Il contesto sociale, culturale, politico ed economico nel quale viviamo è ormai contrassegnato da una profonda crisi di valori, da evidenti conflittualità sociali, etniche e religiose e da logiche individualiste e competitive che hanno prodotto nuove identità, isole di identità, frammentate e lontane da quella dimensione ontologica-ancestrale necessaria per attribuire senso all’esistenza e sentirsi parte di un progetto comune. Di fronte a tale scenario, diventa necessario rifondare e costruire una nuova etica della relazione che si fondi su princìpi quali l’integrazione, la solidarietà, la reciprocità, lo scambio, la condivisione. Protagonista indiscussa la pedagogia che, in ottica interdisciplinare, complessa e plurale, deve incentivare contesti educativi, formali, informali e non formali che promuovano condivisione, dialogo, incontro e confronto. In tale direzione, ruolo determinante ha il gioco-giocare che, in quanto categoria di vita assolutamente primaria, si pone alla base di ogni processo di sviluppo umano: corporeo, cognitivo, emotivo, diventando modello di riferimento e palestra di esercitazione e promuovendo, nei più piccoli, la conquista di capacità e competenze relazionali che li rendano in grado di attuare quelle forme di decentramento necessarie per comprendere l’altro, sviluppare forme di empatia e trovare il proprio posto nel mondo. Il gioco, in tal senso, diviene simbolo del mondo, diventa “luogo” ideale per diventare sé stessi, per saper fare, per sperimentare il rischio, l’errore, l’avventura, il successo e l’insuccesso, per confrontarsi con l’altro (comprendendo e rispettando) e anche con le proprie capacità e i propri limiti affrontandoli e accettandoli. Il gioco, dunque, come potente strumento di azione storica e meta storica nelle mani di un sapere, quello pedagogico, che, a partire dal riconoscimento della sua fondamentale valenza formativa ed educativa, sappia metterlo in campo senza snaturarlo e senza trasformalo in un’attività ludiforme legata al suo uso adultistico, ma in quanto agire educativo intenzionale per lavorare su quella che Vygotskij definiva zona di sviluppo potenziale. In tal modo la formazione può acquisire il ruolo fondamentale di “regolatore pedagogico” a difesa del soggetto-persona, ma anche di strumento di presa di coscienza e di consapevolezza collettiva.
Quinto, A. (2024). Il gioco come simbolo del mondo o del valore educativo che esso custodisce. Bari : Progedit.
Il gioco come simbolo del mondo o del valore educativo che esso custodisce
Annalisa Quinto
2024
Abstract
Il contesto sociale, culturale, politico ed economico nel quale viviamo è ormai contrassegnato da una profonda crisi di valori, da evidenti conflittualità sociali, etniche e religiose e da logiche individualiste e competitive che hanno prodotto nuove identità, isole di identità, frammentate e lontane da quella dimensione ontologica-ancestrale necessaria per attribuire senso all’esistenza e sentirsi parte di un progetto comune. Di fronte a tale scenario, diventa necessario rifondare e costruire una nuova etica della relazione che si fondi su princìpi quali l’integrazione, la solidarietà, la reciprocità, lo scambio, la condivisione. Protagonista indiscussa la pedagogia che, in ottica interdisciplinare, complessa e plurale, deve incentivare contesti educativi, formali, informali e non formali che promuovano condivisione, dialogo, incontro e confronto. In tale direzione, ruolo determinante ha il gioco-giocare che, in quanto categoria di vita assolutamente primaria, si pone alla base di ogni processo di sviluppo umano: corporeo, cognitivo, emotivo, diventando modello di riferimento e palestra di esercitazione e promuovendo, nei più piccoli, la conquista di capacità e competenze relazionali che li rendano in grado di attuare quelle forme di decentramento necessarie per comprendere l’altro, sviluppare forme di empatia e trovare il proprio posto nel mondo. Il gioco, in tal senso, diviene simbolo del mondo, diventa “luogo” ideale per diventare sé stessi, per saper fare, per sperimentare il rischio, l’errore, l’avventura, il successo e l’insuccesso, per confrontarsi con l’altro (comprendendo e rispettando) e anche con le proprie capacità e i propri limiti affrontandoli e accettandoli. Il gioco, dunque, come potente strumento di azione storica e meta storica nelle mani di un sapere, quello pedagogico, che, a partire dal riconoscimento della sua fondamentale valenza formativa ed educativa, sappia metterlo in campo senza snaturarlo e senza trasformalo in un’attività ludiforme legata al suo uso adultistico, ma in quanto agire educativo intenzionale per lavorare su quella che Vygotskij definiva zona di sviluppo potenziale. In tal modo la formazione può acquisire il ruolo fondamentale di “regolatore pedagogico” a difesa del soggetto-persona, ma anche di strumento di presa di coscienza e di consapevolezza collettiva.| File | Dimensione | Formato | |
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