Tutti viaggiamo, più o meno spesso, per diporto. Quasi tutti raccogliamo biglietti e indirizzi, prendiamo appunti o scriviamo diari di viaggio, facciamo foto. Insomma, generiamo testi sui nostri viaggi. Ci siamo chiesti come la semiotica può analizzare il racconto del viaggio. Ma subito abbiamo stabilito di non voler analizzare i racconti di viaggio letterari, filmici o televisivi. Perché in definitiva sarebbe stato un ennesimo lavoro di analisi del testo narrativo, territorio che la semiotica ha ormai percorso in lungo e in largo. Abbiamo pensato che sarebbe stato interessante chiedere ai semiotici di analizzare i propri viaggi, sotto forma di testi prodotti per narrarli o come eventi, o come testi-eventi se si crede che non vi sia differenza tra esperienza e narrazione, o testo. Che un semiotico possa analizzare sé stesso non è questione che sia stata molto dibattuta. In sostanza, però, secondo il modello attanziale, uno stesso attore può ricoprire due posizioni, e dunque nulla osta a che l'analista possa essere un soggetto che ha di fronte il proprio comportamento -interiore ed esteriore- quale oggetto di valore da cogliere con l'osservazione. In questo movimento tra sé e sé, si aggiunge un ulteriore débrayage: quello spaziale, proprio del viaggio, che porta con sé inevitabilmente il distacco nel tempo, che sempre separa il racconto dall'esperienza contingente. Vi presentiamo il risultato, senza particolari commenti, uscito dai contributi di sette autori, passato attraverso il filtro del referaggio, che introduciamo con questo numero di Ocula. Lasciamo al lettore il piacere di incontrare testi semiotici che ci raccontano attori e luoghi, fondendoli sempre. La cosa che ci ha colpito è come, dal tema proposto, emergano i profili dei soggetti autoriali più che gli sfondi. Pare che, ancora una volta, il luogo comune che afferma il viaggio essere in primo luogo viaggio in sé stessi, si riconfermi. Questa prima esplorazione del viaggio si rivela anche una prima esplorazione nel campo interessantissimo di una semiotica dello sguardo riflessivo, del racconto di sé stessi. Tema tabù per molti, ma rivelatore senza pari del valore plastico del linguaggio, perché parlando di sé stessi l'oggetto e il soggetto collidono e si fondono, e il residuo linguistico che emerge è la cartina al tornasole di quella lente senza occhio che è l'io. In sintesi, vediamo anche tra i semiotici le due opposte posizioni che risultano dalla opposizione tra viaggio e ritorno, non-casa e casa, nomadi e stanziali. Vi è chi chiaramente nel viaggio vede la non-casa, il luogo nel quale si passa per poter tornare: “si viaggia per avere la nausea del viaggio, per accumulare nostalgia, per confermarsi nella convinzione che il mondo è una terra aliena e che non si può essere a proprio agio se non ‘a casa’.” (Leone). Vi è chi invece chi nel viaggio trova la dimensione del suo voler essere, la liberazione della sua energia, come Manzo che sintetizza sé stessa a New York con “She's wild”. Vediamo inoltre che il viaggio non è commensurabile alla stanzialità, non sono valori opponibili, perché spostarsi non è un modo di abitare, situarsi in una rete di costanti sociali e spaziali è del tutto diverso dal mutarle continuamente, perché lo stesso io muta, e con esso muta tutto. In questo viaggio tra i semiotici viaggiatori la nostra disciplina si estende dall'applicazione dei modelli classici alla critica di essi fino a stemperarsi nelle osservazioni di Pellerey, piccole notazioni non teoriche che ci interrogano su quell'occhio semiotico che marca questa testata, e che, in ultima istanza, deve dare valore a se stesso con ciò che sa vedere, come ogni altro strumento, e non soltanto con la lente attraverso la quale guarda il mondo.

G. Proni, D. Gasperi (2012). Ocula 12, marzo 2012. Alibi. Verso una semiotica del viaggio. RIMINI : Il Pasquino.

Ocula 12, marzo 2012. Alibi. Verso una semiotica del viaggio

PRONI, GIAMPAOLO;
2012

Abstract

Tutti viaggiamo, più o meno spesso, per diporto. Quasi tutti raccogliamo biglietti e indirizzi, prendiamo appunti o scriviamo diari di viaggio, facciamo foto. Insomma, generiamo testi sui nostri viaggi. Ci siamo chiesti come la semiotica può analizzare il racconto del viaggio. Ma subito abbiamo stabilito di non voler analizzare i racconti di viaggio letterari, filmici o televisivi. Perché in definitiva sarebbe stato un ennesimo lavoro di analisi del testo narrativo, territorio che la semiotica ha ormai percorso in lungo e in largo. Abbiamo pensato che sarebbe stato interessante chiedere ai semiotici di analizzare i propri viaggi, sotto forma di testi prodotti per narrarli o come eventi, o come testi-eventi se si crede che non vi sia differenza tra esperienza e narrazione, o testo. Che un semiotico possa analizzare sé stesso non è questione che sia stata molto dibattuta. In sostanza, però, secondo il modello attanziale, uno stesso attore può ricoprire due posizioni, e dunque nulla osta a che l'analista possa essere un soggetto che ha di fronte il proprio comportamento -interiore ed esteriore- quale oggetto di valore da cogliere con l'osservazione. In questo movimento tra sé e sé, si aggiunge un ulteriore débrayage: quello spaziale, proprio del viaggio, che porta con sé inevitabilmente il distacco nel tempo, che sempre separa il racconto dall'esperienza contingente. Vi presentiamo il risultato, senza particolari commenti, uscito dai contributi di sette autori, passato attraverso il filtro del referaggio, che introduciamo con questo numero di Ocula. Lasciamo al lettore il piacere di incontrare testi semiotici che ci raccontano attori e luoghi, fondendoli sempre. La cosa che ci ha colpito è come, dal tema proposto, emergano i profili dei soggetti autoriali più che gli sfondi. Pare che, ancora una volta, il luogo comune che afferma il viaggio essere in primo luogo viaggio in sé stessi, si riconfermi. Questa prima esplorazione del viaggio si rivela anche una prima esplorazione nel campo interessantissimo di una semiotica dello sguardo riflessivo, del racconto di sé stessi. Tema tabù per molti, ma rivelatore senza pari del valore plastico del linguaggio, perché parlando di sé stessi l'oggetto e il soggetto collidono e si fondono, e il residuo linguistico che emerge è la cartina al tornasole di quella lente senza occhio che è l'io. In sintesi, vediamo anche tra i semiotici le due opposte posizioni che risultano dalla opposizione tra viaggio e ritorno, non-casa e casa, nomadi e stanziali. Vi è chi chiaramente nel viaggio vede la non-casa, il luogo nel quale si passa per poter tornare: “si viaggia per avere la nausea del viaggio, per accumulare nostalgia, per confermarsi nella convinzione che il mondo è una terra aliena e che non si può essere a proprio agio se non ‘a casa’.” (Leone). Vi è chi invece chi nel viaggio trova la dimensione del suo voler essere, la liberazione della sua energia, come Manzo che sintetizza sé stessa a New York con “She's wild”. Vediamo inoltre che il viaggio non è commensurabile alla stanzialità, non sono valori opponibili, perché spostarsi non è un modo di abitare, situarsi in una rete di costanti sociali e spaziali è del tutto diverso dal mutarle continuamente, perché lo stesso io muta, e con esso muta tutto. In questo viaggio tra i semiotici viaggiatori la nostra disciplina si estende dall'applicazione dei modelli classici alla critica di essi fino a stemperarsi nelle osservazioni di Pellerey, piccole notazioni non teoriche che ci interrogano su quell'occhio semiotico che marca questa testata, e che, in ultima istanza, deve dare valore a se stesso con ciò che sa vedere, come ogni altro strumento, e non soltanto con la lente attraverso la quale guarda il mondo.
2012
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G. Proni, D. Gasperi (2012). Ocula 12, marzo 2012. Alibi. Verso una semiotica del viaggio. RIMINI : Il Pasquino.
G. Proni; D. Gasperi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/117185
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