Le “scritture di ricerca” italiane, intrinsecamente ibride, intermediali e transgeneriche, collocate fra prosa in prosa e post-poesia (Gleize 1992, 2009), sembrano aver attestato un insieme di fenomeni di contaminazione fra scrittura letteraria e pratiche visuali che hanno condotto all’implementazione all’interno della pagina cartacea di forme, stilemi e pratiche di fruizione tipiche dei supporti visivi, alternativamente digitali o analogici (Cometa 2012, Giovannetti 2017). Due fra le principali modalità attraverso cui avviene questa rimediazione (Bolter-Grusin 1999) potrebbero essere sintetizzate dalle metafore concettuali (Lakoff-Johnson 1980) dello schermo e della casa. Lo schermo in quanto esperienza percettiva nonché soglia semi-materiale che consente l’accesso al cyberspazio è un oggetto piatto, bidimensionale, potenzialmente aperto a innumerevoli possibilità di navigazione ma, a ben vedere, fondato sull’iterazione parossistica di unità discrete (il codice binario) e sulla presentazione ininterrotta di contenuti ospitati da piattaforme semioticamente predeterminate – si pensi all’inquietante parallelismo fra le le vetrine dei negozi allestite dalle strategie di marketing e la sovraesposizione sociale operata sul web, parte del medesimo continuum sinestetico che è il display tardocapitalistico (Codeluppi 2007). La casa, d’altro canto, concepita da principio come luogo del familiare e del rifugio, Heimat che consente il radicamento psico-fisico e sociale dei soggetti, in anni recenti non soltanto tende a vacillare come istituzione (Didino 2020), ma lascia emergere al suo interno la costante minaccia dell’unheimlich e dell’unhomely (Fisher 2018), fino a trasformarsi essa stessa in un luogo di trauma e alienazione (Lauzon 2016). Se gli interni di un appartamento si sono fatti spazio installativo tridimensionale già in opere come quelle di Ilya Kabakov o di Kurt Schwitters, le solitudini iperconnesse che vi abitano sono invece un prodotto inedito dell’era digitale.
Ciaco, M. (2021). Lo schermo e la casa. Sulla visualità straniata delle scritture di ricerca contemporanee. Modena : Mucchi.
Lo schermo e la casa. Sulla visualità straniata delle scritture di ricerca contemporanee
Marilina Ciaco
2021
Abstract
Le “scritture di ricerca” italiane, intrinsecamente ibride, intermediali e transgeneriche, collocate fra prosa in prosa e post-poesia (Gleize 1992, 2009), sembrano aver attestato un insieme di fenomeni di contaminazione fra scrittura letteraria e pratiche visuali che hanno condotto all’implementazione all’interno della pagina cartacea di forme, stilemi e pratiche di fruizione tipiche dei supporti visivi, alternativamente digitali o analogici (Cometa 2012, Giovannetti 2017). Due fra le principali modalità attraverso cui avviene questa rimediazione (Bolter-Grusin 1999) potrebbero essere sintetizzate dalle metafore concettuali (Lakoff-Johnson 1980) dello schermo e della casa. Lo schermo in quanto esperienza percettiva nonché soglia semi-materiale che consente l’accesso al cyberspazio è un oggetto piatto, bidimensionale, potenzialmente aperto a innumerevoli possibilità di navigazione ma, a ben vedere, fondato sull’iterazione parossistica di unità discrete (il codice binario) e sulla presentazione ininterrotta di contenuti ospitati da piattaforme semioticamente predeterminate – si pensi all’inquietante parallelismo fra le le vetrine dei negozi allestite dalle strategie di marketing e la sovraesposizione sociale operata sul web, parte del medesimo continuum sinestetico che è il display tardocapitalistico (Codeluppi 2007). La casa, d’altro canto, concepita da principio come luogo del familiare e del rifugio, Heimat che consente il radicamento psico-fisico e sociale dei soggetti, in anni recenti non soltanto tende a vacillare come istituzione (Didino 2020), ma lascia emergere al suo interno la costante minaccia dell’unheimlich e dell’unhomely (Fisher 2018), fino a trasformarsi essa stessa in un luogo di trauma e alienazione (Lauzon 2016). Se gli interni di un appartamento si sono fatti spazio installativo tridimensionale già in opere come quelle di Ilya Kabakov o di Kurt Schwitters, le solitudini iperconnesse che vi abitano sono invece un prodotto inedito dell’era digitale.| File | Dimensione | Formato | |
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