Recensione al libro The Life of Texts. Evidence in Textual Production, Transmission and Reception, inerente la riflessione sul “testo” in prospettiva filologica, sociologica e “biologica”, e sui processi della tradizione testuale, influenzati dal contesto redazionale e dai modi di diffusione, inclusi gli aspetti paratestuali e il rapporto con le moderne tecnologie. Questi temi, illustrati nell’Introduzione di R. Gameson, sono discussi nei contributi seguenti in rapporto a singoli casi-studio. In Editing Homer, B. Graziosi, tenendo conto della quaestio dell’authorship e dei problemi di ricostruzione dell’iter compositivo dei poemi omerici, auspica una nuova edizione che consideri anche la ricezione e la trasmissione del testo. In The Canon and the Codex: On the Material Form of the Christian Bible, F. Watson identifica, come primo formato di diffusione della Bibbia, il codex, preferito al volumen per l’agilità di consultazione, la possibilità di lettura dei testi in ordine lineare e per collegamenti tra luoghi distanti, e in quanto adatto all’inclusione di tutte le Scritture in un unico supporto. In Wandering Nights: Shahrazād’s Mutations, D. L. Newman esamina la tradizione de Le Mille e una Notte, evidenziando lo stato d’incertezza testuale dell’opera – priva degli originali di numerosi racconti, alcuni noti solo attraverso testimonianze orali – e il carattere a-scientifico delle edizioni-traduzioni susseguitesi dal XVIII secolo. Ricostruendo le vicende compositive della raccolta, Newmann individua come nucleo originario alcuni racconti composti in un’area della Persia esposta a influenze indiane, poi tradotti in arabo e incrementati con materiali di questa cultura e di quella egiziana, e dunque sottoposti a trasformazioni riscoperte solo nel XIX secolo. A fronte di quest’estrema eterogeneità testuale, Newman auspica un’indagine sia sulla formazione dell’ipotesto, sia sulle vicende redazionali di ogni racconto. In A Text in Exile: Dante’s ‘Divine Comedy’, A. Cipollone ripercorre la tradizione dell’opera maggiore dell’Alighieri, designandola come “testo in esilio” poiché diffusosi in singole sezioni anzitutto fuori Firenze. In quest’ottica, più che le edizioni fondate su codici fiorentini, interessante è quella di Sanguineti, incentrata sul ms. romagnolo Vat. Urb. 366. L’importanza di tale prospettiva sembra del resto confermata dal titolo dell’opera, allusivo sì al significato medievale di “commedia”, ma, forse, pure all’accezione antica del lemma attestata nella Poetica di Aristotele – nota a Dante nella traduzione latina di W. di Moerbeke? –, dove si ricorda l’abitudine degli attori a viaggiare tra i komai poiché scacciati dalle città, figure nelle quali l’Alighieri potrebbe essersi identificato. In Textual Metamorphosis: The Manuscripts of Leonardo da Vinci, C. Vecce riflette sulla possibile edizione del corpus dei manoscritti e dei disegni superstiti di Leonardo da Vinci, costituito da centinaia di carte prodotte in forma sciolta o in quaderni di appunti, costantemente revisionate dall’autore e scevre di un’organizzazione gerarchica degli argomenti, in forma, dunque, di “ipertesti senza fine”. Oltre ad assumere la prospettiva multidirezionale delle reti digitali, secondo Vecce l’edizione dovrà comunque rispettare l’ordine cronologico di redazione dei documenti, al fine di mostrare le fasi della formazione del Da Vinci. In Montaigne, The Life and After-Life of an Unfinished Text, J. O’Brien descrive la vicenda compositiva degli Essais di Montaigne. Pubblicata con modifiche fino al 1588, l’opera fu rielaborata dall’autore in vista di una nuova edizione, divulgata postuma a cura di M. de Gournay. O’Brien confronta questa pubblicazione con l’Exemplaire de Bordeaux (EB), copia dalla stampa del 1588 postillata da Montaigne, ingiustamente posta in secondo piano nelle edizioni di fine Novecento per le notevoli discrepanze con l’edizione post mortem, in realtà ricca di distorsioni delle “ultime volontà dell’autore”. In Rescuing Shakespeare: ‘King Lear’ in Its Textual Contexts, D. Fuller espone le differenze tra le maggiori edizioni a stampa delle opere di Shakespeare, tra loro eterogenee e inconciliabili, come dimostra la polimorfia delle pubblicazioni di King Lear, per il quale è impossibile ricostruire un testo “ideale”. Dunque, se il testo di King Lear finora consolidatosi potrà essere ancora stampato per la rappresentazione teatrale, i filologi dovranno orientarsi verso l’edizione di ogni singola versione dell’opera. In Textual Evidence and Musical Analysis: Once More on the First Movement of Beethoven’s ‘Tempest’ Sonata, Op. 31, No. 2, J. Horton sostiene l’esistenza di un rapporto tra testo e musica: non solo le opere musicali nascono di solito come documenti scritti, ma è sempre possibile formulare riflessioni in senso testuale sulla musica qualora la si interpreti come “testo” che, divenuto performance, ingenera diverse interpretazioni. È quanto avvenne per La Tempesta di Beethoven, la cui prime ventuno battute, insolitamente strutturate, hanno dato adito a diverse ipotesi interpretative, che non hanno però mai posto in discussione la dimensione scritta dell’opera, che desta incognite solo in quanto teoria, significato, idea. Infine, in Fragments Shored against Ruin: Reassembling ‘The Waste Land’, J. Harding riflette sulle caratteristiche che dovrebbe presentare un’edizione esaustiva di The Waste Land di T.S. Eliot. Lo studioso riepiloga l’iter compositivo dell’opera, i cui materiali preparatori furono prima revisionati da Ezra Pound e poi regalati a J. Quinn da Eliot stesso, che ne perse ogni traccia. Riscoperte dopo la morte del poeta, le bozze furono impiegate dalla moglie V. Eliot per un’edizione in facsimile, da riesaminarsi poiché non esente da procedure di selezione e reinterpretazione arbitrarie. L’indagine sul testo di The Waste Land dovrà inoltre misurarsi con i suoi diversi esiti a stampa, tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Per la ricchezza di queste indagini, The Life of Texts rappresenta un volume imprescindibile per la comprensione dei metodi di ricerca, delle questioni portanti e dei problemi rimasti irrisolti nel campo della textual scholarship di ogni tempo.

Recensione a The Life of Texts. Evidence in Textual Production, Transmission and Reception, edited by Carlo Caruso, London-New York, Bloomsbury Academic, 2018

Sara Fazion
2019

Abstract

Recensione al libro The Life of Texts. Evidence in Textual Production, Transmission and Reception, inerente la riflessione sul “testo” in prospettiva filologica, sociologica e “biologica”, e sui processi della tradizione testuale, influenzati dal contesto redazionale e dai modi di diffusione, inclusi gli aspetti paratestuali e il rapporto con le moderne tecnologie. Questi temi, illustrati nell’Introduzione di R. Gameson, sono discussi nei contributi seguenti in rapporto a singoli casi-studio. In Editing Homer, B. Graziosi, tenendo conto della quaestio dell’authorship e dei problemi di ricostruzione dell’iter compositivo dei poemi omerici, auspica una nuova edizione che consideri anche la ricezione e la trasmissione del testo. In The Canon and the Codex: On the Material Form of the Christian Bible, F. Watson identifica, come primo formato di diffusione della Bibbia, il codex, preferito al volumen per l’agilità di consultazione, la possibilità di lettura dei testi in ordine lineare e per collegamenti tra luoghi distanti, e in quanto adatto all’inclusione di tutte le Scritture in un unico supporto. In Wandering Nights: Shahrazād’s Mutations, D. L. Newman esamina la tradizione de Le Mille e una Notte, evidenziando lo stato d’incertezza testuale dell’opera – priva degli originali di numerosi racconti, alcuni noti solo attraverso testimonianze orali – e il carattere a-scientifico delle edizioni-traduzioni susseguitesi dal XVIII secolo. Ricostruendo le vicende compositive della raccolta, Newmann individua come nucleo originario alcuni racconti composti in un’area della Persia esposta a influenze indiane, poi tradotti in arabo e incrementati con materiali di questa cultura e di quella egiziana, e dunque sottoposti a trasformazioni riscoperte solo nel XIX secolo. A fronte di quest’estrema eterogeneità testuale, Newman auspica un’indagine sia sulla formazione dell’ipotesto, sia sulle vicende redazionali di ogni racconto. In A Text in Exile: Dante’s ‘Divine Comedy’, A. Cipollone ripercorre la tradizione dell’opera maggiore dell’Alighieri, designandola come “testo in esilio” poiché diffusosi in singole sezioni anzitutto fuori Firenze. In quest’ottica, più che le edizioni fondate su codici fiorentini, interessante è quella di Sanguineti, incentrata sul ms. romagnolo Vat. Urb. 366. L’importanza di tale prospettiva sembra del resto confermata dal titolo dell’opera, allusivo sì al significato medievale di “commedia”, ma, forse, pure all’accezione antica del lemma attestata nella Poetica di Aristotele – nota a Dante nella traduzione latina di W. di Moerbeke? –, dove si ricorda l’abitudine degli attori a viaggiare tra i komai poiché scacciati dalle città, figure nelle quali l’Alighieri potrebbe essersi identificato. In Textual Metamorphosis: The Manuscripts of Leonardo da Vinci, C. Vecce riflette sulla possibile edizione del corpus dei manoscritti e dei disegni superstiti di Leonardo da Vinci, costituito da centinaia di carte prodotte in forma sciolta o in quaderni di appunti, costantemente revisionate dall’autore e scevre di un’organizzazione gerarchica degli argomenti, in forma, dunque, di “ipertesti senza fine”. Oltre ad assumere la prospettiva multidirezionale delle reti digitali, secondo Vecce l’edizione dovrà comunque rispettare l’ordine cronologico di redazione dei documenti, al fine di mostrare le fasi della formazione del Da Vinci. In Montaigne, The Life and After-Life of an Unfinished Text, J. O’Brien descrive la vicenda compositiva degli Essais di Montaigne. Pubblicata con modifiche fino al 1588, l’opera fu rielaborata dall’autore in vista di una nuova edizione, divulgata postuma a cura di M. de Gournay. O’Brien confronta questa pubblicazione con l’Exemplaire de Bordeaux (EB), copia dalla stampa del 1588 postillata da Montaigne, ingiustamente posta in secondo piano nelle edizioni di fine Novecento per le notevoli discrepanze con l’edizione post mortem, in realtà ricca di distorsioni delle “ultime volontà dell’autore”. In Rescuing Shakespeare: ‘King Lear’ in Its Textual Contexts, D. Fuller espone le differenze tra le maggiori edizioni a stampa delle opere di Shakespeare, tra loro eterogenee e inconciliabili, come dimostra la polimorfia delle pubblicazioni di King Lear, per il quale è impossibile ricostruire un testo “ideale”. Dunque, se il testo di King Lear finora consolidatosi potrà essere ancora stampato per la rappresentazione teatrale, i filologi dovranno orientarsi verso l’edizione di ogni singola versione dell’opera. In Textual Evidence and Musical Analysis: Once More on the First Movement of Beethoven’s ‘Tempest’ Sonata, Op. 31, No. 2, J. Horton sostiene l’esistenza di un rapporto tra testo e musica: non solo le opere musicali nascono di solito come documenti scritti, ma è sempre possibile formulare riflessioni in senso testuale sulla musica qualora la si interpreti come “testo” che, divenuto performance, ingenera diverse interpretazioni. È quanto avvenne per La Tempesta di Beethoven, la cui prime ventuno battute, insolitamente strutturate, hanno dato adito a diverse ipotesi interpretative, che non hanno però mai posto in discussione la dimensione scritta dell’opera, che desta incognite solo in quanto teoria, significato, idea. Infine, in Fragments Shored against Ruin: Reassembling ‘The Waste Land’, J. Harding riflette sulle caratteristiche che dovrebbe presentare un’edizione esaustiva di The Waste Land di T.S. Eliot. Lo studioso riepiloga l’iter compositivo dell’opera, i cui materiali preparatori furono prima revisionati da Ezra Pound e poi regalati a J. Quinn da Eliot stesso, che ne perse ogni traccia. Riscoperte dopo la morte del poeta, le bozze furono impiegate dalla moglie V. Eliot per un’edizione in facsimile, da riesaminarsi poiché non esente da procedure di selezione e reinterpretazione arbitrarie. L’indagine sul testo di The Waste Land dovrà inoltre misurarsi con i suoi diversi esiti a stampa, tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Per la ricchezza di queste indagini, The Life of Texts rappresenta un volume imprescindibile per la comprensione dei metodi di ricerca, delle questioni portanti e dei problemi rimasti irrisolti nel campo della textual scholarship di ogni tempo.
2019
Sara Fazion
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