Il secondo romanzo di Santocono, Dinddra (1998), benché sviluppi una storia totalmente di finzione, può essere e di fatto è stato percepito in continuità col precedente, il notissimo Rue des Italiens (1986), saga familiare di ispirazione ampiamente autobiografica incentrata sull’immigrazione italiana del secondo dopoguerra nelle zone minerarie della Vallonia. Se, come è stato rilevato, questo secondo libro non ha potuto contare sull’ “effet de surprise” del primo, ha nondimeno ritrovato, in Belgio, la simpatia del pubblico che aveva accolto Rue des Italiens. Dinddra prosegue l’esplorazione dell’universo Rital attraverso la storia di Pino, un giovane di seconda generazione che matura il sogno di una nuova partenza, accarezzando per un momento l’idea di uscire dal rassicurante nucleo comunitario (il dinddra, appunto, il “dentro” siciliano) per conoscere il fora e vivere una vita sua in un altrove scelto autonomamente, senza raccogliere la pesante eredità di una patria- non patria imposta dai genitori emigrati dalla Sicilia. Questo romanzo, che sposta l’attenzione sul problema identitario delle seconde generazioni, riproduce nei dialoghi la lingua festosa e colorata di Rue des Italiens, i suoi incontri di lingue, dialetti e registri diversi, anche se non vi si ritrova la verve di quelle scene del primo romanzo in cui s’intessevano conversazioni spassosissime tra locutori linguisticamente distanti, ma messi in contatto dal contesto migratorio. Questa comune condizione di mistilinguismo in Dinddra è tuttavia oggetto di una maggiore consapevolezza, che si rispecchia in ricorrenti riflessioni metalinguistiche, da cui emerge che la lingua che Pino parla in famiglia è “un sabir de sicilien et de wallon” che sarebbe completamente incomprensibile in Italia, il che gli sottrae anche quel tenue filo che potrebbe ricollegarlo alla patria dei genitori e gli ricorda, al tempo stesso, ogni giorno la sua condizione di straniero in Belgio. Tutta la lingua dispiegata nei dialoghi può dirsi attraversata dalla contaminazione e dalla sovrapposizione tra idiomi diversi, e caratterizzata dalla volontà di accorciare le distanze per comunicare, di ignorare le singole identità e appartenenze per dialogare in una lingua composita ed eteroclita, mai uguale a se stessa, continuamente reinventata per essere all’altezza delle situazioni che si presentano: un vero e proprio sabir, insomma. Se la fama di Rue des Italiens è arrivata in Italia, creando le condizioni per una traduzione italiana (sebbene dall’esito discutibile, v. Nannoni 2016), di Dinddra è giunta un’eco molto più affievolita, nonostante l’attualità della tematica anche per il nostro paese. Riferirò brevemente di un progetto di traduzione nato in seno alla stessa casa editrice italiana che si è occupata del primo romanzo, un progetto più maturo e consapevole bloccato sul nascere per ragioni intrinseche ed estrinseche, il quale ad oggi non si è ancora realizzato, ma che, se perseguito, potrebbe portare con sé anche un recupero e un’auspicabile ritraduzione del primo romanzo.

"Dinddra" di Girolamo Santocono: impasti linguistici nell’universo delle seconde generazioni di emigrati italiani in Belgio

Nannoni Catia
2020

Abstract

Il secondo romanzo di Santocono, Dinddra (1998), benché sviluppi una storia totalmente di finzione, può essere e di fatto è stato percepito in continuità col precedente, il notissimo Rue des Italiens (1986), saga familiare di ispirazione ampiamente autobiografica incentrata sull’immigrazione italiana del secondo dopoguerra nelle zone minerarie della Vallonia. Se, come è stato rilevato, questo secondo libro non ha potuto contare sull’ “effet de surprise” del primo, ha nondimeno ritrovato, in Belgio, la simpatia del pubblico che aveva accolto Rue des Italiens. Dinddra prosegue l’esplorazione dell’universo Rital attraverso la storia di Pino, un giovane di seconda generazione che matura il sogno di una nuova partenza, accarezzando per un momento l’idea di uscire dal rassicurante nucleo comunitario (il dinddra, appunto, il “dentro” siciliano) per conoscere il fora e vivere una vita sua in un altrove scelto autonomamente, senza raccogliere la pesante eredità di una patria- non patria imposta dai genitori emigrati dalla Sicilia. Questo romanzo, che sposta l’attenzione sul problema identitario delle seconde generazioni, riproduce nei dialoghi la lingua festosa e colorata di Rue des Italiens, i suoi incontri di lingue, dialetti e registri diversi, anche se non vi si ritrova la verve di quelle scene del primo romanzo in cui s’intessevano conversazioni spassosissime tra locutori linguisticamente distanti, ma messi in contatto dal contesto migratorio. Questa comune condizione di mistilinguismo in Dinddra è tuttavia oggetto di una maggiore consapevolezza, che si rispecchia in ricorrenti riflessioni metalinguistiche, da cui emerge che la lingua che Pino parla in famiglia è “un sabir de sicilien et de wallon” che sarebbe completamente incomprensibile in Italia, il che gli sottrae anche quel tenue filo che potrebbe ricollegarlo alla patria dei genitori e gli ricorda, al tempo stesso, ogni giorno la sua condizione di straniero in Belgio. Tutta la lingua dispiegata nei dialoghi può dirsi attraversata dalla contaminazione e dalla sovrapposizione tra idiomi diversi, e caratterizzata dalla volontà di accorciare le distanze per comunicare, di ignorare le singole identità e appartenenze per dialogare in una lingua composita ed eteroclita, mai uguale a se stessa, continuamente reinventata per essere all’altezza delle situazioni che si presentano: un vero e proprio sabir, insomma. Se la fama di Rue des Italiens è arrivata in Italia, creando le condizioni per una traduzione italiana (sebbene dall’esito discutibile, v. Nannoni 2016), di Dinddra è giunta un’eco molto più affievolita, nonostante l’attualità della tematica anche per il nostro paese. Riferirò brevemente di un progetto di traduzione nato in seno alla stessa casa editrice italiana che si è occupata del primo romanzo, un progetto più maturo e consapevole bloccato sul nascere per ragioni intrinseche ed estrinseche, il quale ad oggi non si è ancora realizzato, ma che, se perseguito, potrebbe portare con sé anche un recupero e un’auspicabile ritraduzione del primo romanzo.
2020
Minatori di memorie 3. Il plurilinguismo nei contesti transnazionali postminerari del Belgio e del Limburgo olandese
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Nannoni Catia
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