In Italia l’idea di nazione si è costituita intorno a una dimensione letteraria, oltre che linguistica. Va da sé che si trattò ancora di un’identità ideale, di un’utopia che, nutrita di valori letterari e di una salda tradizione umanistica, si tradusse in un “mito”. La ricorrenza di siffatte rivendicazioni è tanto più frequente quanto più debole è il tessuto connettivo di tipo politico o economico. In una prolusione del 1803 tenuta all’Università di Pavia e dedicata all’"Obbligo di onorare i primi scopritori del vero in fatto di scienze" Vincenzo Monti ammoniva che il ricordo delle glorie nazionali è tanto più cogente per quei popoli «cui né forze marittime né commerciali stabilimenti né formidabili eserciti né unità nazionale ponno rendere rispettato». Benché oppressa militarmente dagli invasori stranieri e politicamente divisa, l’Italia si riscatta con la supremazia delle sue opere d’ingegno e con i suoi meriti letterari, estesi alle opere di filosofi come Campanella e di scienziati come Galileo. Già nel Settecento si diffonde la tesi di quel primato della nazione italiana che troverà la sua continuazione e il suo apice, alla metà del secolo successivo, nell’opera di Vincenzo Gioberti. A rafforzare il senso di appartenenza nazionale della letteratura italiana furono gli attacchi che le vennero mossi dai francesi, eccitatori dapprima della querelle letteraria intercorsa tra Dominique Bouhours e gli italiani rappresentati da Giovanni Giuseppe Orsi e poi del veemente auspicio del misogallico Alfieri, quello che, con il tipico lessico del linguaggio profetico, gli fece predire che «Giorno verrà, tornerà ’l giorno, in cui / redivivi omai gl’Itali, staranno / in campo audaci». Certo, anche qui si nota un tono enfatico di maniera. Nondimeno, per quanto al momento irrealizzabile, il sogno visionario alfieriano, di natura tutta letteraria, è servito a indicare una meta alle generazioni del Risorgimento. La sua visione aristocratica e astratta è diventata nell’Ottocento strumento tangibile di propaganda. Ecco perché Alfieri è stato opportunamente definito «poeta della vigilia», dopo che Foscolo per primo ne ha propagato questa iconografia raffigurandolo nei "Sepolcri" con «il pallor della morte e la speranza» (v. 195). Al tempo della Rivoluzione francese sorse una nuova forma di culto laico i cui protagonisti furono i poeti, fatti oggetto di una venerazione patriottica. Del resto proprio Alfieri compì nel 1783 un pellegrinaggio ad Arquà, a Ferrara e a Ravenna sulle tombe di Petrarca, Ariosto e Dante. In ciò non c’è niente di archeologico o di museografico, perché la storia passata doveva diventare l’impulso per il presente. Lo intese benissimo Leopardi nella canzone "Sopra il monumento di Dante". Poco dopo Manzoni compendiava in due versi dell’ode "Marzo 1821" la sua idea di nazione nella quale non poteva mancare la condivisione della lingua: «una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor». A istituire una più diffusa disamina in questo senso fu Gioberti, mettendo però in chiaro il livello tradizionalmente elitario della letteratura italiana, che ricorre unitariamente alla «lingua scritta ed illustre», ma è ancora divisa nella «favella popolare». Altri autori presi in esame sono Nievo e De Sanctis.

«Giorno verrà…». Le premesse letterarie del Risorgimento / Battistini A.. - STAMPA. - (2011), pp. 29-44.

«Giorno verrà…». Le premesse letterarie del Risorgimento

BATTISTINI, ANDREA
2011

Abstract

In Italia l’idea di nazione si è costituita intorno a una dimensione letteraria, oltre che linguistica. Va da sé che si trattò ancora di un’identità ideale, di un’utopia che, nutrita di valori letterari e di una salda tradizione umanistica, si tradusse in un “mito”. La ricorrenza di siffatte rivendicazioni è tanto più frequente quanto più debole è il tessuto connettivo di tipo politico o economico. In una prolusione del 1803 tenuta all’Università di Pavia e dedicata all’"Obbligo di onorare i primi scopritori del vero in fatto di scienze" Vincenzo Monti ammoniva che il ricordo delle glorie nazionali è tanto più cogente per quei popoli «cui né forze marittime né commerciali stabilimenti né formidabili eserciti né unità nazionale ponno rendere rispettato». Benché oppressa militarmente dagli invasori stranieri e politicamente divisa, l’Italia si riscatta con la supremazia delle sue opere d’ingegno e con i suoi meriti letterari, estesi alle opere di filosofi come Campanella e di scienziati come Galileo. Già nel Settecento si diffonde la tesi di quel primato della nazione italiana che troverà la sua continuazione e il suo apice, alla metà del secolo successivo, nell’opera di Vincenzo Gioberti. A rafforzare il senso di appartenenza nazionale della letteratura italiana furono gli attacchi che le vennero mossi dai francesi, eccitatori dapprima della querelle letteraria intercorsa tra Dominique Bouhours e gli italiani rappresentati da Giovanni Giuseppe Orsi e poi del veemente auspicio del misogallico Alfieri, quello che, con il tipico lessico del linguaggio profetico, gli fece predire che «Giorno verrà, tornerà ’l giorno, in cui / redivivi omai gl’Itali, staranno / in campo audaci». Certo, anche qui si nota un tono enfatico di maniera. Nondimeno, per quanto al momento irrealizzabile, il sogno visionario alfieriano, di natura tutta letteraria, è servito a indicare una meta alle generazioni del Risorgimento. La sua visione aristocratica e astratta è diventata nell’Ottocento strumento tangibile di propaganda. Ecco perché Alfieri è stato opportunamente definito «poeta della vigilia», dopo che Foscolo per primo ne ha propagato questa iconografia raffigurandolo nei "Sepolcri" con «il pallor della morte e la speranza» (v. 195). Al tempo della Rivoluzione francese sorse una nuova forma di culto laico i cui protagonisti furono i poeti, fatti oggetto di una venerazione patriottica. Del resto proprio Alfieri compì nel 1783 un pellegrinaggio ad Arquà, a Ferrara e a Ravenna sulle tombe di Petrarca, Ariosto e Dante. In ciò non c’è niente di archeologico o di museografico, perché la storia passata doveva diventare l’impulso per il presente. Lo intese benissimo Leopardi nella canzone "Sopra il monumento di Dante". Poco dopo Manzoni compendiava in due versi dell’ode "Marzo 1821" la sua idea di nazione nella quale non poteva mancare la condivisione della lingua: «una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor». A istituire una più diffusa disamina in questo senso fu Gioberti, mettendo però in chiaro il livello tradizionalmente elitario della letteratura italiana, che ricorre unitariamente alla «lingua scritta ed illustre», ma è ancora divisa nella «favella popolare». Altri autori presi in esame sono Nievo e De Sanctis.
2011
L’Italia verso l’unità. Letterati, eroi, patrioti
29
44
«Giorno verrà…». Le premesse letterarie del Risorgimento / Battistini A.. - STAMPA. - (2011), pp. 29-44.
Battistini A.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/110864
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