Contesto: in Italia la maggior parte delle terapie intensive limita l’accesso ai familiari in fasce orarie più o meno ristrette, alcune non danno in alcun modo la possibilità ai familiari di entrare in contatto con i propri parenti (per ridurre al minimo l’ingresso di microbi potenzialmente patogeni), aumentando l’ansia dei parenti e dei pazienti ricoverati. Scopo dello studio: il nostro bisogno di informazione è stato relativo alla presenza libera di un familiare di riferimento nelle terapie intensive come componente di riduzione dell’ansia del paziente e conseguente ripristino dei parametri vitali. Risultati: uno studio pilota di Fumagalli S. (2006) fornisce informazioni sull’incremento della carica microbica in una terapia intensiva aperta e di contro non riporta incrementi di complicanze settiche e le complicanze cardiocircolatorie sono dimezzate rispetto ai periodi in cui la terapia intensiva permetteva visite ristrette dei parenti . Lo studio di Azoulay E. (2003) osserva familiari di pazienti ed operatori addetti all’assistenza, misurando l’opinione degli esperti rispetto alle visite libere. Lo studio ha concluso che l’88.2% dei familiari sono favorevoli alla partecipazione alle cure ma solo il 33.4% alla fine decide attivamente di partecipare. Garrouste-Orgeas M. (2008) giunge alle stesse conclusioni del precedente, arruolando familiari di pazienti e rilevando un alto livello di ansia e depressione nei parenti (non sono state specificate le scale di misurazione) confermando che la presenza dei familiari rimane, per scelta, limitata anche se la terapia intensiva è aperta. Conclusioni: l’argomento è molto trattato ma non sono stati reperiti studi che trattino il problema in termini di evidenze scientifiche. Sull’argomento non vi sono evidenze consolidate, è area grigia.

La presenza dei familiari in terapia intensiva riduce l’ansia dei pazienti e dei loro familiari?

CHIARI, PAOLO
2009

Abstract

Contesto: in Italia la maggior parte delle terapie intensive limita l’accesso ai familiari in fasce orarie più o meno ristrette, alcune non danno in alcun modo la possibilità ai familiari di entrare in contatto con i propri parenti (per ridurre al minimo l’ingresso di microbi potenzialmente patogeni), aumentando l’ansia dei parenti e dei pazienti ricoverati. Scopo dello studio: il nostro bisogno di informazione è stato relativo alla presenza libera di un familiare di riferimento nelle terapie intensive come componente di riduzione dell’ansia del paziente e conseguente ripristino dei parametri vitali. Risultati: uno studio pilota di Fumagalli S. (2006) fornisce informazioni sull’incremento della carica microbica in una terapia intensiva aperta e di contro non riporta incrementi di complicanze settiche e le complicanze cardiocircolatorie sono dimezzate rispetto ai periodi in cui la terapia intensiva permetteva visite ristrette dei parenti . Lo studio di Azoulay E. (2003) osserva familiari di pazienti ed operatori addetti all’assistenza, misurando l’opinione degli esperti rispetto alle visite libere. Lo studio ha concluso che l’88.2% dei familiari sono favorevoli alla partecipazione alle cure ma solo il 33.4% alla fine decide attivamente di partecipare. Garrouste-Orgeas M. (2008) giunge alle stesse conclusioni del precedente, arruolando familiari di pazienti e rilevando un alto livello di ansia e depressione nei parenti (non sono state specificate le scale di misurazione) confermando che la presenza dei familiari rimane, per scelta, limitata anche se la terapia intensiva è aperta. Conclusioni: l’argomento è molto trattato ma non sono stati reperiti studi che trattino il problema in termini di evidenze scientifiche. Sull’argomento non vi sono evidenze consolidate, è area grigia.
2009
C. Boninsegna; G. Gianesini; A. Nappo; M. Poli; P. Chiari
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