Il saggio si concentra su due fuochi tematici concernenti il tema della “capacità di aspirare”, così come messa a fuoco da A. Appadurai. Il primo di questi due terreni rimanda al processo di soggettivazione. Si tratta di uno degli ambiti in cui più radicali, e forse anche più evidenti, sono le tracce delle trasformazioni che le grammatiche sociali del capitalismo reticolare è venuto producendo. E’ il terreno, per dirla con l’immagine utilizzata da Robert Castel (2009), della “montée des incertitudes”, dell’incertezza che si fa strutturale e della profonda trasformazione del processo di individualizzazione, processo che di fatto coincide con il progetto stesso della modernità, almeno per come essa si è configurata in quanto forma di autocomprensione dell’Europa prima e dell’occidente nel suo complesso poi. Un progetto, quello della modernità come progressiva affermazione dell’emancipazione degli individui, di cui gli scenari di crisi strutturale che questa stessa area del mondo ora attraversa si incaricano di mostrare tutte le contraddizioni interne, ma che già alle sue origini si configurava come un campo di tensioni e di conflitto (cosa voleva dire, ad esempio, essere moderni in un territorio colonizzato da un paese che quell’idea stessa di modernità andava elaborando e fondando? che voice avevano gli attori che ne stavano ai margini, o fuori di essi, in quel percorso di elaborazione?). Si tratta di una problematica di cui gli individui fanno esperienza su scala biografica, attraverso condizioni di precarietà crescente, di erosione sistematica delle condizioni materiali e immateriali per il perseguimento di obbiettivi di autodeterminazione, certamente diverse da quelle dei “cittadini senza città” di cui parla A., ma non per questo meno gravi; e non meno capaci di interrogare le scienze sociali, le categorie di cui ci serviamo per indagare la natura di tali mutamenti, la loro possibilità di scavare in profondità senza arrestarsi alla descrizione di superficie delle diverse fenomenologie della precarietà. Il rischio, infatti, è che anche della precarietà, dell’incertezza si faccia l’ennesimo “settore” di studi specializzati, con il suo apparato tecnico, il suo gergo e le sue formule, opacizzando così le connessioni tra produzione di precarietà e incertezza e il corso ‘normale’ dei processi sociali. Insomma, in una domanda, si tratta in primo luogo di chiedersi che relazione c’è tra la cultura così come la definisce A. e il ‘nuovo spirito del capitalismo’ e, dentro a quella relazione, come si configura il rapporto tra la “capacità di aspirare” e il processo di soggettivazione in contesti in cui l’esperienza dell’incertezza, e delle forme di autorità che su di essa fanno leva, va diventando strutturale? Un secondo terreno di confronto, invece, è più circoscritto e si presenta come una questione metodologica, concernente un nodo classico delle scienze sociali, vale a dire il rapporto tra lo studioso (il sociologo) e il suo oggetto di studio (la realtà sociale ed i problemi che al suo interno si generano). Qui il punto riguarda il modo in cui sia possibile ridefinire, nel contesto attuale, un rapporto riflessivo, critico tra l’osservatore e il campo d’osservazione, tra le forme di conoscenza del primo e quelle del secondo, e così via. Provando anche in questo caso a dare una forma di domanda alla breve esplorazione che vorrei intraprendere: in che modo il lavoro di A. ci aiuta a ridefinire la produzione di conoscenza secondo modalità che non ricadano nelle forme di un rapporto tra produttori del sapere legittimo e destinatari oggetto di quel sapere, ma in cui (come già sperimentato in altri luoghi e in altre circostanze) la costruzione di sapere emerga come proprietà di relazioni tra attori portatori di proprie, differenti, forme di conoscenza?

La capacità di aspirare nel nuovo spirito del capitalismo / V. Borghi. - STAMPA. - (2012), pp. 65-81.

La capacità di aspirare nel nuovo spirito del capitalismo

BORGHI, VANDO
2012

Abstract

Il saggio si concentra su due fuochi tematici concernenti il tema della “capacità di aspirare”, così come messa a fuoco da A. Appadurai. Il primo di questi due terreni rimanda al processo di soggettivazione. Si tratta di uno degli ambiti in cui più radicali, e forse anche più evidenti, sono le tracce delle trasformazioni che le grammatiche sociali del capitalismo reticolare è venuto producendo. E’ il terreno, per dirla con l’immagine utilizzata da Robert Castel (2009), della “montée des incertitudes”, dell’incertezza che si fa strutturale e della profonda trasformazione del processo di individualizzazione, processo che di fatto coincide con il progetto stesso della modernità, almeno per come essa si è configurata in quanto forma di autocomprensione dell’Europa prima e dell’occidente nel suo complesso poi. Un progetto, quello della modernità come progressiva affermazione dell’emancipazione degli individui, di cui gli scenari di crisi strutturale che questa stessa area del mondo ora attraversa si incaricano di mostrare tutte le contraddizioni interne, ma che già alle sue origini si configurava come un campo di tensioni e di conflitto (cosa voleva dire, ad esempio, essere moderni in un territorio colonizzato da un paese che quell’idea stessa di modernità andava elaborando e fondando? che voice avevano gli attori che ne stavano ai margini, o fuori di essi, in quel percorso di elaborazione?). Si tratta di una problematica di cui gli individui fanno esperienza su scala biografica, attraverso condizioni di precarietà crescente, di erosione sistematica delle condizioni materiali e immateriali per il perseguimento di obbiettivi di autodeterminazione, certamente diverse da quelle dei “cittadini senza città” di cui parla A., ma non per questo meno gravi; e non meno capaci di interrogare le scienze sociali, le categorie di cui ci serviamo per indagare la natura di tali mutamenti, la loro possibilità di scavare in profondità senza arrestarsi alla descrizione di superficie delle diverse fenomenologie della precarietà. Il rischio, infatti, è che anche della precarietà, dell’incertezza si faccia l’ennesimo “settore” di studi specializzati, con il suo apparato tecnico, il suo gergo e le sue formule, opacizzando così le connessioni tra produzione di precarietà e incertezza e il corso ‘normale’ dei processi sociali. Insomma, in una domanda, si tratta in primo luogo di chiedersi che relazione c’è tra la cultura così come la definisce A. e il ‘nuovo spirito del capitalismo’ e, dentro a quella relazione, come si configura il rapporto tra la “capacità di aspirare” e il processo di soggettivazione in contesti in cui l’esperienza dell’incertezza, e delle forme di autorità che su di essa fanno leva, va diventando strutturale? Un secondo terreno di confronto, invece, è più circoscritto e si presenta come una questione metodologica, concernente un nodo classico delle scienze sociali, vale a dire il rapporto tra lo studioso (il sociologo) e il suo oggetto di studio (la realtà sociale ed i problemi che al suo interno si generano). Qui il punto riguarda il modo in cui sia possibile ridefinire, nel contesto attuale, un rapporto riflessivo, critico tra l’osservatore e il campo d’osservazione, tra le forme di conoscenza del primo e quelle del secondo, e così via. Provando anche in questo caso a dare una forma di domanda alla breve esplorazione che vorrei intraprendere: in che modo il lavoro di A. ci aiuta a ridefinire la produzione di conoscenza secondo modalità che non ricadano nelle forme di un rapporto tra produttori del sapere legittimo e destinatari oggetto di quel sapere, ma in cui (come già sperimentato in altri luoghi e in altre circostanze) la costruzione di sapere emerga come proprietà di relazioni tra attori portatori di proprie, differenti, forme di conoscenza?
2012
Il futuro nel quotidiano. Studi sociologici sulla capacità di aspirare
65
81
La capacità di aspirare nel nuovo spirito del capitalismo / V. Borghi. - STAMPA. - (2012), pp. 65-81.
V. Borghi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/128901
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