Nel 1983 in Poésie et figuration Jean-Marie Gleize aveva postulato l’esistenza di una linea non-figurativa della poesia contemporanea, che veniva fatta discendere, idealmente, da Rimbaud, per poi attraversare autori contemporanei come Francis Ponge e Denis Roche. Questi poeti – come altri e altre – sarebbero accomunati da scelte linguistiche e stilistiche nettamente antiretoriche, anti-metaforiche, diciamo pure antiliriche, esponendo sulla pagina la ricerca della nudité integrale della parola, o, come scrive sempre Gleize, di una pura littéralité: catene grafico-foniche che rimandano alla natura eminentemente linguistica, e pertanto artificiale, relativa, situata, della poesia stessa. Eppure, questi stessi autori esibiscono una chiara interdipendenza degli elementi verbali con le “immagini” (perlomeno sul piano cognitivo) e con i media visuali in generale. Lo stesso Roche, ad esempio, approderà alla fotografia, così come la “tradizione gleiziana” nostrana – mi riferisco, com’è noto, ai poeti di Prosa in prosa e di GAMMM – darà vita alla cosiddetta poesia installativa. In che modo è possibile giustificare teoricamente tali scelte fino a sciogliere quest’apparente contraddizione di termini? Il mio intervento, muovendo dagli studi che ho condotto nella mia tesi di Dottorato, vorrebbe illustrare gli sviluppi storici così come gli elementi costitutivi (sul piano linguistico, stilistico, mediale e di poetica) di una linea assai frastagliata della poesia contemporanea che, a partire dal secondo Novecento fino ai giorni nostri, si è contraddistinta per un uso non mimetico né ecfrastico – perlomeno in un senso canonico – dell’immagine in poesia. Saranno presi in esame alcuni esempi tratti dalla neoavanguardia (in particolare Nanni Balestrini, Antonio Porta, Corrado Costa, Giulia Niccolai) per poi arrivare alle scritture di ricerca del Duemila. In tutti questi casi il ricorso all’immagine, in forme più o meno esplicite, non sarà finalizzato alla rappresentazione né alluderà a dei referenti ben precisi ma, al contrario, sarà piuttosto volto a segnalare la materialità della scrittura stessa in quanto medium e in quanto gesto artistico, e dunque il dissolvimento dei significati predeterminati in direzione di un’inedita apertura, dell’opera e del senso.
Ciaco, M. (2023). Verso un “grado zero” dell’immagine? De-figurazione e ri-figurazione in alcune scritture contemporanee. Lecce : Università del Salento [10.1285/i2611903xn6p109].
Verso un “grado zero” dell’immagine? De-figurazione e ri-figurazione in alcune scritture contemporanee
Marilina Ciaco
2023
Abstract
Nel 1983 in Poésie et figuration Jean-Marie Gleize aveva postulato l’esistenza di una linea non-figurativa della poesia contemporanea, che veniva fatta discendere, idealmente, da Rimbaud, per poi attraversare autori contemporanei come Francis Ponge e Denis Roche. Questi poeti – come altri e altre – sarebbero accomunati da scelte linguistiche e stilistiche nettamente antiretoriche, anti-metaforiche, diciamo pure antiliriche, esponendo sulla pagina la ricerca della nudité integrale della parola, o, come scrive sempre Gleize, di una pura littéralité: catene grafico-foniche che rimandano alla natura eminentemente linguistica, e pertanto artificiale, relativa, situata, della poesia stessa. Eppure, questi stessi autori esibiscono una chiara interdipendenza degli elementi verbali con le “immagini” (perlomeno sul piano cognitivo) e con i media visuali in generale. Lo stesso Roche, ad esempio, approderà alla fotografia, così come la “tradizione gleiziana” nostrana – mi riferisco, com’è noto, ai poeti di Prosa in prosa e di GAMMM – darà vita alla cosiddetta poesia installativa. In che modo è possibile giustificare teoricamente tali scelte fino a sciogliere quest’apparente contraddizione di termini? Il mio intervento, muovendo dagli studi che ho condotto nella mia tesi di Dottorato, vorrebbe illustrare gli sviluppi storici così come gli elementi costitutivi (sul piano linguistico, stilistico, mediale e di poetica) di una linea assai frastagliata della poesia contemporanea che, a partire dal secondo Novecento fino ai giorni nostri, si è contraddistinta per un uso non mimetico né ecfrastico – perlomeno in un senso canonico – dell’immagine in poesia. Saranno presi in esame alcuni esempi tratti dalla neoavanguardia (in particolare Nanni Balestrini, Antonio Porta, Corrado Costa, Giulia Niccolai) per poi arrivare alle scritture di ricerca del Duemila. In tutti questi casi il ricorso all’immagine, in forme più o meno esplicite, non sarà finalizzato alla rappresentazione né alluderà a dei referenti ben precisi ma, al contrario, sarà piuttosto volto a segnalare la materialità della scrittura stessa in quanto medium e in quanto gesto artistico, e dunque il dissolvimento dei significati predeterminati in direzione di un’inedita apertura, dell’opera e del senso.| File | Dimensione | Formato | |
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