L'albero delle donne, attraverso un viaggio etnografico fra gli hadiya d'Etiopia, analizza gli stereotipi sui mangiatori di enset (ensete ventricosum) e i luoghi comuni sulla passività delle donne, in questo caso coltivatrici della pianta e quindi doppiamente periferiche, frequentemente rappresentate secondo foschi scenari di segregazione e oppressione. L’utilizzo della metafora culinaria lega insieme gli strumenti di produzione del cibo e della femminilità: enset e contadine, di fibra fisica e morale robusta, si collocano in zone di frontiera e tuttavia costituiscono strutture forti per resistere in situazioni complesse – l’uno come cibo sostenibile e contro la fame, le altre, lente ma resilienti, come chiave di rottura possibile delle prospettive di sviluppo. Le memorie qui raccolte di levatrici, neospose chiuse nel silenzio, gravide affamate e puerpere in balia delle neonate contengono riflessioni sulla natura della gerarchia, fra sessi e fra donne, e sull’interdipendenza dei generi, che l’antropologa legge attraverso le cornici dell’istituzione matrimoniale, della divisione del lavoro, delle norme che regolano la sessualità. Nell’oscillazione fra protocolli ufficiali e pratiche considerate a vari livelli ‘minori’ ci si interroga sul valore di atti compiuti dietro le quinte come affermazione di resistenza se non di vero e proprio potere, e sulla condotta politica, spesso dissimulata, di soggetti solo apparentemente deboli o subordinati.
PEVERI V. (2012). L'albero delle donne. Etnografia nelle piantagioni e cucine d'Etiopia. BOLOGNA : I Libri di Emil - Odoya.
L'albero delle donne. Etnografia nelle piantagioni e cucine d'Etiopia
PEVERI, VALENTINA
2012
Abstract
L'albero delle donne, attraverso un viaggio etnografico fra gli hadiya d'Etiopia, analizza gli stereotipi sui mangiatori di enset (ensete ventricosum) e i luoghi comuni sulla passività delle donne, in questo caso coltivatrici della pianta e quindi doppiamente periferiche, frequentemente rappresentate secondo foschi scenari di segregazione e oppressione. L’utilizzo della metafora culinaria lega insieme gli strumenti di produzione del cibo e della femminilità: enset e contadine, di fibra fisica e morale robusta, si collocano in zone di frontiera e tuttavia costituiscono strutture forti per resistere in situazioni complesse – l’uno come cibo sostenibile e contro la fame, le altre, lente ma resilienti, come chiave di rottura possibile delle prospettive di sviluppo. Le memorie qui raccolte di levatrici, neospose chiuse nel silenzio, gravide affamate e puerpere in balia delle neonate contengono riflessioni sulla natura della gerarchia, fra sessi e fra donne, e sull’interdipendenza dei generi, che l’antropologa legge attraverso le cornici dell’istituzione matrimoniale, della divisione del lavoro, delle norme che regolano la sessualità. Nell’oscillazione fra protocolli ufficiali e pratiche considerate a vari livelli ‘minori’ ci si interroga sul valore di atti compiuti dietro le quinte come affermazione di resistenza se non di vero e proprio potere, e sulla condotta politica, spesso dissimulata, di soggetti solo apparentemente deboli o subordinati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.