Le tecnologie ipermediali ci conducono oggi con naturalezza dentro gli eventi, dentro allo schermo. Viviamo una realtà virtuale, in differita, replicata. Baudrillard (1996) ha definito questa simulazione della realtà un cortocircuito istantaneo che ci trascina dall’altro lato dell’informazione, nel più reale del reale, l’iperreale. Gli stimoli continui cui siamo sottoposti, il bombardamento costante di notizie da ogni parte del globo inducono una sorta di accelerazione del tempo, che sollecita le coscienze con la sovrabbondanza di avvenimenti e informazioni (Augé 1993). La vita pubblica on line e le comunicazioni ipermediali ci costringono a comportamenti sociali inusitati (Rheingold 2003). Non solo, ma l’ipermedialità favorisce una prossimità temporale che va a costituire il centro assoluto del mondo, una specie di città virtuale delle telecomunicazioni. Perché quando accendiamo il cellulare, spengiamo la strada (Bauman, 2003). E’ questa la lente deformante attraverso la quale Taguchi Randy disegna in Mosaico (2001) il profilo di Shibuya, perfetto esempio di quelli che Marc Augé identifica come non-luoghi, essenzialmente un recinto di involucri, pelli metalliche, fluorescenze. E la gigantesca stazione nel cuore di Tokyo diventa protagonista di una narrazione sospesa fra la materica e granulosa realtà del mondo in cui noi, abitanti della modernità “liquida”, viviamo e un possibile altrove. Groviglio di strade ed edifici nei quali si condensa e collassa l’intera realtà metropolitana, si riscopre nelle pagine del romanzo de-identificata e sconnessa dalla propria stessa fisicità: ab-norme cassa di risonanza, ripetitore, voragine che inghiotte, vortice nel cui ventre scorre un fiume dalle acque lente e melmose. Compiuto esito di quella che per Paul Virilio (1999) è l'urbanizzazione del tempo reale, cioè il processo che porta alla costituzione di una città virtuale, di una sorta di ipercentro. Contenitore in cemento e acciaio di sentimenti, desideri, paure, qui passato, presente e futuro si rincorrono nel labirintico dedalo delle strade soffocate da una nuova entità (ab-umana? iper-umana?), la folla. Il contatto con questa proteiforme alterità, la vicinanza fisica con il corpo dell'Altro, inducono ebbrezza e abisso, esaltazione e smarrimento. Alienazione. Ossessione maniacale. Malinconia. E la scrittura, ancora una volta, scopre la sua potenzialità taumaturgica, e non esita a misurarsi con le distorsioni sensoriali dell'uomo, del mondo.
P. Scrolavezza (2012). Oltre le onde: ipermedia e iperrealtà in Mosaico di Taguchi Randy. NAPOLI : Il Torcoliere.
Oltre le onde: ipermedia e iperrealtà in Mosaico di Taguchi Randy
SCROLAVEZZA, PAOLA
2012
Abstract
Le tecnologie ipermediali ci conducono oggi con naturalezza dentro gli eventi, dentro allo schermo. Viviamo una realtà virtuale, in differita, replicata. Baudrillard (1996) ha definito questa simulazione della realtà un cortocircuito istantaneo che ci trascina dall’altro lato dell’informazione, nel più reale del reale, l’iperreale. Gli stimoli continui cui siamo sottoposti, il bombardamento costante di notizie da ogni parte del globo inducono una sorta di accelerazione del tempo, che sollecita le coscienze con la sovrabbondanza di avvenimenti e informazioni (Augé 1993). La vita pubblica on line e le comunicazioni ipermediali ci costringono a comportamenti sociali inusitati (Rheingold 2003). Non solo, ma l’ipermedialità favorisce una prossimità temporale che va a costituire il centro assoluto del mondo, una specie di città virtuale delle telecomunicazioni. Perché quando accendiamo il cellulare, spengiamo la strada (Bauman, 2003). E’ questa la lente deformante attraverso la quale Taguchi Randy disegna in Mosaico (2001) il profilo di Shibuya, perfetto esempio di quelli che Marc Augé identifica come non-luoghi, essenzialmente un recinto di involucri, pelli metalliche, fluorescenze. E la gigantesca stazione nel cuore di Tokyo diventa protagonista di una narrazione sospesa fra la materica e granulosa realtà del mondo in cui noi, abitanti della modernità “liquida”, viviamo e un possibile altrove. Groviglio di strade ed edifici nei quali si condensa e collassa l’intera realtà metropolitana, si riscopre nelle pagine del romanzo de-identificata e sconnessa dalla propria stessa fisicità: ab-norme cassa di risonanza, ripetitore, voragine che inghiotte, vortice nel cui ventre scorre un fiume dalle acque lente e melmose. Compiuto esito di quella che per Paul Virilio (1999) è l'urbanizzazione del tempo reale, cioè il processo che porta alla costituzione di una città virtuale, di una sorta di ipercentro. Contenitore in cemento e acciaio di sentimenti, desideri, paure, qui passato, presente e futuro si rincorrono nel labirintico dedalo delle strade soffocate da una nuova entità (ab-umana? iper-umana?), la folla. Il contatto con questa proteiforme alterità, la vicinanza fisica con il corpo dell'Altro, inducono ebbrezza e abisso, esaltazione e smarrimento. Alienazione. Ossessione maniacale. Malinconia. E la scrittura, ancora una volta, scopre la sua potenzialità taumaturgica, e non esita a misurarsi con le distorsioni sensoriali dell'uomo, del mondo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.