Al di là dell’evidente somiglianza formale, la perifrasi spagnola venir + participio e la corrispettiva italiana venire + participio espletano, nelle rispettive lingue di appartenenza, funzioni piuttosto diverse. Venir, verbo di movimento desemantizzato, è ampiamente utilizzato nella realizzazione di costrutti semicopulativi, mentre venire si è pienamente grammaticalizzato come ausiliare che imprime eventività ai contesti passivi ("la porta viene chiusa"), utilizzato in alternativa all’ausiliare essere che, invece, conferisce agli stessi una lettura di tipo stativo ("la porta è chiusa"). Date queste premesse, frasi -piuttosto comuni, specie nella prosa amministrativa- come "los inquilinos vienen obligados a pagar", in cui l’uso passivo dell'ausiliare italiano venire è mappato su venir, costituirebbero degli "italianismi" da evitare. Ma come orientarsi nello stabilire quando l’uso di venir + participio costituisce un italianismo (agrammaticale) e quando no? Per tentare di rispondere a questa domanda, si proporranno innanzitutto alcuni elementi di analisi a partire dal processo di grammaticalizzazione di venir e venire, che ha condotto i due ausiliari a sviluppare valori aspettuali e funzioni grammaticali che, come nei casi sopraccitati, si collocano su una sottilissima linea di confine tra le due lingue. Successivamente, alcuni esempi di traduzione (da e verso lo spagnolo) offriranno l’occasione di osservare quali sono i casi in cui possiamo effettivamente parlare di italianismo. Un esercizio di questo tipo, così come la riflessione metalinguistica a cui conduce, potrebbe risultare stimolante non solo nell'ambito della ligustica contrastiva ma anche e soprattutto in un contesto di didattica e/o traduzione dalla lingua spagnola per italofoni.
Ambrosini, M.V. (2024). Sugli usi passivi di VENIR: riflessioni contrastive per una didattica a misura di italofono. Madrid : Dykinson.
Sugli usi passivi di VENIR: riflessioni contrastive per una didattica a misura di italofono
Maria Vittoria Ambrosini
2024
Abstract
Al di là dell’evidente somiglianza formale, la perifrasi spagnola venir + participio e la corrispettiva italiana venire + participio espletano, nelle rispettive lingue di appartenenza, funzioni piuttosto diverse. Venir, verbo di movimento desemantizzato, è ampiamente utilizzato nella realizzazione di costrutti semicopulativi, mentre venire si è pienamente grammaticalizzato come ausiliare che imprime eventività ai contesti passivi ("la porta viene chiusa"), utilizzato in alternativa all’ausiliare essere che, invece, conferisce agli stessi una lettura di tipo stativo ("la porta è chiusa"). Date queste premesse, frasi -piuttosto comuni, specie nella prosa amministrativa- come "los inquilinos vienen obligados a pagar", in cui l’uso passivo dell'ausiliare italiano venire è mappato su venir, costituirebbero degli "italianismi" da evitare. Ma come orientarsi nello stabilire quando l’uso di venir + participio costituisce un italianismo (agrammaticale) e quando no? Per tentare di rispondere a questa domanda, si proporranno innanzitutto alcuni elementi di analisi a partire dal processo di grammaticalizzazione di venir e venire, che ha condotto i due ausiliari a sviluppare valori aspettuali e funzioni grammaticali che, come nei casi sopraccitati, si collocano su una sottilissima linea di confine tra le due lingue. Successivamente, alcuni esempi di traduzione (da e verso lo spagnolo) offriranno l’occasione di osservare quali sono i casi in cui possiamo effettivamente parlare di italianismo. Un esercizio di questo tipo, così come la riflessione metalinguistica a cui conduce, potrebbe risultare stimolante non solo nell'ambito della ligustica contrastiva ma anche e soprattutto in un contesto di didattica e/o traduzione dalla lingua spagnola per italofoni.File | Dimensione | Formato | |
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