uso di caratteri desueti, molti dei quali risultano irreperibili nei più diffusi dizionari. A ciò si aggiunge una tessitura sintattica caratterizzata da numerose ellissi e da un uso di connettivi o deittici privi di riferimenti contestuali trasparenti. Le ragioni per le quali l’autore abbia orientato le sue scelte stilistiche in una direzione così estrema e inattuale sembrano dettate da un approccio poetico e addirittura visionario con la materia trattata, come se si trattasse, per lui, di fare i conti “a tu per tu”, da artista e non da studioso, con i grandi personaggi-maestri evocati nel testo, ed in particolare, a nostro avviso, con la figura di Michelangelo; quasi fosse impossibile accostarsi a questo gigante dell’arte occidentale senza esprimere nella lingua un tormento e una tensione drammatica omologa a quella della personalità e dell’arte michelangiolesca. Non era evidentemente nelle intenzioni di Tange scrivere un saggio critico di tipo scientifico; o, se lo era in origine, l’incompiutezza di un lavoro rimasto interrotto allo stadio di introduzione (quasi in empatia stilistica col non-finito michelangiolesco) sembra testimoniare una decisa insofferenza dell’autore per la forma tradizionale del saggio critico. E non è questo, dunque, ciò che si deve aspettare il lettore. Di qui la necessità di avvertirlo con questa nota, non tanto degli aspri ostacoli che i traduttori hanno dovuto affrontare per rendere il più possibile intelligibile il testo – che necessariamente conserva in italiano l’eco di una tensione a tratti tendente all’oscurità – quanto per introdurlo a una lettura che sfugge ai canoni tradizionali della letteratura storico-artistica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


