Può essere considerata la fotografia di Diane Arbus un esempio contemporaneo di tempo comico? La primogenita Doon, precoce e involontaria custode del lavoro e della memoria di Diane Arbus, è giunta ad augurarsi che l’insieme delle curiose, e a volte morbose, informazioni biografiche e aneddotiche sulla madre, potesse paradossalmente rendere alla fine invisibili tutte le parole in modo che, di fronte alle sue fotografie, parlasse “l’eloquenza del loro silenzio”. Può essere comico il silenzio? Sì, certamente. Se appunto la forza eloquente della situazione cui ci si trova dinnanzi va ben oltre tutto ciò che la narrazione potrebbe concorrere a definire e raccontare. Il parlare di tempo comico nella fotografia di Diane Arbus impone di chiarire la distinzione tra un tempo della performance e un tempo della fruizione. Penso che ciò che rende affascinanti e sconvolgenti le immagini di Arbus sia proprio la distanza e l’estraneità che si aprono come un insondabile varco tra il sentimento che ha dato impulso allo scatto e la reazione che si prova di fronte a quello stesso scatto. L’impatto improvviso con le inconfondibili immagini di Diane Arbus può facilmente provocare il sorriso (anche se per alcuni suoi contemporanei fu il disgusto): la signora al ballo con la “maschera da uccello”, i due ragazzini vincitori dei Campionati giovanili interstatali di ballo, l’adolescente in procinto di sfilare con bandiera a stelle e strisce e spilletta “Bomb Hanoi”, i nudisti seduti in salotto, i primi piani di ladies con velette e trucco pesante, ma anche l’uomo-puntaspilli, le gemelle, il nano ebreo coi genitori, gli abitués del museo dei mostri Hubert, la barista con cane souvenir o la donna con la scimmietta travestita da neonato. Così, gli irresistibili ritratti scattati dalla fotografa americana tra la fine degli anni Cinquanta e l’estate del 1971, ci fanno provare la sensazione di assistere alla pazzesca sfilata di un’umanità grottesca e caricaturale. Ma non appena ci si addentri un poco nel suo mondo, nel suo silenzio appunto, nella sua esperienza esistenziale e fotografica, quel sorriso si fa sempre un po’ più amaro e un po’ più doloroso. Forse una fotografia in particolare condensa i doppi livelli di lettura e le affascinanti ambiguità del suo lavoro, e cioè il ritratto del Re e della Regina del Ballo del Circolo degli Anziani newyorchesi del 1970. Dentro all’immagine spoglia, quadrata e in bianco e nero, posano due anziani signori seduti su due sedie a poca distanza l’uno dall’altra. Lo sguardo in macchina è diretto, impettito, assolutamente serio e coinvolto ma non ironico né retorico. Li possiamo anche immaginare esausti dalla festa ma non per questo meno orgogliosi della parte che recitano per l’obiettivo. Il Re e la Regina indossano corone scintillanti e lavorate, scettri con pomelli decorati e mantelli di simil-ermellino che però lasciano candidamente intravedere la finzione, cioè gli abiti di tutti i giorni e i particolari che non appartengono alla favola, come gli occhiali da vista, la borsetta appoggiata a fianco dei piedi, i pacchi regalo appoggiati sulle gambe. Diane si era appassionata ai vincitori di gare, balli, trofei, campionati e vari tipi di ritualità sociale, emblemi di quel “pinnacolo precario dell’orizzonte umano” che sembra essere un’ancora di salvezza al disagio e al nulla. Ecco uno splendido esempio della doppia vita delle sue fotografie: quanto sono buffi e un po’ ridicoli quei due anziani coniugi travestiti per il ballo in maschera, quanto sono tristi. Credo che stia in questo secondo tempo di percezione la grandezza, il fascino e insieme il dramma di Diane Arbus, il passo che separa la fruizione individuale di una sua immagine, singola, slegata e autarchica, dallo sforzo invece di guardarla con gli stessi occhi con cui l’aveva fissata lei, ripetendo la medesima performance fotografica che l’aveva portata a scattare quel ritratto, a immortalare quella decadenza a volte fisica, a volte culturale, a volte s...

Diane Arbus. Il poetico grottesco / F.Muzzarelli. - STAMPA. - (2010), pp. 400-402.

Diane Arbus. Il poetico grottesco

MUZZARELLI, FEDERICA
2010

Abstract

Può essere considerata la fotografia di Diane Arbus un esempio contemporaneo di tempo comico? La primogenita Doon, precoce e involontaria custode del lavoro e della memoria di Diane Arbus, è giunta ad augurarsi che l’insieme delle curiose, e a volte morbose, informazioni biografiche e aneddotiche sulla madre, potesse paradossalmente rendere alla fine invisibili tutte le parole in modo che, di fronte alle sue fotografie, parlasse “l’eloquenza del loro silenzio”. Può essere comico il silenzio? Sì, certamente. Se appunto la forza eloquente della situazione cui ci si trova dinnanzi va ben oltre tutto ciò che la narrazione potrebbe concorrere a definire e raccontare. Il parlare di tempo comico nella fotografia di Diane Arbus impone di chiarire la distinzione tra un tempo della performance e un tempo della fruizione. Penso che ciò che rende affascinanti e sconvolgenti le immagini di Arbus sia proprio la distanza e l’estraneità che si aprono come un insondabile varco tra il sentimento che ha dato impulso allo scatto e la reazione che si prova di fronte a quello stesso scatto. L’impatto improvviso con le inconfondibili immagini di Diane Arbus può facilmente provocare il sorriso (anche se per alcuni suoi contemporanei fu il disgusto): la signora al ballo con la “maschera da uccello”, i due ragazzini vincitori dei Campionati giovanili interstatali di ballo, l’adolescente in procinto di sfilare con bandiera a stelle e strisce e spilletta “Bomb Hanoi”, i nudisti seduti in salotto, i primi piani di ladies con velette e trucco pesante, ma anche l’uomo-puntaspilli, le gemelle, il nano ebreo coi genitori, gli abitués del museo dei mostri Hubert, la barista con cane souvenir o la donna con la scimmietta travestita da neonato. Così, gli irresistibili ritratti scattati dalla fotografa americana tra la fine degli anni Cinquanta e l’estate del 1971, ci fanno provare la sensazione di assistere alla pazzesca sfilata di un’umanità grottesca e caricaturale. Ma non appena ci si addentri un poco nel suo mondo, nel suo silenzio appunto, nella sua esperienza esistenziale e fotografica, quel sorriso si fa sempre un po’ più amaro e un po’ più doloroso. Forse una fotografia in particolare condensa i doppi livelli di lettura e le affascinanti ambiguità del suo lavoro, e cioè il ritratto del Re e della Regina del Ballo del Circolo degli Anziani newyorchesi del 1970. Dentro all’immagine spoglia, quadrata e in bianco e nero, posano due anziani signori seduti su due sedie a poca distanza l’uno dall’altra. Lo sguardo in macchina è diretto, impettito, assolutamente serio e coinvolto ma non ironico né retorico. Li possiamo anche immaginare esausti dalla festa ma non per questo meno orgogliosi della parte che recitano per l’obiettivo. Il Re e la Regina indossano corone scintillanti e lavorate, scettri con pomelli decorati e mantelli di simil-ermellino che però lasciano candidamente intravedere la finzione, cioè gli abiti di tutti i giorni e i particolari che non appartengono alla favola, come gli occhiali da vista, la borsetta appoggiata a fianco dei piedi, i pacchi regalo appoggiati sulle gambe. Diane si era appassionata ai vincitori di gare, balli, trofei, campionati e vari tipi di ritualità sociale, emblemi di quel “pinnacolo precario dell’orizzonte umano” che sembra essere un’ancora di salvezza al disagio e al nulla. Ecco uno splendido esempio della doppia vita delle sue fotografie: quanto sono buffi e un po’ ridicoli quei due anziani coniugi travestiti per il ballo in maschera, quanto sono tristi. Credo che stia in questo secondo tempo di percezione la grandezza, il fascino e insieme il dramma di Diane Arbus, il passo che separa la fruizione individuale di una sua immagine, singola, slegata e autarchica, dallo sforzo invece di guardarla con gli stessi occhi con cui l’aveva fissata lei, ripetendo la medesima performance fotografica che l’aveva portata a scattare quel ritratto, a immortalare quella decadenza a volte fisica, a volte culturale, a volte s...
2010
I portatori del tempo. Il tempo comico
400
402
Diane Arbus. Il poetico grottesco / F.Muzzarelli. - STAMPA. - (2010), pp. 400-402.
F.Muzzarelli
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