Nel dibattito sui limiti e sugli arbitrii dell'interpretazione registica del melodramma un ruolo nevralgico spetta alla critica musicale militante. La quale tuttavia risulta spesso vuoi impreparata al compito (per mancanza di strumenti e categorie di giudizio), vuoi riluttante a svolgerlo in termini analitici e dialettici. L'articolo presenta e analizza un caso macroscopico di inadempienza della critica militante italiana. Quando nell'aprile 2003 il regista Luca Ronconi diede nel Teatro Comunale di Bologna il "Giulio Cesare in Egitto" di Haendel -- un capolavoro riconosciuto dell'opera del '700 --, egli inflisse all'opera tagli nell'ordine del 30% del totale delle arie; e collocò l'orchestra sul palcoscenico, con grave detrimento della resa fonica. I critici lodarono unanimi il regista per aver "salvato" l'opera dalla noia e dal grigiore, una noia che in realtà derivava dallo sconvolgimento dei nessi drammatico-musicali determinato dai tagli, un grigiore che a sua volta dipendeva dallo stravolgimento dei rapporti fonici. In altre parole: in presenza di un'esecuzione capitale, la critica applaudì il carnefice. Il caso da manuale viene inserito in una tripletta di contributi ("Ancora sulla regìa nell'opera lirica", pp. 83-118) che vertono sulle problematiche della regìa operistica ai giorni nostri (coautori: Gerardo Guccini; Luca Zoppelli).
La regìa d'opera: critica della critica
BIANCONI, LORENZO GENNARO
2010
Abstract
Nel dibattito sui limiti e sugli arbitrii dell'interpretazione registica del melodramma un ruolo nevralgico spetta alla critica musicale militante. La quale tuttavia risulta spesso vuoi impreparata al compito (per mancanza di strumenti e categorie di giudizio), vuoi riluttante a svolgerlo in termini analitici e dialettici. L'articolo presenta e analizza un caso macroscopico di inadempienza della critica militante italiana. Quando nell'aprile 2003 il regista Luca Ronconi diede nel Teatro Comunale di Bologna il "Giulio Cesare in Egitto" di Haendel -- un capolavoro riconosciuto dell'opera del '700 --, egli inflisse all'opera tagli nell'ordine del 30% del totale delle arie; e collocò l'orchestra sul palcoscenico, con grave detrimento della resa fonica. I critici lodarono unanimi il regista per aver "salvato" l'opera dalla noia e dal grigiore, una noia che in realtà derivava dallo sconvolgimento dei nessi drammatico-musicali determinato dai tagli, un grigiore che a sua volta dipendeva dallo stravolgimento dei rapporti fonici. In altre parole: in presenza di un'esecuzione capitale, la critica applaudì il carnefice. Il caso da manuale viene inserito in una tripletta di contributi ("Ancora sulla regìa nell'opera lirica", pp. 83-118) che vertono sulle problematiche della regìa operistica ai giorni nostri (coautori: Gerardo Guccini; Luca Zoppelli).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.