La cultura architettonica di Bartolomeo Cesi

The essay investigates Bartolomeo Cesi’s knowledge of architecture, showing how, within the climate of Paleotti’s reform, the artist adopts a visual language that rejects Mannerist crowding in favor of order, clarity, and restraint. From his earliest works (1574, the Vezza Chapel in Santo Stefano), he reduces ornament and uses architecture as an essential yet discreet element, capable of guiding the gaze and enhancing the legibility of the scene. His encounter with Domenico Tibaldi confirms this direction, reinforcing the idea of a functional and lucid architectural framework. In his mature years, Cesi develops a coherent approach to painted architecture, making conscious choices that absorb, and sublimate, the new naturalism of the Carracci: he depicts landscapes and buildings with almost topographical precision (San Procolo), constructs truly unified illusionistic spaces, as in the Charterhouse of Maggiano, and consistently opts for the wooden stable in his Nativities and Adorations rather than the classical ruins then in vogue. This countercurrent solution reflects Paleotti’s principle of resemblance to the real and reveals a deliberate adherence to Christian antiquitates, assigning architecture a persuasive role. In his final decades he continues to employ sober, well-proportioned structures, regular porticoes, clear architectural orders, and often checkerboard floors, maintaining a rigorous perspective always at the service of the narrative. The culmination of this approach is the Parable of the Wedding Banquet (San Giovanni in Monte, early 1600s), where the painted architecture, expansive and perfectly calibrated, organizes the entire scene into a coherent perspectival construction, enlivened by subtle variations that enhance its narrative effectiveness.

Nel contributo si indaga la conoscenza dell'architettura in Bartolomeo Cesi, osservando come, nel clima di riforma paleottiana, l'artista usi un linguaggio che rifiuta l’affollamento manierista, puntando, invece, su ordine, chiarezza e misura. Fin dai primi lavori (1574, cappella Vezza in Santo Stefano) riduce l’ornamento e fa dell’architettura un elemento essenziale ma discreto, capace di guidare lo sguardo e rendere la scena più leggibile. L’incontro con Domenico Tibaldi conferma questa direzione, rafforzando l’idea di un’architettura funzionale e nitida. Negli anni della maturità elabora con coerenza un’architettura dipinta manifestando scelte consapevoli che accolgono, sublimandolo, il nuovo naturalismo dei Carracci: rappresenta paesaggi e edifici con precisione quasi topografica (San Procolo), costruisce veri spazi illusionistici unitari, come nella certosa di Maggiano, e nelle Natività e Adorazioni sceglie sistematicamente la capanna lignea invece delle rovine classiche allora in voga. Questa soluzione, controcorrente, traduce il principio paleottiano della somiglianza al vero e rivela una consapevole adesione alle antiquitates cristiane, affidando all’architettura un ruolo persuasivo. Negli ultimi anni continua a usare strutture sobrie e proporzionate, quali portici regolari, ordini chiari e spesso pavimenti a scacchiera, mantenendo una prospettiva rigorosa ma sempre al servizio del racconto. Il punto d’arrivo è la Parabola del banchetto nuziale (San Giovanni in Monte, primo decenni del 1600), dove l’architettura dipinta, ampia e perfettamente calibrata, organizza l’intera scena in una macchina prospettica coerente, resa viva da piccole variazioni che ne accrescono l’efficacia narrativa.