Vengono prese in considerazione diverse prospettive e le varie difficoltà che, nell’evoluzione del pensiero antropologico, sono sorte nel fornire una definizione, per quanto parziale, di religione. Una questione spesso dibattuta fino ai giorni nostri riguarda il timore che una qualsiasi definizione del fenomeno religioso possa risentire di un inconsapevole etno-centrismo. Per esempio, “la presenza di dogmi, di gerarchie, di luoghi e di testi sacri può configurarsi come una serie di criteri troppo vincolanti” (Remotti e Filoramo 2006). D’altra parte, la vaghezza dei criteri rischia di privarci dei mezzi d’identificazione necessari ad uno studio scientifico delle esperienze religiose. E’ anche per questo insieme di ragioni, che in questa esplorazione di alcune tappe significative nello sviluppo dell’approccio antropologico alle esperienze religiose, si è optato per una declinazione plurale. Forse, il contributo che più specificatamente aiuta nello studio antropologico del senso religioso, e su cui ci si soffermerà più approfonditamente, è il noto saggio La religione come sistema culturale (1966- Ita:1987) di Clifford Geertz, in cui si propone di definire la religione come un sistema di pensiero che tenta di affrontare le grandi sfide del senso. Secondo questa definizione, ritenuta da alcuni antropologi particolarmente “dinamica” (Fabietti 2008), l’esperienza problematica del caos, che si produce quando si superano i confini delle proprie capacità di comprensione intellettuale e morale della realtà e di sopportazione del dolore, viene affrontata attraverso le griglie interpretative predisposte dalla religione. Tuttavia, questa prospettiva è stata duramente criticata dall’antropologo Asad in Genealogies of religion (1997) per una sua pretesa universalità d’applicazione e per la sua incapacità di tenere in debito conto la sfera del potere. Facendo riferimento alla mia esperienza di ricerca sui processi migratori, cercherò di mostrare come la posizione di Asad non debba essere presa in termini eccessivamente categorici. Infatti, le migrazioni comportano cambiamenti socio-culturali e conseguenti crisi di senso (Penaccini 2006). Spesso, il ricorso alla religione e la costruzione di contesti in cui siano realizzabili esperienze più vicine a quelle vissute nei contesti di origine, permettono ai migranti di ritrovare uno spazio espressivo e una dimensione sociale significativi, e si rivelano in grado di facilitare anche l’inserimento nel contesto di immigrazione (Schmidt di Friedberg 1994; Riccio 2007). Si ritiene che questi processi possano essere indagati fruttuosamente seguendo la lezione di Geertz e tenendo contemporaneamente in considerazione i rilievi di Asad.
B. Riccio (2012). Le esperienze religiose nella ricerca antropologica. Alcune riflessioni alla luce dello studio dei processi migratori. ROMA : Armando Editore.
Le esperienze religiose nella ricerca antropologica. Alcune riflessioni alla luce dello studio dei processi migratori
RICCIO, BRUNO
2012
Abstract
Vengono prese in considerazione diverse prospettive e le varie difficoltà che, nell’evoluzione del pensiero antropologico, sono sorte nel fornire una definizione, per quanto parziale, di religione. Una questione spesso dibattuta fino ai giorni nostri riguarda il timore che una qualsiasi definizione del fenomeno religioso possa risentire di un inconsapevole etno-centrismo. Per esempio, “la presenza di dogmi, di gerarchie, di luoghi e di testi sacri può configurarsi come una serie di criteri troppo vincolanti” (Remotti e Filoramo 2006). D’altra parte, la vaghezza dei criteri rischia di privarci dei mezzi d’identificazione necessari ad uno studio scientifico delle esperienze religiose. E’ anche per questo insieme di ragioni, che in questa esplorazione di alcune tappe significative nello sviluppo dell’approccio antropologico alle esperienze religiose, si è optato per una declinazione plurale. Forse, il contributo che più specificatamente aiuta nello studio antropologico del senso religioso, e su cui ci si soffermerà più approfonditamente, è il noto saggio La religione come sistema culturale (1966- Ita:1987) di Clifford Geertz, in cui si propone di definire la religione come un sistema di pensiero che tenta di affrontare le grandi sfide del senso. Secondo questa definizione, ritenuta da alcuni antropologi particolarmente “dinamica” (Fabietti 2008), l’esperienza problematica del caos, che si produce quando si superano i confini delle proprie capacità di comprensione intellettuale e morale della realtà e di sopportazione del dolore, viene affrontata attraverso le griglie interpretative predisposte dalla religione. Tuttavia, questa prospettiva è stata duramente criticata dall’antropologo Asad in Genealogies of religion (1997) per una sua pretesa universalità d’applicazione e per la sua incapacità di tenere in debito conto la sfera del potere. Facendo riferimento alla mia esperienza di ricerca sui processi migratori, cercherò di mostrare come la posizione di Asad non debba essere presa in termini eccessivamente categorici. Infatti, le migrazioni comportano cambiamenti socio-culturali e conseguenti crisi di senso (Penaccini 2006). Spesso, il ricorso alla religione e la costruzione di contesti in cui siano realizzabili esperienze più vicine a quelle vissute nei contesti di origine, permettono ai migranti di ritrovare uno spazio espressivo e una dimensione sociale significativi, e si rivelano in grado di facilitare anche l’inserimento nel contesto di immigrazione (Schmidt di Friedberg 1994; Riccio 2007). Si ritiene che questi processi possano essere indagati fruttuosamente seguendo la lezione di Geertz e tenendo contemporaneamente in considerazione i rilievi di Asad.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.