Questo volume indaga una vicenda eversiva – quella del romanzo sperimentale e d’avanguardia – che ha percorso il ventesimo secolo, per poi esaurirsi, fino all’estinzione. Il Novecento è stato, come già aveva compreso Bachtin, il tempo della definitiva «romanzizzazione» della letteratura, e malgrado le avanguardie abbiano spesso avversato, denigrato, sabotato il genere romanzo, la narrativa si è proficuamente avvalsa delle istanze sperimentali degli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi, il canone e il mercato sembrano essersi spartiti equamente la tradizione e il presente della prosa romanzesca. Resta però un interstizio tra questi due mondi: quello dei refusés che il tempo non risarcisce, rifiutati dall’accademia, rifiutati dal pubblico. Avanguardia e sperimentalismo: che se, in questo secolo di conflitti, sono stati intesi come sinonimi, o almeno come fenomeni complementari, nella storia particolare del romanzo furono forse addirittura opposti. Una dialettica che si riconosce nella contiguità stretta, divenuta poi contrapposizione, tra James Joyce e Samuel Beckett: l’onnipotenza della parola contro una poetica dell’impotenza. E anche in seno alla letteratura italiana vi furono una «funzione Joyce» e una «funzione Beckett». In sede romanzesca, il nichilismo dell’avanguardia, che si incarnò essenzialmente nel Gruppo 63, si è espresso in una tensione alla non-significazione, allo smontaggio programmatico di ogni coerenza narrativa, alla vanificazione delle attese. Il Terrore nelle lettere, come avrebbe detto Jean Paulhan. E, come ogni Terrore, forse necessario ma destinato a breve vita. Ripercorrere oggi l’esperienza del Gruppo 63 – nel dibattito critico e nelle scritture, in rapporto all’école du regard, al Gruppo 47, alla narrativa anglo-americana – significa riandare a un’esperienza estrema, che l’organismo della letteratura nazionale non ha potuto espellere né assimilare, e che vi resta come una cicatrice, visibile ma ingrata alla vista. Alla ricostruzione circostanziata di un campo letterario in trasformazione, in cui giocarono un ruolo cruciale le riviste, gli editor e i traduttori, fanno seguito alcune puntuali letture, volte all’individuazione dell’influsso di Beckett romanziere su Manganelli e Malerba, Lucentini e Celati, Sanguineti e Spatola, Balestrini e Porta. Un intero ramo del romanzo contemporaneo che non ha fatto canone, e più spesso eluso che non autenticamente discusso: del quale rimaneva tuttavia necessaria l’indagine, e di cui può essere fruttuosa la scoperta.
L. Weber (2007). "Con onesto amore di degradazione": romanzi sperimentali e d'avanguardia nel secondo Novecento italiano.. BOLOGNA : Il Mulino.
"Con onesto amore di degradazione": romanzi sperimentali e d'avanguardia nel secondo Novecento italiano.
WEBER, LUIGI
2007
Abstract
Questo volume indaga una vicenda eversiva – quella del romanzo sperimentale e d’avanguardia – che ha percorso il ventesimo secolo, per poi esaurirsi, fino all’estinzione. Il Novecento è stato, come già aveva compreso Bachtin, il tempo della definitiva «romanzizzazione» della letteratura, e malgrado le avanguardie abbiano spesso avversato, denigrato, sabotato il genere romanzo, la narrativa si è proficuamente avvalsa delle istanze sperimentali degli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi, il canone e il mercato sembrano essersi spartiti equamente la tradizione e il presente della prosa romanzesca. Resta però un interstizio tra questi due mondi: quello dei refusés che il tempo non risarcisce, rifiutati dall’accademia, rifiutati dal pubblico. Avanguardia e sperimentalismo: che se, in questo secolo di conflitti, sono stati intesi come sinonimi, o almeno come fenomeni complementari, nella storia particolare del romanzo furono forse addirittura opposti. Una dialettica che si riconosce nella contiguità stretta, divenuta poi contrapposizione, tra James Joyce e Samuel Beckett: l’onnipotenza della parola contro una poetica dell’impotenza. E anche in seno alla letteratura italiana vi furono una «funzione Joyce» e una «funzione Beckett». In sede romanzesca, il nichilismo dell’avanguardia, che si incarnò essenzialmente nel Gruppo 63, si è espresso in una tensione alla non-significazione, allo smontaggio programmatico di ogni coerenza narrativa, alla vanificazione delle attese. Il Terrore nelle lettere, come avrebbe detto Jean Paulhan. E, come ogni Terrore, forse necessario ma destinato a breve vita. Ripercorrere oggi l’esperienza del Gruppo 63 – nel dibattito critico e nelle scritture, in rapporto all’école du regard, al Gruppo 47, alla narrativa anglo-americana – significa riandare a un’esperienza estrema, che l’organismo della letteratura nazionale non ha potuto espellere né assimilare, e che vi resta come una cicatrice, visibile ma ingrata alla vista. Alla ricostruzione circostanziata di un campo letterario in trasformazione, in cui giocarono un ruolo cruciale le riviste, gli editor e i traduttori, fanno seguito alcune puntuali letture, volte all’individuazione dell’influsso di Beckett romanziere su Manganelli e Malerba, Lucentini e Celati, Sanguineti e Spatola, Balestrini e Porta. Un intero ramo del romanzo contemporaneo che non ha fatto canone, e più spesso eluso che non autenticamente discusso: del quale rimaneva tuttavia necessaria l’indagine, e di cui può essere fruttuosa la scoperta.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.