Alla luce degli studi innovativi di Murray Schafer sul soundscape (il paesaggio sonoro) e di quelli di ecologia acustica in relazione alla schizophonia (conseguenza dell’aver culturalmente separato i suoni da chi li produce naturalmente, consegnandoli a un’esistenza indipendente e magari amplificata), il saggio vorrebbe ricostruire innanzitutto il suono dell’America in relazione alla percezione dello spazio. E’ un ambito di studi piuttosto recente che ha tuttavia trovato documentazione e respiro nei lavori di Mark M. Smith (Listening to Nineteenth-Century America, 2001), Richard Cullen Rath (How Early America Sounded, 2003), Jonathan Sterne (The Audible Past. Cultural Origins of Sound Reproduction, 2003), ed anche una sponda da antropologia contemporanea ed etnologia in quelli di Veit Erlmann (curatore di Hearing Cultures. Essays on Sound, Listeming and Modernity, 2004), Emily Thompson (The Soundscape of Modernity. Architectural Acoustics and the Culture of Listening in America, 1900-1933, 2002) e Jim Drobnick (curatore di Aural Cultures, 2004), Michael Bull & Les Back (curator di The Auditory Culture Reader, 2003). Con un coté più specificamente accostato alla musica, si fa riferimento ai volumi di Christoph Cox & Daniel Warner (curatori di Audio Culture. Readings in Modern Music, 2005), agli studi della IASPM convogliati in Soundscapes. Essays on Vroom and Moo (1994) e soprattutto al lavoro seminale di Philip Tagg, oggi condensato nel “monumentale” Ten Little Title Tunes. Toward a Musicology of the Mass Media (2003), scritto insieme a Bob Clarida. Nel contesto di uno studio dell’esperienza sonora dello spazio aperto americano in relazione a un macro-genere che potremmo definire “western”, il saggio riflette sul soundscape associato all’espansione verso ovest, alla frontiera e alla wilderness, ovvero sul rapporto tra suoni e rumori ambientali e la loro resa sonica e musicale nella musica – colta e popolare – in chiave descrittiva, subliminale o quantomeno non-intenzionale, associativa, dichiarativo-propositiva in relazione alla costruzione di un’identità nazionale o regionale (in particolare il tentativo di catturare e riproporre in musica lo “spirito americano”); ovvero, ancora, sulle trasformazioni di un singolo musema (frase musicale minima, dotata di significato) o poco più. Vengono rintracciate le influenze della musica romantica europea, l’immaginario sonico (ritmico, armonico, melodico) del movimento (diverse le anafonie equine a confronto, dal galoppo al passo del cavallo dei carri/accanto ai carri, su cui poi il saggio si concentra), le stereotipie (musicali) del meraviglioso e dell’esotico (particolarmente utili nel ricreare il contrasto con l’Altro per eccellenza, il Native American, nell’affinare campi e spazi sonici diversi). Il corpus analizzato/utilizzato va da compositori come Ferde Grofé (Grand Canyon Suite) e Aaron Copland (Appalachian Spring, Billy the Kid), alle colonne sonore di film, western televisivi e commercials, alle recenti rivisitazioni di tali temi sonori da parte di compositori e musicisti d’avanguardia come Bill Frisell e altri.

F. Minganti (2011). Paesaggi sonori & anafonie equine: l'immaginario sonico dell'espansione verso Ovest. BOLOGNA : I libri di Emil.

Paesaggi sonori & anafonie equine: l'immaginario sonico dell'espansione verso Ovest

MINGANTI, FRANCO
2011

Abstract

Alla luce degli studi innovativi di Murray Schafer sul soundscape (il paesaggio sonoro) e di quelli di ecologia acustica in relazione alla schizophonia (conseguenza dell’aver culturalmente separato i suoni da chi li produce naturalmente, consegnandoli a un’esistenza indipendente e magari amplificata), il saggio vorrebbe ricostruire innanzitutto il suono dell’America in relazione alla percezione dello spazio. E’ un ambito di studi piuttosto recente che ha tuttavia trovato documentazione e respiro nei lavori di Mark M. Smith (Listening to Nineteenth-Century America, 2001), Richard Cullen Rath (How Early America Sounded, 2003), Jonathan Sterne (The Audible Past. Cultural Origins of Sound Reproduction, 2003), ed anche una sponda da antropologia contemporanea ed etnologia in quelli di Veit Erlmann (curatore di Hearing Cultures. Essays on Sound, Listeming and Modernity, 2004), Emily Thompson (The Soundscape of Modernity. Architectural Acoustics and the Culture of Listening in America, 1900-1933, 2002) e Jim Drobnick (curatore di Aural Cultures, 2004), Michael Bull & Les Back (curator di The Auditory Culture Reader, 2003). Con un coté più specificamente accostato alla musica, si fa riferimento ai volumi di Christoph Cox & Daniel Warner (curatori di Audio Culture. Readings in Modern Music, 2005), agli studi della IASPM convogliati in Soundscapes. Essays on Vroom and Moo (1994) e soprattutto al lavoro seminale di Philip Tagg, oggi condensato nel “monumentale” Ten Little Title Tunes. Toward a Musicology of the Mass Media (2003), scritto insieme a Bob Clarida. Nel contesto di uno studio dell’esperienza sonora dello spazio aperto americano in relazione a un macro-genere che potremmo definire “western”, il saggio riflette sul soundscape associato all’espansione verso ovest, alla frontiera e alla wilderness, ovvero sul rapporto tra suoni e rumori ambientali e la loro resa sonica e musicale nella musica – colta e popolare – in chiave descrittiva, subliminale o quantomeno non-intenzionale, associativa, dichiarativo-propositiva in relazione alla costruzione di un’identità nazionale o regionale (in particolare il tentativo di catturare e riproporre in musica lo “spirito americano”); ovvero, ancora, sulle trasformazioni di un singolo musema (frase musicale minima, dotata di significato) o poco più. Vengono rintracciate le influenze della musica romantica europea, l’immaginario sonico (ritmico, armonico, melodico) del movimento (diverse le anafonie equine a confronto, dal galoppo al passo del cavallo dei carri/accanto ai carri, su cui poi il saggio si concentra), le stereotipie (musicali) del meraviglioso e dell’esotico (particolarmente utili nel ricreare il contrasto con l’Altro per eccellenza, il Native American, nell’affinare campi e spazi sonici diversi). Il corpus analizzato/utilizzato va da compositori come Ferde Grofé (Grand Canyon Suite) e Aaron Copland (Appalachian Spring, Billy the Kid), alle colonne sonore di film, western televisivi e commercials, alle recenti rivisitazioni di tali temi sonori da parte di compositori e musicisti d’avanguardia come Bill Frisell e altri.
2011
Topografia delle culture
251
275
F. Minganti (2011). Paesaggi sonori & anafonie equine: l'immaginario sonico dell'espansione verso Ovest. BOLOGNA : I libri di Emil.
F. Minganti
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/109598
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