Nel secondo Cinquecento, con l’affermarsi di alcune sperimentazioni di pesca d’altura, frutto di un’evoluzione di antichi sistemi di cattura nelle acque costiere e lagunari si avvia la formazione di marinerie organizzate che alimentano poi nel corso del Seicento una sorta di “rivoluzione piscatoria” mirata ad un maggiore sfruttamento delle risorse ittiche del Mediterraneo. Precedentemente erano in uso pratiche di pesca lungo le coste gestite da gruppi di pescatori organizzati in “compagnie”. La limitatezza degli spazi costieri atti allo sfruttamento delle risorse ittiche obbligava le comunità ad un severo controllo delle acque territoriali, con la messa a punto di apposite norme inserite negli statuti cittadini che comportava comunque la necessità di regolamentare l’accesso alle risorse con concessioni dei permessi di pesca (emblematici e assai rappresentativi sono i casi di Noli, Gaeta, Comisa, Lussino, isole dalmate soggette al dominio veneto e a questi si aggiungono i laghi salsi e altre aree lagunari vocate a questo sfruttamento). Salvo particolari eccezioni, fino a tutto il Cinquecento le pratiche piscatorie si svolgono dunque pressoché esclusivamente lungo i litorali. Le acque costiere perciò risultano necessariamente monitorate con una possibilità di sfruttamento regolamentata dagli statuti comunali al fine di scongiurare situazioni di sovraffollamento ed il depauperamento delle riserve. La ristrettezza dei campi acquei in cui dar pratica ai pescatori obbligava infatti le autorità di molte località rivierasche, ad una ripartizione equa delle zone operative con un sistema di turni a rotazione che disponeva un utilizzo nominativo a tempo determinato delle diverse zone (“poste”) individuabili nelle rispettive giurisdizioni, assegnate per graduatoria. Si assiste insomma ad una sorta di “gara”, termine espressamente utilizzato a questo proposito anche da Paolo Giovio in un passo del suo libellus sui pesco edito nel 1524. Una “gara”, concentrata soprattutto durante la buona stagione, sorvegliata dalle autorità locali al fine di scongiurare l’insorgenza di possibili controversie fra i pescatori. I conflitti fra pescatori risultano comunque una costante e si accendono anche quando i gruppi più intraprendenti si avventurano al di fuori degli ambiti geografici di appartenenza, invadendo gli spazi territoriali di altre comunità con emigrazioni marittime stagionali. Se da un lato gli spostamenti delle flottiglie pescherecce maggiormente evolute alimentano preoccupazioni di tipo protezionistico, dall’altro, contribuiscono a volte a sopperire meglio all’approvvigionamento dei mercati delle città portuali mancanti di pescatori di mestiere. E non mancano neanche poi i casi di insediamento di pescatori professionisti forestieri che, nell’arco di una, due generazioni vanno a formare nuove compagini marinare nella località di adozione. D’altro canto l’osservazione della superiorità tecnologica di strumentazioni differenti rispetto a quelle normalmente in uso, dà spunto ai pescatori locali per cimentarsi in strategie di pesca alternative attraverso un’emulazione personalizzata delle pratiche “forestiere” che permette loro di azzardare anche il salto di qualità. Proprio in virtù di questi contatti si produrranno le due importanti svolte nella storia delle attività alieutiche del mare interno, individuate la prima con l’introduzione e diffusione della pesca a tartana, la seconda con la pesca a strascico effettuata con coppie o gruppi barche.

La pesca marittima nel Mediterraneo prima delle tartane (fine sec. XVI): precarietà delle risorse, turnazione del lavoro, conflitti sociali / M.L. De Nicolò. - STAMPA. - (2010), pp. 434-452.

La pesca marittima nel Mediterraneo prima delle tartane (fine sec. XVI): precarietà delle risorse, turnazione del lavoro, conflitti sociali

DE NICOLO', MARIA LUCIA
2010

Abstract

Nel secondo Cinquecento, con l’affermarsi di alcune sperimentazioni di pesca d’altura, frutto di un’evoluzione di antichi sistemi di cattura nelle acque costiere e lagunari si avvia la formazione di marinerie organizzate che alimentano poi nel corso del Seicento una sorta di “rivoluzione piscatoria” mirata ad un maggiore sfruttamento delle risorse ittiche del Mediterraneo. Precedentemente erano in uso pratiche di pesca lungo le coste gestite da gruppi di pescatori organizzati in “compagnie”. La limitatezza degli spazi costieri atti allo sfruttamento delle risorse ittiche obbligava le comunità ad un severo controllo delle acque territoriali, con la messa a punto di apposite norme inserite negli statuti cittadini che comportava comunque la necessità di regolamentare l’accesso alle risorse con concessioni dei permessi di pesca (emblematici e assai rappresentativi sono i casi di Noli, Gaeta, Comisa, Lussino, isole dalmate soggette al dominio veneto e a questi si aggiungono i laghi salsi e altre aree lagunari vocate a questo sfruttamento). Salvo particolari eccezioni, fino a tutto il Cinquecento le pratiche piscatorie si svolgono dunque pressoché esclusivamente lungo i litorali. Le acque costiere perciò risultano necessariamente monitorate con una possibilità di sfruttamento regolamentata dagli statuti comunali al fine di scongiurare situazioni di sovraffollamento ed il depauperamento delle riserve. La ristrettezza dei campi acquei in cui dar pratica ai pescatori obbligava infatti le autorità di molte località rivierasche, ad una ripartizione equa delle zone operative con un sistema di turni a rotazione che disponeva un utilizzo nominativo a tempo determinato delle diverse zone (“poste”) individuabili nelle rispettive giurisdizioni, assegnate per graduatoria. Si assiste insomma ad una sorta di “gara”, termine espressamente utilizzato a questo proposito anche da Paolo Giovio in un passo del suo libellus sui pesco edito nel 1524. Una “gara”, concentrata soprattutto durante la buona stagione, sorvegliata dalle autorità locali al fine di scongiurare l’insorgenza di possibili controversie fra i pescatori. I conflitti fra pescatori risultano comunque una costante e si accendono anche quando i gruppi più intraprendenti si avventurano al di fuori degli ambiti geografici di appartenenza, invadendo gli spazi territoriali di altre comunità con emigrazioni marittime stagionali. Se da un lato gli spostamenti delle flottiglie pescherecce maggiormente evolute alimentano preoccupazioni di tipo protezionistico, dall’altro, contribuiscono a volte a sopperire meglio all’approvvigionamento dei mercati delle città portuali mancanti di pescatori di mestiere. E non mancano neanche poi i casi di insediamento di pescatori professionisti forestieri che, nell’arco di una, due generazioni vanno a formare nuove compagini marinare nella località di adozione. D’altro canto l’osservazione della superiorità tecnologica di strumentazioni differenti rispetto a quelle normalmente in uso, dà spunto ai pescatori locali per cimentarsi in strategie di pesca alternative attraverso un’emulazione personalizzata delle pratiche “forestiere” che permette loro di azzardare anche il salto di qualità. Proprio in virtù di questi contatti si produrranno le due importanti svolte nella storia delle attività alieutiche del mare interno, individuate la prima con l’introduzione e diffusione della pesca a tartana, la seconda con la pesca a strascico effettuata con coppie o gruppi barche.
2010
Pesci, barche, pescatori nell'area mediterranea dal medioevo all'età contemporanea
434
452
La pesca marittima nel Mediterraneo prima delle tartane (fine sec. XVI): precarietà delle risorse, turnazione del lavoro, conflitti sociali / M.L. De Nicolò. - STAMPA. - (2010), pp. 434-452.
M.L. De Nicolò
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/93643
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact