La tesi unificante del libro lavora sul carattere problematico e tensivo attraverso il quale la nozione di uguaglianza procede sempre, lungo tutta la cultura occidentale. Nel mondo antico è la differenza, la gerarchia, che anticipa, limita e contiene l’uguaglianza (contiene “diverse uguaglianze”): fino al paradosso – tale, almeno, per la mentalità moderna – alla luce del quale proprio la prima e più celebrata esperienza democratica europea, quella dell’Atene del V secolo a.C., non solo esclude dalla partecipazione politica donne e meteci, ma addirittura produce, nel momento e in funzione del suo stesso costituirsi, la douleía, la forma più rigida e più dura di schiavitù, che proprio in questo periodo, come poi nell’età aurea romana, diventa fenomeno massiccio e forma economica prevalente. La cultura cristiano-medievale muove dall’uguaglianza nei termini di una fratellanza universale, di un amore incondizionato e sconfinato (letteralmente “senza confine”, senza limite e barriera) che non ha precedenti, né religiosi né culturali (neppure nello stoicismo, da cui pure attinge non poche immagini e argomenti), salvo poi proprio da quell’amore e da quella fratellanza ricavare non solo la possibilità, ma la necessità e la provvidenzialità del dominio e della subordinazione nella vita terrena, conseguenza della umana imperfezione, in seguito alla Caduta nel peccato. Nell’assenza di un fondamento “esterno”, teologico-metafisico, che investa alcuni di una differenza ontologica sugli altri, la filosofia politica moderna procede alla costruzione razionalistica (progettuale-artificiale) dello Stato partendo dall’assioma-metafora di una uguaglianza naturale tra gli uomini (tra gli «individui») che, esposta alla insicurezza e all’incertezza, deve tradursi in mediazione formale-istituzionale, in diritto e uguaglianza politica. Un passaggio, un transito, nel quale tuttavia molti elementi di questa tendenziale universalità vengono consapevolmente e programmaticamente consumati, così da riproporre, all’ombra della ragione geometrico-deduttiva o di quella dialettica (conflittuale, produttiva) il tratto saliente di un ambito di inclusione (sociale, sessuale, nazionale, razziale) tanto più saldamente identificato quanto più caratterizzato per separazione e contrapposizione ad altre, diverse sfere di esclusione e soggezione. Molte le linee che tracciano quel confine, e sulle quali si dispiega tanta storia concettuale (e tanta storia tout court) dell’età moderna: amico-nemico, cittadino-straniero, bianco-colorato (selvaggio-civile), governante-governato, proprietario-proletario, padrone-schiavo, uomo-donna. Accanto alla generale declinazione morale e politica che assumono questi problemi, si è cercato di non perdere di vista – per esplicite trattazioni o riferimenti parentetici – soprattutto gli ultimi due tra questi binomi, perché scandiscono quasi circolarmente, dai primordi alla condizione attuale, le avventure e le disavventure dell’uguaglianza nella civiltà occidentale. Sia la schiavitù che i rapporti di genere non si presentano infatti, neanche oggi, come questioni “risolte”, concluse. Nell’ultimo capitolo del libro non mancano accenni al tempo attuale: tempo incerto, di transizione, laddove la crisi della modernità si segnala negli sfondamenti dei suoi confini spazio-temporali, per “globalizzazioni” che sfidano l’uguaglianza nel terreno della sua contraddittoria universalità.

R. Caporali (2012). Uguaglianza. BOLOGNA : Il Mulino.

Uguaglianza

CAPORALI, RICCARDO
2012

Abstract

La tesi unificante del libro lavora sul carattere problematico e tensivo attraverso il quale la nozione di uguaglianza procede sempre, lungo tutta la cultura occidentale. Nel mondo antico è la differenza, la gerarchia, che anticipa, limita e contiene l’uguaglianza (contiene “diverse uguaglianze”): fino al paradosso – tale, almeno, per la mentalità moderna – alla luce del quale proprio la prima e più celebrata esperienza democratica europea, quella dell’Atene del V secolo a.C., non solo esclude dalla partecipazione politica donne e meteci, ma addirittura produce, nel momento e in funzione del suo stesso costituirsi, la douleía, la forma più rigida e più dura di schiavitù, che proprio in questo periodo, come poi nell’età aurea romana, diventa fenomeno massiccio e forma economica prevalente. La cultura cristiano-medievale muove dall’uguaglianza nei termini di una fratellanza universale, di un amore incondizionato e sconfinato (letteralmente “senza confine”, senza limite e barriera) che non ha precedenti, né religiosi né culturali (neppure nello stoicismo, da cui pure attinge non poche immagini e argomenti), salvo poi proprio da quell’amore e da quella fratellanza ricavare non solo la possibilità, ma la necessità e la provvidenzialità del dominio e della subordinazione nella vita terrena, conseguenza della umana imperfezione, in seguito alla Caduta nel peccato. Nell’assenza di un fondamento “esterno”, teologico-metafisico, che investa alcuni di una differenza ontologica sugli altri, la filosofia politica moderna procede alla costruzione razionalistica (progettuale-artificiale) dello Stato partendo dall’assioma-metafora di una uguaglianza naturale tra gli uomini (tra gli «individui») che, esposta alla insicurezza e all’incertezza, deve tradursi in mediazione formale-istituzionale, in diritto e uguaglianza politica. Un passaggio, un transito, nel quale tuttavia molti elementi di questa tendenziale universalità vengono consapevolmente e programmaticamente consumati, così da riproporre, all’ombra della ragione geometrico-deduttiva o di quella dialettica (conflittuale, produttiva) il tratto saliente di un ambito di inclusione (sociale, sessuale, nazionale, razziale) tanto più saldamente identificato quanto più caratterizzato per separazione e contrapposizione ad altre, diverse sfere di esclusione e soggezione. Molte le linee che tracciano quel confine, e sulle quali si dispiega tanta storia concettuale (e tanta storia tout court) dell’età moderna: amico-nemico, cittadino-straniero, bianco-colorato (selvaggio-civile), governante-governato, proprietario-proletario, padrone-schiavo, uomo-donna. Accanto alla generale declinazione morale e politica che assumono questi problemi, si è cercato di non perdere di vista – per esplicite trattazioni o riferimenti parentetici – soprattutto gli ultimi due tra questi binomi, perché scandiscono quasi circolarmente, dai primordi alla condizione attuale, le avventure e le disavventure dell’uguaglianza nella civiltà occidentale. Sia la schiavitù che i rapporti di genere non si presentano infatti, neanche oggi, come questioni “risolte”, concluse. Nell’ultimo capitolo del libro non mancano accenni al tempo attuale: tempo incerto, di transizione, laddove la crisi della modernità si segnala negli sfondamenti dei suoi confini spazio-temporali, per “globalizzazioni” che sfidano l’uguaglianza nel terreno della sua contraddittoria universalità.
2012
265
9788815240590
R. Caporali (2012). Uguaglianza. BOLOGNA : Il Mulino.
R. Caporali
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/118982
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact