Kumo (“Nuvole”), occupa una posizione nodale nell’opera di Nagai Kafū. Hōtō (“Dissipazione”) è, non a caso, il titolo originario con il quale il racconto apparve per la prima volta nel Furansu monogatari (“Racconti francesi”), pubblicato in Giappone nel 1909 al ritorno dell’autore da un lungo soggiorno in Occidente, che lo aveva portato prima in America e poi in Francia. “Dissipazione” esprime in modo diretto quei contenuti scabrosi che, malgrado la loro trasfigurazione estetica, la censura giudicò “immorali”, imponendo un nuovo titolo. Ma può anche esprimere e riassumere esplicitamente l’intera vicenda esistenziale ed artistica dell’autore: costantemente alla ricerca di una via di fuga da una realtà contemporanea avvertita come irrimediabilmente ostile alla propria natura di déraciné. La dissipazione, lo scialo, perfino il suicidio come via di fuga. In Kumo si dispiega più che mai il cortocircuito tra le due dimensioni che animano l’esperienza letteraria dell’autore: il retroterra della sensibilità artistica giapponese, con il suo repertorio di filtri culturali e di stilemi, e la dimensione di una modernità che si incarna nella città-simbolo del progresso occidentale: la Parigi di Haussmann e dei boulevards, delle prime metropolitane e della Belle époque. Ed è precisamente questo cortocircuito a conferire alla novella quel ruolo nodale nell’opera di Kafū, cui si è accennato. Si tratta infatti di un cortocircuito perfettamente trasfigurato in chiave artistica: la dissipazione interiore che si consuma nell’animo del protagonista, la sua ricerca di una via di fuga in un labirinto metropolitano occidentale popolato di prostitute, prendono corpo in una narrazione fatta di intersezioni temporali, di azioni e ricordi che si dissolvono uno nell’altro senza una chiara soluzione di continuità, secondo la tecnica narrativa classica zuihitsu (“seguire il pennello”), che condiziona l’andamento della narrazione nel suo flusso spontaneo, imprevedibile, frammentario. E a questo movimento discontinuo del tempo narrativo corrisponde, in parallelo, una analoga disarticolazione dello spazio, che irrompe spesso in frammenti di descrizione solo apparentemente irrelati: in realtà rappresentano spesso l’oggettivazione degli stati d’animo del protagonista.

Genesi e struttura di “Nuvole” di Nagai Kafū (Prefazione e commento critico alla traduzione)

RICCA, LAURA
2009

Abstract

Kumo (“Nuvole”), occupa una posizione nodale nell’opera di Nagai Kafū. Hōtō (“Dissipazione”) è, non a caso, il titolo originario con il quale il racconto apparve per la prima volta nel Furansu monogatari (“Racconti francesi”), pubblicato in Giappone nel 1909 al ritorno dell’autore da un lungo soggiorno in Occidente, che lo aveva portato prima in America e poi in Francia. “Dissipazione” esprime in modo diretto quei contenuti scabrosi che, malgrado la loro trasfigurazione estetica, la censura giudicò “immorali”, imponendo un nuovo titolo. Ma può anche esprimere e riassumere esplicitamente l’intera vicenda esistenziale ed artistica dell’autore: costantemente alla ricerca di una via di fuga da una realtà contemporanea avvertita come irrimediabilmente ostile alla propria natura di déraciné. La dissipazione, lo scialo, perfino il suicidio come via di fuga. In Kumo si dispiega più che mai il cortocircuito tra le due dimensioni che animano l’esperienza letteraria dell’autore: il retroterra della sensibilità artistica giapponese, con il suo repertorio di filtri culturali e di stilemi, e la dimensione di una modernità che si incarna nella città-simbolo del progresso occidentale: la Parigi di Haussmann e dei boulevards, delle prime metropolitane e della Belle époque. Ed è precisamente questo cortocircuito a conferire alla novella quel ruolo nodale nell’opera di Kafū, cui si è accennato. Si tratta infatti di un cortocircuito perfettamente trasfigurato in chiave artistica: la dissipazione interiore che si consuma nell’animo del protagonista, la sua ricerca di una via di fuga in un labirinto metropolitano occidentale popolato di prostitute, prendono corpo in una narrazione fatta di intersezioni temporali, di azioni e ricordi che si dissolvono uno nell’altro senza una chiara soluzione di continuità, secondo la tecnica narrativa classica zuihitsu (“seguire il pennello”), che condiziona l’andamento della narrazione nel suo flusso spontaneo, imprevedibile, frammentario. E a questo movimento discontinuo del tempo narrativo corrisponde, in parallelo, una analoga disarticolazione dello spazio, che irrompe spesso in frammenti di descrizione solo apparentemente irrelati: in realtà rappresentano spesso l’oggettivazione degli stati d’animo del protagonista.
2009
PAGINE MEIJI
219
225
L.Ricca
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