Il titolo del libro allude ovviamente alla pellicola di Sergio Leone. Nel richiamare un film così noto si procede a una specie di dichiarazione di intenti, nel senso che, sebbene progettato per corsi universitari, Il buono, il brutto, il passivo non è un volume riservato solo agli addetti ai lavori. Al contrario, sia dal punto di vista del trattamento linguistico con abolizione dei gerghismi e del critichese, sia da quello dei contenuti, densi di riferimenti al mondo della musica, della moda e del cinema con inviti continui a fare “googling” e a navigare su YouTube, il libro di fatto tratteggia una mappatura della storia dell’arte del Novecento, su su fino alle ultime tendenze. Un testo utile come guida, perfino come manuale, dosato sì sull’analisi dei grandi nomi storici ma sensibilmente sbilanciato sulle ricerche artistiche degli ultimi vent’anni, periodo su cui la saggistica è molto carente. Il taglio rimane estetologico, volto a ricavare dagli argomenti affrontati un pattern interpretativo passibile di agganciarsi a temi che riguardano la sociologia, la psicologia e la mass-mediologia. Uno strumento versatile, quindi, pensato a sostegno della didattica senza tuttavia arricciarsi su eccessivi specialismi. L’idea di base consiste in una ricognizione dell’arte contemporanea attraverso le sue nove modalità espressive, esaminate, nelle tipologie fondamentali, seguendo essenzialmente tre monoblocchi cronologici. Il primo analizza il pacchetto di soluzioni offerto dalle avanguardie storiche negli anni dieci-venti, in cui i vari protagonisti gettano le fondamenta di tecniche successivamente evolutesi “alla seconda”, negli anni cinquanta-sessanta, e poi “alla terza”, negli anni novanta-duemila, con indicizzazione esponenziale. Ci sarà pertanto un collage, un collage(2) e un collage(3), come pure un readymade, un readymade(2) e via dicendo, laddove l’indice sottolinea gli aggiornamenti e gli accrescimenti che nel frattempo si sono verificati nei vari rimbalzi cronologici in termini di appeal e di coinvolgimento nei riguardi del fruitore. Le sezioni di questo progetto ne delineano una sintesi nelle pagine che seguono. Va aggiunta un’ultima annotazione. Il motivo per cui sono assenti gli anni trenta-quaranta e settanta-ottanta sta nel fatto che gli artisti maturati in questi anni si dedicano in prevalenza alla pittura, quindi a una tecnica secolare se non millenaria, comunque non nata nella contemporaneità. Per evitare buchi filologici e ammanchi storiografici, naturalmente di questi periodi si daranno i contorni principali, provvedendo ai giusti raccordi rispetto agli snodi che interessano il fulcro del libro. Veniamo al titolo, più nello specifico. “Il buono” si riferisce a un ambito espressivo legato alla sfera del gusto, o in accezione più allargata alla dimensione dell’olfatto, poi ancora agli altri organi di percezione, passando per udito, tatto, senza trascurare la vista: fino a includere la rosa totale dei sensi, secondo lo spirito più autentico dell’arte contemporanea. Le tecniche nate a inizio Novecento servono esattamente a questo, ad allargare l’impatto delle tante soluzioni possibili secondo esperienze da vivere attivamente con tutti i sensi. Anche a costo, come spesso accade, di optare per esiti “brutti”, per stare al secondo termine del titolo: sgraziati, a volte irritanti, comunque in grado di sottrarre all’occhio il suo primato fruizionale. Le arti tradizionali si fondano infatti sull’egemonia di una visione oculare, sono concepite per essere “guardate” frontalmente, senza possibilità di interazione, relegando lo spettatore al ruolo marginale del vedere “da fermo”. Ecco allora la ragione che giustifica il terzo aggettivo del titolo, “il passivo”. Il buono, il brutto, il passivo segue un percorso opposto, volto a riaccreditare le ragioni del fruitore, a fargli comprendere che gli stili e le tecniche dell’arte contemporanea ne redimono e ne risvegliano la partecipazione mettendolo al centro dell’opera. Chiede...

F. Fabbri (2011). Il buono il brutto il passivo. MILANO : Bruno Mondadori.

Il buono il brutto il passivo

FABBRI, FABRIANO
2011

Abstract

Il titolo del libro allude ovviamente alla pellicola di Sergio Leone. Nel richiamare un film così noto si procede a una specie di dichiarazione di intenti, nel senso che, sebbene progettato per corsi universitari, Il buono, il brutto, il passivo non è un volume riservato solo agli addetti ai lavori. Al contrario, sia dal punto di vista del trattamento linguistico con abolizione dei gerghismi e del critichese, sia da quello dei contenuti, densi di riferimenti al mondo della musica, della moda e del cinema con inviti continui a fare “googling” e a navigare su YouTube, il libro di fatto tratteggia una mappatura della storia dell’arte del Novecento, su su fino alle ultime tendenze. Un testo utile come guida, perfino come manuale, dosato sì sull’analisi dei grandi nomi storici ma sensibilmente sbilanciato sulle ricerche artistiche degli ultimi vent’anni, periodo su cui la saggistica è molto carente. Il taglio rimane estetologico, volto a ricavare dagli argomenti affrontati un pattern interpretativo passibile di agganciarsi a temi che riguardano la sociologia, la psicologia e la mass-mediologia. Uno strumento versatile, quindi, pensato a sostegno della didattica senza tuttavia arricciarsi su eccessivi specialismi. L’idea di base consiste in una ricognizione dell’arte contemporanea attraverso le sue nove modalità espressive, esaminate, nelle tipologie fondamentali, seguendo essenzialmente tre monoblocchi cronologici. Il primo analizza il pacchetto di soluzioni offerto dalle avanguardie storiche negli anni dieci-venti, in cui i vari protagonisti gettano le fondamenta di tecniche successivamente evolutesi “alla seconda”, negli anni cinquanta-sessanta, e poi “alla terza”, negli anni novanta-duemila, con indicizzazione esponenziale. Ci sarà pertanto un collage, un collage(2) e un collage(3), come pure un readymade, un readymade(2) e via dicendo, laddove l’indice sottolinea gli aggiornamenti e gli accrescimenti che nel frattempo si sono verificati nei vari rimbalzi cronologici in termini di appeal e di coinvolgimento nei riguardi del fruitore. Le sezioni di questo progetto ne delineano una sintesi nelle pagine che seguono. Va aggiunta un’ultima annotazione. Il motivo per cui sono assenti gli anni trenta-quaranta e settanta-ottanta sta nel fatto che gli artisti maturati in questi anni si dedicano in prevalenza alla pittura, quindi a una tecnica secolare se non millenaria, comunque non nata nella contemporaneità. Per evitare buchi filologici e ammanchi storiografici, naturalmente di questi periodi si daranno i contorni principali, provvedendo ai giusti raccordi rispetto agli snodi che interessano il fulcro del libro. Veniamo al titolo, più nello specifico. “Il buono” si riferisce a un ambito espressivo legato alla sfera del gusto, o in accezione più allargata alla dimensione dell’olfatto, poi ancora agli altri organi di percezione, passando per udito, tatto, senza trascurare la vista: fino a includere la rosa totale dei sensi, secondo lo spirito più autentico dell’arte contemporanea. Le tecniche nate a inizio Novecento servono esattamente a questo, ad allargare l’impatto delle tante soluzioni possibili secondo esperienze da vivere attivamente con tutti i sensi. Anche a costo, come spesso accade, di optare per esiti “brutti”, per stare al secondo termine del titolo: sgraziati, a volte irritanti, comunque in grado di sottrarre all’occhio il suo primato fruizionale. Le arti tradizionali si fondano infatti sull’egemonia di una visione oculare, sono concepite per essere “guardate” frontalmente, senza possibilità di interazione, relegando lo spettatore al ruolo marginale del vedere “da fermo”. Ecco allora la ragione che giustifica il terzo aggettivo del titolo, “il passivo”. Il buono, il brutto, il passivo segue un percorso opposto, volto a riaccreditare le ragioni del fruitore, a fargli comprendere che gli stili e le tecniche dell’arte contemporanea ne redimono e ne risvegliano la partecipazione mettendolo al centro dell’opera. Chiede...
2011
160
9788861596009
F. Fabbri (2011). Il buono il brutto il passivo. MILANO : Bruno Mondadori.
F. Fabbri
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