Il saggio affronta lo stretto e mutevole rapporto che intercorse tra le due istituzioni, entrambe rappresentative di elementi cardine dell’identità domenicana. Studio e attività antiereticale si coniugarono con un’iniziale funzionalità del primo aspetto al secondo, per poi progressivamente svincolarsi, consentendo così all’ordine di aprirsi culturalmente verso orizzonti molto più ampi. Questo processo di carattere generale risulta evidente anche nella provincia domenicana di Lombardia (e più tardi, dal 1303, Lombardia inferior), ambito geografico in cui il convento bolognese ricoprì un ruolo centrale sia dal punto di vista dell’attività scientifica – essendo sede, dal 1248, di uno dei quattro studia generalia dell’ordine – che da quello dell’azione inquisitoriale. La misura in cui si combinarono formazione intellettuale e repressione del dissenso religioso ci viene restituita dal profilo di alcuni inquisitori. Partendo dagli anni ‘30-’40, è in primo luogo considerata la figura del celebre teologo Rolando da Cremona, i cui presunti mandati inquisitoriali – precedenti il lettorato bolognese – necessitano di una rivisitazione critica in considerazione del precario assetto normativo-istituzionale del negotium fidei in quel frangente storico. Il rapido consolidamento dell’inquisizione su nuove basi all’indomani dell’assassinio di S. Pietro martire per mano di eretici, comporta un diverso profilo del giudice della fede, cui sono richiesti pragmatismo e competenza procedurale piuttosto che un solido background teologico. Nella produzione scritta degli inquisitori le dotte opere controversistiche cedono gradualmente il passo ai tecnici manuali inquisitoriali, i cui estensori rivelano un certo disagio nell’adattare la loro cultura scientifica ad un genere che in sostanza prescinde da aspetti non funzionali, vale a dire non strettamente giuridici. Anche l’attività consulente – richiesta con frequenza ai lettori dello Studium generale, anche di larga fama (Guido Vernani, Giovanni della Bibbia, Corrado da Ascoli, Aimerico Giliani ecc.) – si riduce il più delle volte ad un semplice assenso di carattere procedurale all’operato degli inquisitori. La progressiva scomparsa degli eretici veri e propri (catari, dolciniani, valdesi) e l’individuazione ad inizio Trecento, soprattutto a partire del pontificato di Giovanni XXII, di nuove forme di non conformismo religioso, richiesero agli inquisitori una più profonda competenza teologica e scientifica. Tuttavia, successivamente ai grandi processi politici per eresia contro gli Estensi e contro i fautori di Ludovico il Bavaro, il legame tra Studium e negotium fidei tende ad allentarsi: i titolari dell’officium assumono progressivamente i connotati di agenti finanziari in stretto contatto con il milieu conventuale, pur agendo in completa autonomia e risultando sostanzialmente esterni allo stesso.
R. Parmeggiani (2009). Studium domenicano e Inquisizione. FIRENZE : Nerbini.
Studium domenicano e Inquisizione
PARMEGGIANI, RICCARDO
2009
Abstract
Il saggio affronta lo stretto e mutevole rapporto che intercorse tra le due istituzioni, entrambe rappresentative di elementi cardine dell’identità domenicana. Studio e attività antiereticale si coniugarono con un’iniziale funzionalità del primo aspetto al secondo, per poi progressivamente svincolarsi, consentendo così all’ordine di aprirsi culturalmente verso orizzonti molto più ampi. Questo processo di carattere generale risulta evidente anche nella provincia domenicana di Lombardia (e più tardi, dal 1303, Lombardia inferior), ambito geografico in cui il convento bolognese ricoprì un ruolo centrale sia dal punto di vista dell’attività scientifica – essendo sede, dal 1248, di uno dei quattro studia generalia dell’ordine – che da quello dell’azione inquisitoriale. La misura in cui si combinarono formazione intellettuale e repressione del dissenso religioso ci viene restituita dal profilo di alcuni inquisitori. Partendo dagli anni ‘30-’40, è in primo luogo considerata la figura del celebre teologo Rolando da Cremona, i cui presunti mandati inquisitoriali – precedenti il lettorato bolognese – necessitano di una rivisitazione critica in considerazione del precario assetto normativo-istituzionale del negotium fidei in quel frangente storico. Il rapido consolidamento dell’inquisizione su nuove basi all’indomani dell’assassinio di S. Pietro martire per mano di eretici, comporta un diverso profilo del giudice della fede, cui sono richiesti pragmatismo e competenza procedurale piuttosto che un solido background teologico. Nella produzione scritta degli inquisitori le dotte opere controversistiche cedono gradualmente il passo ai tecnici manuali inquisitoriali, i cui estensori rivelano un certo disagio nell’adattare la loro cultura scientifica ad un genere che in sostanza prescinde da aspetti non funzionali, vale a dire non strettamente giuridici. Anche l’attività consulente – richiesta con frequenza ai lettori dello Studium generale, anche di larga fama (Guido Vernani, Giovanni della Bibbia, Corrado da Ascoli, Aimerico Giliani ecc.) – si riduce il più delle volte ad un semplice assenso di carattere procedurale all’operato degli inquisitori. La progressiva scomparsa degli eretici veri e propri (catari, dolciniani, valdesi) e l’individuazione ad inizio Trecento, soprattutto a partire del pontificato di Giovanni XXII, di nuove forme di non conformismo religioso, richiesero agli inquisitori una più profonda competenza teologica e scientifica. Tuttavia, successivamente ai grandi processi politici per eresia contro gli Estensi e contro i fautori di Ludovico il Bavaro, il legame tra Studium e negotium fidei tende ad allentarsi: i titolari dell’officium assumono progressivamente i connotati di agenti finanziari in stretto contatto con il milieu conventuale, pur agendo in completa autonomia e risultando sostanzialmente esterni allo stesso.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.