Alle ore 1:23 del 4 agosto 1974, un ordigno piazzato nella toilette della carrozza n. 5 – seconda classe – del treno Italicus deflagra: il convoglio, un affollato Espresso Notte partito da Roma Tiburtina e diretto a Monaco di Baviera, si trova in prossimità dell’uscita dalla grande galleria appenninica (quasi 20 km di traforo, che all’epoca connetteva il versante ferroviario toscano con quello emiliano). Lo scoppio sventra buona parte del vagone e scatena un furente incendio, che si rivolge rapidamente al resto degli scompartimenti: la carica al tritolo, secondo un composto di standard militare, è infatti arricchita da una miscela di termite, capace di sviluppare una combustione “inestinguibile” fino alla completa consunzione dei materiali direttamente coinvolti nel processo pirotecnico. Con grande sangue freddo e tempestività – grazie anche ad un innovativo sistema frenante, da poco posto in prova dalle ferrovie italiane, in grado di reagire molto più rapidamente ed elasticamente alle situazioni di emergenza – il capo macchinista riesce a condurre il treno in fiamme fuori dalla galleria, facendolo scivolare sui binari sino alla contigua stazione di San Benedetto Val di Sambro (provincia di Bologna), dove si troverà primo soccorso e possibilità di dare l’allarme. Esauritosi il rogo e terminate le operazioni di salvataggio, il bilancio finale è tragico: 12 morti e 105 feriti, di cui 44 gravi (menomazioni, ustioni di alto grado, traumi psicologici profondi). Escludendo l’attacco all’aeroporto di Fiumicino del 17 dicembre 1973 – operazione di terrorismo internazionale ascrivibile al più generale scontro arabo-israeliano che, con i suoi 34 morti e 15 feriti, investe la penisola solo per ragioni di congiuntura logistica –, l’attentato contro il treno Italicus resta dunque la più grave strage “domestica” degli interi anni Settanta, ovvero del decennio più tormentato dalla violenza politica nella storia dell’Italia repubblicana. Malgrado si tratti anche dell’ultimo clamoroso atto di quella atroce dinamica anticostituzionale – apertasi con la bomba di piazza Fontana e la seguente “intentona” di Junio Valerio Borghese – che al massacro indiscriminato accompagnava la prefigurazione putchista (pur fra mille rilievi, il cosiddetto Golpe Bianco era stato predisposto per il 10 agosto 1974), la vicenda di San Benedetto Val di Sambro ha scontato sin da subito un grave deficit di attenzione pubblica, riverberatosi poi in inconcludenze giudiziarie e marginalizzazioni storiografiche. E, al di là di peculiari debolezze “endogene” nella promozione memoriale, una delle ragioni fondamentali di tale derubricazione sta sicuramente nella «liminalità ontologica» – l’essere di confine in termini temporali e fenomenologici – della strage dell’Italicus, la cui orribile occorrenza si ritrova schiacciata nel passaggio epocale tra fase eversiva (strategia della tensione) e sovversiva (attacco al cuore dello Stato) della violenza terroristica collateralmente iscritta nel lungo Sessantotto italiano.

Guzzo, D. (2022). Italicus: una strage di confine. Ovvero la transizione del paradigma terroristico oltre la strategia della tensione. Milano : Biblion Edizioni srl.

Italicus: una strage di confine. Ovvero la transizione del paradigma terroristico oltre la strategia della tensione

Domenico Guzzo
2022

Abstract

Alle ore 1:23 del 4 agosto 1974, un ordigno piazzato nella toilette della carrozza n. 5 – seconda classe – del treno Italicus deflagra: il convoglio, un affollato Espresso Notte partito da Roma Tiburtina e diretto a Monaco di Baviera, si trova in prossimità dell’uscita dalla grande galleria appenninica (quasi 20 km di traforo, che all’epoca connetteva il versante ferroviario toscano con quello emiliano). Lo scoppio sventra buona parte del vagone e scatena un furente incendio, che si rivolge rapidamente al resto degli scompartimenti: la carica al tritolo, secondo un composto di standard militare, è infatti arricchita da una miscela di termite, capace di sviluppare una combustione “inestinguibile” fino alla completa consunzione dei materiali direttamente coinvolti nel processo pirotecnico. Con grande sangue freddo e tempestività – grazie anche ad un innovativo sistema frenante, da poco posto in prova dalle ferrovie italiane, in grado di reagire molto più rapidamente ed elasticamente alle situazioni di emergenza – il capo macchinista riesce a condurre il treno in fiamme fuori dalla galleria, facendolo scivolare sui binari sino alla contigua stazione di San Benedetto Val di Sambro (provincia di Bologna), dove si troverà primo soccorso e possibilità di dare l’allarme. Esauritosi il rogo e terminate le operazioni di salvataggio, il bilancio finale è tragico: 12 morti e 105 feriti, di cui 44 gravi (menomazioni, ustioni di alto grado, traumi psicologici profondi). Escludendo l’attacco all’aeroporto di Fiumicino del 17 dicembre 1973 – operazione di terrorismo internazionale ascrivibile al più generale scontro arabo-israeliano che, con i suoi 34 morti e 15 feriti, investe la penisola solo per ragioni di congiuntura logistica –, l’attentato contro il treno Italicus resta dunque la più grave strage “domestica” degli interi anni Settanta, ovvero del decennio più tormentato dalla violenza politica nella storia dell’Italia repubblicana. Malgrado si tratti anche dell’ultimo clamoroso atto di quella atroce dinamica anticostituzionale – apertasi con la bomba di piazza Fontana e la seguente “intentona” di Junio Valerio Borghese – che al massacro indiscriminato accompagnava la prefigurazione putchista (pur fra mille rilievi, il cosiddetto Golpe Bianco era stato predisposto per il 10 agosto 1974), la vicenda di San Benedetto Val di Sambro ha scontato sin da subito un grave deficit di attenzione pubblica, riverberatosi poi in inconcludenze giudiziarie e marginalizzazioni storiografiche. E, al di là di peculiari debolezze “endogene” nella promozione memoriale, una delle ragioni fondamentali di tale derubricazione sta sicuramente nella «liminalità ontologica» – l’essere di confine in termini temporali e fenomenologici – della strage dell’Italicus, la cui orribile occorrenza si ritrova schiacciata nel passaggio epocale tra fase eversiva (strategia della tensione) e sovversiva (attacco al cuore dello Stato) della violenza terroristica collateralmente iscritta nel lungo Sessantotto italiano.
2022
La strategia della tensione tra piazza Fontana e l'Italicus. Fenomenologia, rappresentazioni, memoria
299
320
Guzzo, D. (2022). Italicus: una strage di confine. Ovvero la transizione del paradigma terroristico oltre la strategia della tensione. Milano : Biblion Edizioni srl.
Guzzo, Domenico
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/1000363
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