Se, all'alba del IV millennio, un archeologo rinvenisse le vestigia di una qualsiasi città dell'Italia contemporanea, soffocata, in quegli stessi giorni, da metri di pomici e ceneri vulcaniche, o, per non circostanziare geograficamente l'ipotetica catastrofe, dal fango, farebbe non poca fatica a decifrare la maggior parte dei segni e delle scritte di carattere alfanumerico che, inevitabilmente, rinverrebbe sui muri delle abitazioni e dei palazzi graziati dalla sciagura. E a poco, se non a nulla, gli potrebbero essere d'ausilio gli sforzi di altri studiosi: semiologi, antropologi, calligrafi, paleografi, filologi, linguisti, sociologi e storici riuscirebbero a rendere solo apparentemente meno ardua l'impresa, che difficilmente potrebbe essere compiuta in modo soddisfacente. Per questi specialisti infatti, anche se dotati della più raffinata sensibilità psicologica per l'uomo dei nostri tempi, non sarebbe per nulla facile ripetere l'exploit del gesuita Raffaele Garrucci, abile, verso la metà del XIX secolo, ad avviare lo studio e dunque la decriptazione dei cosiddetti graffiti "non autorizzati" che gli intonaci e le pietre di Pompei avevano salvaguardato per quasi duemila anni. Scritte realizzate liberamente e spontaneamente sulla pelle della città campana dai suoi stessi abitanti, dalla gente comune, ma anche dai cittadini di rango, che per con-tenuto si distinguevano da quelle ufficiali, cioè comandate o disposte dalle istituzioni amministrative o politiche. Frasi, parole, sigle eseguite nei più disparati caratteri, dipinte, tracciate a carbone o incise secondo una consuetudine comune a qualsiasi città romana dell'epoca, Urbe compresa. Oggi, come dobbiamo leggere i graffiti del nostro tempo, cosa sono le tag che continuità hanno con le firme degli antichi romani? Perché dobbiamo avere un atteggiamento più specificamente scientifico nell'intraprenderne la lettura e l'analisi?

L'Italia sui muri: nuove forme di scrittura-pittura fra vandalismo grafico e Graffiti-Writing

Luca Ciancabilla
2020

Abstract

Se, all'alba del IV millennio, un archeologo rinvenisse le vestigia di una qualsiasi città dell'Italia contemporanea, soffocata, in quegli stessi giorni, da metri di pomici e ceneri vulcaniche, o, per non circostanziare geograficamente l'ipotetica catastrofe, dal fango, farebbe non poca fatica a decifrare la maggior parte dei segni e delle scritte di carattere alfanumerico che, inevitabilmente, rinverrebbe sui muri delle abitazioni e dei palazzi graziati dalla sciagura. E a poco, se non a nulla, gli potrebbero essere d'ausilio gli sforzi di altri studiosi: semiologi, antropologi, calligrafi, paleografi, filologi, linguisti, sociologi e storici riuscirebbero a rendere solo apparentemente meno ardua l'impresa, che difficilmente potrebbe essere compiuta in modo soddisfacente. Per questi specialisti infatti, anche se dotati della più raffinata sensibilità psicologica per l'uomo dei nostri tempi, non sarebbe per nulla facile ripetere l'exploit del gesuita Raffaele Garrucci, abile, verso la metà del XIX secolo, ad avviare lo studio e dunque la decriptazione dei cosiddetti graffiti "non autorizzati" che gli intonaci e le pietre di Pompei avevano salvaguardato per quasi duemila anni. Scritte realizzate liberamente e spontaneamente sulla pelle della città campana dai suoi stessi abitanti, dalla gente comune, ma anche dai cittadini di rango, che per con-tenuto si distinguevano da quelle ufficiali, cioè comandate o disposte dalle istituzioni amministrative o politiche. Frasi, parole, sigle eseguite nei più disparati caratteri, dipinte, tracciate a carbone o incise secondo una consuetudine comune a qualsiasi città romana dell'epoca, Urbe compresa. Oggi, come dobbiamo leggere i graffiti del nostro tempo, cosa sono le tag che continuità hanno con le firme degli antichi romani? Perché dobbiamo avere un atteggiamento più specificamente scientifico nell'intraprenderne la lettura e l'analisi?
2020
L’italiano tra parola e immagine: iscrizioni, illustrazioni, fumetti
253
263
Luca Ciancabilla
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