La decadenza, in Vico, è un segmento del «corso» delle nazioni: «Sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini». È un momento della sequenza che ap¬poggia l’intera dinamica di ogni nazione – «in diversi luoghi, in diversi tempi» – sopra «certe eterne propietà delle cose civili»: sulla medesima na¬tura, sugli stessi principi delle «religioni e delle lingue». Essendo quei «principi» co¬stanti, essi consen¬tono l’elabora¬zione della nuova scienza nel suo aspetto di storia ideale eterna, che rende conoscibile la storia universale di tutti i tempi: «Un’istoria ideale eterna descritta sull’idea della provedenza, so¬pra la quale corrono in tempo le storie particolari delle na¬zioni». Eppure, nel campo sterminato della bibliografia vichiana, ben pochi appaiono i riferimenti alla «decadenza». Solitamente, infatti, l’uni¬verso stra¬ripante e multicolore degli odierni studi su Vico assorbe quella no¬zione nella costel¬la¬zione del «ricorso», concetto senza dubbio più inva¬dente, dotato di una ben più pregnante (e problematica) forza d’attrazione teo¬rica. La deca¬denza, tut¬tavia, non è il ricorso. Essa, anzi, lo anticipa nitidamente nel pro¬cesso di co¬struzione della filosofia (della grande filosofia) vi¬chiana, se è vero – com’è vero – che il termine ha già un suo luogo e un suo senso nella prima edizione della Scienza Nuova, del 1725, mentre una com¬piuta trattazione del «risurgere che fanno le nazioni» s’introduce solo a partire dalla seconda e pe¬nultima ver¬sione dell’o¬pera (quella del ’30). La definitiva si¬ste¬mazione del ricorso, del resto, non si sovrappone alla deca¬denza, né la sot¬trae al contesto-sequenza nel quale essa fin dall’inizio com¬pare. «Origines, incre¬menta, status, devolutiones et interi¬tus». Poste così le fasi del «corso» delle nazioni, non è difficile, di primo acchito, approssi¬marne l’acme, il mo¬mento culminante, nello «stato», collocato a metà tra i due seg¬menti espansivi del «nascimento-progresso» e i due della crisi, dello sgreto¬lamento implicito nel «decadere-finire». Lo «stato», il perdurare, il permanere all’apice della nazione, risulterà allora vincolato, in qualche modo, tanto al suo inizio quanto al suo esaurimento, senza per altro auto¬ma¬ticamente appiattirsi, senza completamente identificarsi né nell’uno né nell’al¬tro momento. Questa simmetria – è l’ipotesi del pre¬sente sondaggio – non esclude in ogni caso che il rapporto tra il «progresso» e lo «stato» risulti di qualità di¬versa dal vincolo che unisce l’acme alla «decadenza»: laddove proprio que¬st’ultimo legame finisce forse per evitare alla prestazione vichiana la ricaduta nell’organicismo naturalistico-provviden¬zialistico tradizionale (di stampo polibiano), presentandosi come l’elemento deci¬sivo e risolutivo del peculiare carattere «moderno» di un intero im¬pianto teo¬rico.

R. Caporali (2011). Sulla «decadenza» in Vico. BOLOGNA : d.u.press.

Sulla «decadenza» in Vico

CAPORALI, RICCARDO
2011

Abstract

La decadenza, in Vico, è un segmento del «corso» delle nazioni: «Sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini». È un momento della sequenza che ap¬poggia l’intera dinamica di ogni nazione – «in diversi luoghi, in diversi tempi» – sopra «certe eterne propietà delle cose civili»: sulla medesima na¬tura, sugli stessi principi delle «religioni e delle lingue». Essendo quei «principi» co¬stanti, essi consen¬tono l’elabora¬zione della nuova scienza nel suo aspetto di storia ideale eterna, che rende conoscibile la storia universale di tutti i tempi: «Un’istoria ideale eterna descritta sull’idea della provedenza, so¬pra la quale corrono in tempo le storie particolari delle na¬zioni». Eppure, nel campo sterminato della bibliografia vichiana, ben pochi appaiono i riferimenti alla «decadenza». Solitamente, infatti, l’uni¬verso stra¬ripante e multicolore degli odierni studi su Vico assorbe quella no¬zione nella costel¬la¬zione del «ricorso», concetto senza dubbio più inva¬dente, dotato di una ben più pregnante (e problematica) forza d’attrazione teo¬rica. La deca¬denza, tut¬tavia, non è il ricorso. Essa, anzi, lo anticipa nitidamente nel pro¬cesso di co¬struzione della filosofia (della grande filosofia) vi¬chiana, se è vero – com’è vero – che il termine ha già un suo luogo e un suo senso nella prima edizione della Scienza Nuova, del 1725, mentre una com¬piuta trattazione del «risurgere che fanno le nazioni» s’introduce solo a partire dalla seconda e pe¬nultima ver¬sione dell’o¬pera (quella del ’30). La definitiva si¬ste¬mazione del ricorso, del resto, non si sovrappone alla deca¬denza, né la sot¬trae al contesto-sequenza nel quale essa fin dall’inizio com¬pare. «Origines, incre¬menta, status, devolutiones et interi¬tus». Poste così le fasi del «corso» delle nazioni, non è difficile, di primo acchito, approssi¬marne l’acme, il mo¬mento culminante, nello «stato», collocato a metà tra i due seg¬menti espansivi del «nascimento-progresso» e i due della crisi, dello sgreto¬lamento implicito nel «decadere-finire». Lo «stato», il perdurare, il permanere all’apice della nazione, risulterà allora vincolato, in qualche modo, tanto al suo inizio quanto al suo esaurimento, senza per altro auto¬ma¬ticamente appiattirsi, senza completamente identificarsi né nell’uno né nell’al¬tro momento. Questa simmetria – è l’ipotesi del pre¬sente sondaggio – non esclude in ogni caso che il rapporto tra il «progresso» e lo «stato» risulti di qualità di¬versa dal vincolo che unisce l’acme alla «decadenza»: laddove proprio que¬st’ultimo legame finisce forse per evitare alla prestazione vichiana la ricaduta nell’organicismo naturalistico-provviden¬zialistico tradizionale (di stampo polibiano), presentandosi come l’elemento deci¬sivo e risolutivo del peculiare carattere «moderno» di un intero im¬pianto teo¬rico.
2011
Corruzione Decadenza Declino
147
165
R. Caporali (2011). Sulla «decadenza» in Vico. BOLOGNA : d.u.press.
R. Caporali
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