Da circa duecento anni siamo abituati a cogliere le prime forme di presentazione del contenuto di un libro nella coperta o nella sovracoperta. Ma non è stato sempre così. Per secoli i libri hanno per così dire “ritardato” la presentazione del loro contenuto, così come uno scrigno non rivela immediatamente le gemme che può contenere, ma – al contrario - con le sue promesse, fa crescere in chi lo osserva il desiderio di conoscerle e, naturalmente, di possederle. Le legature medievali e quelle del Rinascimento non rivelano mai il contenuto dei libri, anche se ciò non significa che siano completamente mute. La loro maggiore o minore ricchezza ottiene spesso l’effetto di suggerire o perfino di mimetizzare piuttosto che di rappresentare quello che sarà il testo da leggere. Ritardare il “disvelamento” del contenuto può contribuire ad aumentare la curiosità, facendo poi talvolta leva su una sorta di effetto/meraviglia. Questo naturalmente è tanto più vero quanto più il contenuto (non solo testuale, ma ad esempio di immagini) è ricco e lussuoso. All’epoca del libro manoscritto poi c’è anche un’altra ragione che sminuisce la necessità di mostrare all’esterno quello che c’è dentro un libro. Questa risiede nei rapporti che legano produttori e consumatori di libri. I manoscritti non sono prodotti per scopi commerciali, ma su committenza diretta del consumatore, il quale quindi conosce già perfettamente il contenuto del libro che commissiona alla bottega del copista. Non c’è quindi alcun motivo di “anticiparlo”. Per quanto riguarda il ruolo delle coperte, non ci furono sostanziali cambiamenti con l’invenzione della stampa. Così come per il manoscritto, la legatura nel libro a stampa è un momento separato della sua confezione. Tuttavia, dopo l’invenzione di Gutenberg, qualcosa cominciò a cambiare. Nel circa mezzo secolo che va dai paleotipi magontini ai primi anni del Cinquecento ci furono vistose, quanto non univoche trasformazioni. Alla fine di questo periodo, si affermò stabilmente il frontespizio.E’ noto che le pratiche catalografiche e quelle legate al controllo bibliografico si basano prevalentemente sull’esame delle “fonti di informazione” interne ad un documento. Ma l’attività dei bibliotecari e la ricerca storica sui libri del periodo della stampa manuale (1450-1830 circa), talvolta sembrano ignorarsi. Invece occorrerebbe ricorrere sempre ad una visione “binoculare” di questi fenomeni. Il lavoro è il risultato delle riflessioni che sono via via scaturite dal contatto con le fonti primarie (i libri del primo secolo della stampa) e secondarie (cataloghi, bibliografie e riproduzioni), nonché con la documentazione e la letteratura. Non sono i frontespizi l’oggetto, bensì quelle forme di presentazione, incipit, pagine bianche, occhietti, colophon, titoli finali, che ne hanno preceduto e accompagnato l’affermazione. Si sforza di coniugare le pratiche della professione bibliotecaria con le riflessioni della ricerca, nel tentativo, se non di colmare, almeno di ridurre una certa divaricazione che esiste tra questi due approcci ai libri antichi. Si rivolge a quanti, storici del libro e bibliotecari, si confrontano quotidianamente con i libri antichi e con le forme di presentazione (frammenti di “peritesto editoriale”) dei testi che vi sono contenuti.

Aspettando il frontespizio. Pagine bianche, occhietti e colophon nel libro antico

BALDACCHINI, LORENZO
2004

Abstract

Da circa duecento anni siamo abituati a cogliere le prime forme di presentazione del contenuto di un libro nella coperta o nella sovracoperta. Ma non è stato sempre così. Per secoli i libri hanno per così dire “ritardato” la presentazione del loro contenuto, così come uno scrigno non rivela immediatamente le gemme che può contenere, ma – al contrario - con le sue promesse, fa crescere in chi lo osserva il desiderio di conoscerle e, naturalmente, di possederle. Le legature medievali e quelle del Rinascimento non rivelano mai il contenuto dei libri, anche se ciò non significa che siano completamente mute. La loro maggiore o minore ricchezza ottiene spesso l’effetto di suggerire o perfino di mimetizzare piuttosto che di rappresentare quello che sarà il testo da leggere. Ritardare il “disvelamento” del contenuto può contribuire ad aumentare la curiosità, facendo poi talvolta leva su una sorta di effetto/meraviglia. Questo naturalmente è tanto più vero quanto più il contenuto (non solo testuale, ma ad esempio di immagini) è ricco e lussuoso. All’epoca del libro manoscritto poi c’è anche un’altra ragione che sminuisce la necessità di mostrare all’esterno quello che c’è dentro un libro. Questa risiede nei rapporti che legano produttori e consumatori di libri. I manoscritti non sono prodotti per scopi commerciali, ma su committenza diretta del consumatore, il quale quindi conosce già perfettamente il contenuto del libro che commissiona alla bottega del copista. Non c’è quindi alcun motivo di “anticiparlo”. Per quanto riguarda il ruolo delle coperte, non ci furono sostanziali cambiamenti con l’invenzione della stampa. Così come per il manoscritto, la legatura nel libro a stampa è un momento separato della sua confezione. Tuttavia, dopo l’invenzione di Gutenberg, qualcosa cominciò a cambiare. Nel circa mezzo secolo che va dai paleotipi magontini ai primi anni del Cinquecento ci furono vistose, quanto non univoche trasformazioni. Alla fine di questo periodo, si affermò stabilmente il frontespizio.E’ noto che le pratiche catalografiche e quelle legate al controllo bibliografico si basano prevalentemente sull’esame delle “fonti di informazione” interne ad un documento. Ma l’attività dei bibliotecari e la ricerca storica sui libri del periodo della stampa manuale (1450-1830 circa), talvolta sembrano ignorarsi. Invece occorrerebbe ricorrere sempre ad una visione “binoculare” di questi fenomeni. Il lavoro è il risultato delle riflessioni che sono via via scaturite dal contatto con le fonti primarie (i libri del primo secolo della stampa) e secondarie (cataloghi, bibliografie e riproduzioni), nonché con la documentazione e la letteratura. Non sono i frontespizi l’oggetto, bensì quelle forme di presentazione, incipit, pagine bianche, occhietti, colophon, titoli finali, che ne hanno preceduto e accompagnato l’affermazione. Si sforza di coniugare le pratiche della professione bibliotecaria con le riflessioni della ricerca, nel tentativo, se non di colmare, almeno di ridurre una certa divaricazione che esiste tra questi due approcci ai libri antichi. Si rivolge a quanti, storici del libro e bibliotecari, si confrontano quotidianamente con i libri antichi e con le forme di presentazione (frammenti di “peritesto editoriale”) dei testi che vi sono contenuti.
2004
104
8886842775
L. Baldacchini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/10105
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