Negli ultimi decenni, le maggiori organizzazioni internazionali hanno riconosciuto l’importanza di un’educazione sessuale completa (Comprehensive Sexuality Education-CSE) fin dalla prima infanzia, quale strumento per la promozione della cittadinanza – anche sessuale –, della parità di genere e della prevenzione di forme di violenza e abuso (UNESCO, 2018; WHO & BZgA, 2010). Dunque, la CSE si configura come una pratica educativa ampia, capace di integrare più piani e dimensioni – quali quelle cognitive, emotive, corporee e sociali – della sessualità e del genere, valorizzando lo sviluppo di competenze, atteggiamenti e valori (Goldfarb & Lieberman, 2021) che supportano il benessere delle persone fin dalla prima infanzia all’interno di un quadro di diritti umani. Tuttavia, in Italia questa prospettiva fatica a trovare spazio nei contesti educativi, soprattutto in quelli rivolti alle bambine e ai bambini nella fascia compresa tra gli 0 e gli 11 anni, dove la sessualità è ancora frequentemente considerata un ambito intimo, adulto, e perciò inappropriato per l’infanzia (Robinson & Davies, 2017). Non a caso, l’educazione sessuale nelle scuole italiane inizia mediamente a 14 anni, una delle età più alte in Europa, ed è spesso delegata alla volontà individuale di dirigenti e insegnanti. In relazione a queste premesse, il presente contributo si colloca all’interno di un quadro epistemologico che concepisce l’educazione sessuale come pratica emancipativa e responsabilità sociale (Demozzi & Ghigi, 2024). A questo proposito, si desidera presentare i primi risultati di una ricerca qualitativa condotta attraverso interviste semi-strutturate a educatrici di nido, insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria in Italia. L’indagine esplora aspettative, rappresentazioni, e pratiche legate all’educazione sessuale e affettiva, mettendo in luce tensioni tra approcci trasformativi e istanze normative, tra aperture verso la pluralità dei corpi e delle identità e resistenze spesso alimentate da paure e diffidenze. Attraverso le voci dei professionisti dell’educazione coinvolti nello studio, emergono pratiche quotidiane, dilemmi etici ed esperienze di negoziazione con le famiglie e le istituzioni, che interrogano la qualità dell’intervento educativo e la sua capacità di costruire contesti democratici e aperti alla valorizzazione delle differenze. Il lavoro propone, così, una riflessione pedagogica sui significati della responsabilità educativa nella formazione dei più piccoli sui temi legati alla sessualità e al genere, invitando a ripensare i confini di ciò che è ritenuto educabile e a sostenere, anche a partire dalla ricerca, ambienti capaci di accogliere l’infanzia nella sua interezza corporea, relazionale e affettiva.
Bonvini, E. (2025). Educare alla corporeità e all’affettività: una ricerca sull’educazione sessuale nella prima infanzia.
Educare alla corporeità e all’affettività: una ricerca sull’educazione sessuale nella prima infanzia
BONVINI ELEONORA
2025
Abstract
Negli ultimi decenni, le maggiori organizzazioni internazionali hanno riconosciuto l’importanza di un’educazione sessuale completa (Comprehensive Sexuality Education-CSE) fin dalla prima infanzia, quale strumento per la promozione della cittadinanza – anche sessuale –, della parità di genere e della prevenzione di forme di violenza e abuso (UNESCO, 2018; WHO & BZgA, 2010). Dunque, la CSE si configura come una pratica educativa ampia, capace di integrare più piani e dimensioni – quali quelle cognitive, emotive, corporee e sociali – della sessualità e del genere, valorizzando lo sviluppo di competenze, atteggiamenti e valori (Goldfarb & Lieberman, 2021) che supportano il benessere delle persone fin dalla prima infanzia all’interno di un quadro di diritti umani. Tuttavia, in Italia questa prospettiva fatica a trovare spazio nei contesti educativi, soprattutto in quelli rivolti alle bambine e ai bambini nella fascia compresa tra gli 0 e gli 11 anni, dove la sessualità è ancora frequentemente considerata un ambito intimo, adulto, e perciò inappropriato per l’infanzia (Robinson & Davies, 2017). Non a caso, l’educazione sessuale nelle scuole italiane inizia mediamente a 14 anni, una delle età più alte in Europa, ed è spesso delegata alla volontà individuale di dirigenti e insegnanti. In relazione a queste premesse, il presente contributo si colloca all’interno di un quadro epistemologico che concepisce l’educazione sessuale come pratica emancipativa e responsabilità sociale (Demozzi & Ghigi, 2024). A questo proposito, si desidera presentare i primi risultati di una ricerca qualitativa condotta attraverso interviste semi-strutturate a educatrici di nido, insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria in Italia. L’indagine esplora aspettative, rappresentazioni, e pratiche legate all’educazione sessuale e affettiva, mettendo in luce tensioni tra approcci trasformativi e istanze normative, tra aperture verso la pluralità dei corpi e delle identità e resistenze spesso alimentate da paure e diffidenze. Attraverso le voci dei professionisti dell’educazione coinvolti nello studio, emergono pratiche quotidiane, dilemmi etici ed esperienze di negoziazione con le famiglie e le istituzioni, che interrogano la qualità dell’intervento educativo e la sua capacità di costruire contesti democratici e aperti alla valorizzazione delle differenze. Il lavoro propone, così, una riflessione pedagogica sui significati della responsabilità educativa nella formazione dei più piccoli sui temi legati alla sessualità e al genere, invitando a ripensare i confini di ciò che è ritenuto educabile e a sostenere, anche a partire dalla ricerca, ambienti capaci di accogliere l’infanzia nella sua interezza corporea, relazionale e affettiva.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


