Nella Bologna dei primi decenni del XXI secolo prende avvio il primo grande processo di rinnovamento del centro storico come epilogo delle direttive fissate dal piano regolatore del 1899. L’indagine svolta su alcune vicende esemplari che hanno segnato la prima fase di questa vicenda, ha consentito di registrare quale sia stata l’effettiva incidenza della costruzione in cemento armato nel prefigurare le scelte architettoniche, nel determinare gli indirizzi progettuali, nel definire le prerogative tipologiche e funzionali delle opere, nel delineare nuovi orizzonti per la cultura tecnica dei progettisti. Se il dato unificante del racconto di queste micro-storie è sicuramente rintracciabile nella scissione fra linguaggio e tecnica - tra i caratteri figurativi dell’eclettismo di maniera con cui sono disegnati i fronti edilizi e la macchina strutturale annegata all’interno - è comunque possibile riconoscere elementi di novità e specificità nelle genesi di tali opere, come episodi singolari del più generale processo di avanzamento delle conoscenze sulla tecnica del cemento armato che connota la prima fase di applicazione in Italia. In questo quadro si intrecciano i contributi teorici espressi dalla giovane scuola di ingegneria bolognese – in primis le formulazioni di calcolo proposte da Canevazzi – con la dimensione pratica del cantiere come principale banco di prova sui cui misurare la reale portata dell’innovazione tecnica della costruzione in cemento armato. Attilio Muggia, primo interprete del brevetto Hennebique per il centro Italia, funge da trait de union tra i due mondi – quello dell’accademia e quello della professione – assumendo un ruolo centrale nel promuovere e sviluppare la pratica della costruzione in cemento armato all’interno della realtà imprenditoriale della Bologna del primo Novecento. Lo studio è dunque inteso a ricucire le trame di episodi singolari ricollocandoli all’interno di una prospettiva di indagine in cui emerge in primo piano la giovane figura di ingegnere civile - spesso sconosciuta alle ragioni di una storia dell’architettura militante - per sondarne le reali implicazioni con gli esiti architettonici delle opere, con le vicende di cantiere, con la cronaca edilizia. Un racconto meno accattivante di quello letterario sui “significati” dell’espressione figurativa dell’opera; ma forse più utile per comprenderne la “ragione”
R. Gulli (2012). Materiali per un cantiere di ricerca sulla Storia della Costruzione. MILANO : BRUNO MONDADORI.
Materiali per un cantiere di ricerca sulla Storia della Costruzione
GULLI, RICCARDO
2012
Abstract
Nella Bologna dei primi decenni del XXI secolo prende avvio il primo grande processo di rinnovamento del centro storico come epilogo delle direttive fissate dal piano regolatore del 1899. L’indagine svolta su alcune vicende esemplari che hanno segnato la prima fase di questa vicenda, ha consentito di registrare quale sia stata l’effettiva incidenza della costruzione in cemento armato nel prefigurare le scelte architettoniche, nel determinare gli indirizzi progettuali, nel definire le prerogative tipologiche e funzionali delle opere, nel delineare nuovi orizzonti per la cultura tecnica dei progettisti. Se il dato unificante del racconto di queste micro-storie è sicuramente rintracciabile nella scissione fra linguaggio e tecnica - tra i caratteri figurativi dell’eclettismo di maniera con cui sono disegnati i fronti edilizi e la macchina strutturale annegata all’interno - è comunque possibile riconoscere elementi di novità e specificità nelle genesi di tali opere, come episodi singolari del più generale processo di avanzamento delle conoscenze sulla tecnica del cemento armato che connota la prima fase di applicazione in Italia. In questo quadro si intrecciano i contributi teorici espressi dalla giovane scuola di ingegneria bolognese – in primis le formulazioni di calcolo proposte da Canevazzi – con la dimensione pratica del cantiere come principale banco di prova sui cui misurare la reale portata dell’innovazione tecnica della costruzione in cemento armato. Attilio Muggia, primo interprete del brevetto Hennebique per il centro Italia, funge da trait de union tra i due mondi – quello dell’accademia e quello della professione – assumendo un ruolo centrale nel promuovere e sviluppare la pratica della costruzione in cemento armato all’interno della realtà imprenditoriale della Bologna del primo Novecento. Lo studio è dunque inteso a ricucire le trame di episodi singolari ricollocandoli all’interno di una prospettiva di indagine in cui emerge in primo piano la giovane figura di ingegnere civile - spesso sconosciuta alle ragioni di una storia dell’architettura militante - per sondarne le reali implicazioni con gli esiti architettonici delle opere, con le vicende di cantiere, con la cronaca edilizia. Un racconto meno accattivante di quello letterario sui “significati” dell’espressione figurativa dell’opera; ma forse più utile per comprenderne la “ragione”I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


