L’attualità ci mostra intrecci ricorrenti tra questioni di genere e questioni legate all’origine straniera degli individui. D’altra parte, non potrebbe essere che così dal momento che persone di differenti generi, origini, tratti somatici e riferimenti culturali compongono l’umanità a egual titolo. Le società contemporanee sono sempre più multiculturali, strutturalmente eterogenee e in rapida trasformazione nonostante le spinte reazionarie e conservatrici di chi vorrebbe fermare la circolazio-ne e la mescolanza di una pluralità di differenze di tipo sessuale e di genere, culturale, linguistico, religioso, politico, somatico, di identità, generazioni, ruoli e rapporti tra generi. Interculturalmente abbraccio un’idea di multiculturalità che comprende la pluralità di queste forme dell’alterità. Tutte ci mostrano come l’incontro e gli scambi con l’altra/o e con le sue peculiarità avvengano quotidianamente e in una molteplicità di ambiti. Storie ed esperienze molteplici, dunque, al fem-minile, al maschile o altro, si incontrano, coesistono, che sia nell’indifferenza o nell’ostilità reciproca, oppure nella condivisione e nell’interazione. Pluralità e complessità ci contraddistinguono, piaccia o no. Differenze e somiglianze si distribuiscono in modo vario e im-prevedibile tra “culture” e “generi” solo presuntamente dati e predefi-nibili. Allora la sinergia è necessaria e urgente. Nella lettura della diversità si ricorre spesso alle operazioni sempli-ficatorie di un pensiero rigido e povero che applica, secondo automati-smi, chiavi di lettura retrive e offensive a realtà complesse ed eteroge-nee. Donne e stranieri (specie se donne) si profilano come soggetti gra-vati da forme di discriminazione fondate su pregiudizi e iniquità nelle opportunità e condizioni di vita complessive che non solo ne deforma-no e occultano le peculiarità ma ne condizionano scelte, libertà, evolu-zione personale e sociale. Si può notare come nel nostro vocabolario esista una parola precisa per definire l’avversione verso l’intero genere umano che è “misantro-pia”, e nello specifico verso due categorie di umani costituite come a sé stanti e che dall’umano nella sua interezza sono distinte: stranieri e donne. Esiste cioè un vocabolo per designare paura e odio per gli stra-nieri, che è xenofobia, e un vocabolo per definire l’odio nei confronti delle donne, che è “misoginia”; non esiste però un vocabolo di uso comune per definire un atteggiamento di odio delle donne verso gli uomini intesi come maschi. In più «Se la comunità si pensa come “co-munità di uomini”, la donna è straniera e potenzialmente pericolosa, come tutto ciò che viene da fuori» (Cavalli Sforza e Padoan, p. 105). Esiste il femminicidio, ma non il maschicidio. Molte sono le ragioni nell’oggi a mostrare l’indispensabile collega-mento tra prospettive di genere e prospettive interculturali quale occa-sione per rispettare e non appiattire le peculiarità, dando spazio alla lo-ro espressione. Indispensabile è riconoscere i modelli normativi che impongono l’adesione a caratteristiche e ruoli predefiniti, offrendo strumenti di sovversione, senza temere le contraddizioni (Gamberi, Maio e Selmi, 2010). Indispensabile è dare cittadinanza educativa all’esperienza della femminilità e della maschilità nelle loro plurali va-rianti, unitamente alla valorizzazione della complessità e della molte-plicità delle esperienze dei soggetti anche in relazione al loro back-ground esperienziale e culturale come obiettivo principale del fare educazione, cittadinanza e democrazia. Come scrive Ulivieri (2017): «La pedagogia di genere coniugandosi con la pedagogia interculturale può dare indicazioni forti e prospettiche per la valorizzazione del genere anche in rela-zione alle differenze etniche e religiose, contribuendo a definire le trame complesse e multiculturali della contemporaneità, contraddistinta da tensioni, violenze, rifiu-ti» (p. 14). In una dimensione pluridirezionale, di reciproco completamento e potenziamento, pedagogia interculturale e pedagogia di genere pos-sono dar vita a un circolo virtuoso capace di tenere conto della plurali-tà delle peculiarità degli individui sul piano del genere e dei riferimenti culturali. Nel pensare e operare educativamente, sia con i più piccoli sia con gli adulti, qualsiasi riflessione pedagogica e qualsivoglia prassi educati-va dovrebbe seguire entrambi i binari, intersecandoli di necessità e co-me grande opportunità, verso forme di rispetto, accoglienza e valoriz-zazione di punti di vista diversi e plurali che non rinuncino a persegui-re l’obbiettivo della pari dignità e della paritetica possibilità di accesso ai diritti. Il percorso identitario degli individui può non essere predefi-nito, prescrivibile e prevedibile in relazione a sesso e genere, etnia e cultura di nascita; può essere invece diversificato se si è messi nelle condizioni (entro i contesti sociali ed educativi reali) di trasformare la propria unicità, le proprie articolate peculiarità in progettualità di vita liberate, per quanto possibile, dalle imposizioni di immagini preconcet-te e stereotipate in base al genere (Gamberi, Maio, Selmi, 2010) e alle origini somatiche e culturali. Un’educazione interculturale attenta alle questioni di genere e un’educazione di genere attenta alle variabili cul-turali, in altre parole, un’educazione che sappia ibridarsi tra queste plu-rali dimensioni, dovrebbe avere un ruolo cruciale nella decostruzione dei modelli dominanti, tanto in relazione al genere, quanto all’essere stranieri e di una determinata origine. Si tratta di favorire l’allargarsi dello sguardo dei giovani, e non solo, verso un panorama dal respiro internazionale, laddove la pluralità è sempre più concreta e possibile, laddove le ambiguità non sussistono come stonature, ma come possibilità differenti da utilizzare e com-prendere vicendevolmente (Giusti, 2017). Si tratta, però anche di anda-re verso una crescente equità delle opportunità e democraticità nella vita sociale, e dunque di ampliare e costruire ex novo giustizia sociale (Tarozzi, 2015). La sfida del vivere insieme, nel pluralismo e in un orizzonte democratico, è urgente quanto ardua da perseguire e realizza-re. Resta fondamentale sostenere la comunicazione interpersonale per incontrare l’altro all’interno di relazioni nelle quali similitudini, ugua-glianza (equità nelle opportunità e nei diritti) e differenze (peculiarità individuali e/o di gruppi) possano coesistere grazie a un reciproco ri-spetto che non si sottragga al conflitto, ma si volga alla sua gestione non violenta. Questi processi possono favorire lo sviluppo e il raffor-zamento di mentalità aperte e i contesti educativi possono concreta-mente costituire luoghi di esercizio della cittadinanza e di co-costruzione di convivenza e crescita condivisa. Processi trasformativi che in un contesto socioculturale si ponessero questi obiettivi non an-drebbero solo a favore delle opportunità di soggetti per diverse ragioni e in diverse forme svantaggiati rispetto ad altri in un certo contesto, ma a favore della crescita e dell’evoluzione civile e condivisa di tutti i membri di un medesimo contesto di vita. Insieme.

Pedagogia di Genere e Pedagogia Interculturale: una sinergia necessaria

Stefania Lorenzini
2020

Abstract

L’attualità ci mostra intrecci ricorrenti tra questioni di genere e questioni legate all’origine straniera degli individui. D’altra parte, non potrebbe essere che così dal momento che persone di differenti generi, origini, tratti somatici e riferimenti culturali compongono l’umanità a egual titolo. Le società contemporanee sono sempre più multiculturali, strutturalmente eterogenee e in rapida trasformazione nonostante le spinte reazionarie e conservatrici di chi vorrebbe fermare la circolazio-ne e la mescolanza di una pluralità di differenze di tipo sessuale e di genere, culturale, linguistico, religioso, politico, somatico, di identità, generazioni, ruoli e rapporti tra generi. Interculturalmente abbraccio un’idea di multiculturalità che comprende la pluralità di queste forme dell’alterità. Tutte ci mostrano come l’incontro e gli scambi con l’altra/o e con le sue peculiarità avvengano quotidianamente e in una molteplicità di ambiti. Storie ed esperienze molteplici, dunque, al fem-minile, al maschile o altro, si incontrano, coesistono, che sia nell’indifferenza o nell’ostilità reciproca, oppure nella condivisione e nell’interazione. Pluralità e complessità ci contraddistinguono, piaccia o no. Differenze e somiglianze si distribuiscono in modo vario e im-prevedibile tra “culture” e “generi” solo presuntamente dati e predefi-nibili. Allora la sinergia è necessaria e urgente. Nella lettura della diversità si ricorre spesso alle operazioni sempli-ficatorie di un pensiero rigido e povero che applica, secondo automati-smi, chiavi di lettura retrive e offensive a realtà complesse ed eteroge-nee. Donne e stranieri (specie se donne) si profilano come soggetti gra-vati da forme di discriminazione fondate su pregiudizi e iniquità nelle opportunità e condizioni di vita complessive che non solo ne deforma-no e occultano le peculiarità ma ne condizionano scelte, libertà, evolu-zione personale e sociale. Si può notare come nel nostro vocabolario esista una parola precisa per definire l’avversione verso l’intero genere umano che è “misantro-pia”, e nello specifico verso due categorie di umani costituite come a sé stanti e che dall’umano nella sua interezza sono distinte: stranieri e donne. Esiste cioè un vocabolo per designare paura e odio per gli stra-nieri, che è xenofobia, e un vocabolo per definire l’odio nei confronti delle donne, che è “misoginia”; non esiste però un vocabolo di uso comune per definire un atteggiamento di odio delle donne verso gli uomini intesi come maschi. In più «Se la comunità si pensa come “co-munità di uomini”, la donna è straniera e potenzialmente pericolosa, come tutto ciò che viene da fuori» (Cavalli Sforza e Padoan, p. 105). Esiste il femminicidio, ma non il maschicidio. Molte sono le ragioni nell’oggi a mostrare l’indispensabile collega-mento tra prospettive di genere e prospettive interculturali quale occa-sione per rispettare e non appiattire le peculiarità, dando spazio alla lo-ro espressione. Indispensabile è riconoscere i modelli normativi che impongono l’adesione a caratteristiche e ruoli predefiniti, offrendo strumenti di sovversione, senza temere le contraddizioni (Gamberi, Maio e Selmi, 2010). Indispensabile è dare cittadinanza educativa all’esperienza della femminilità e della maschilità nelle loro plurali va-rianti, unitamente alla valorizzazione della complessità e della molte-plicità delle esperienze dei soggetti anche in relazione al loro back-ground esperienziale e culturale come obiettivo principale del fare educazione, cittadinanza e democrazia. Come scrive Ulivieri (2017): «La pedagogia di genere coniugandosi con la pedagogia interculturale può dare indicazioni forti e prospettiche per la valorizzazione del genere anche in rela-zione alle differenze etniche e religiose, contribuendo a definire le trame complesse e multiculturali della contemporaneità, contraddistinta da tensioni, violenze, rifiu-ti» (p. 14). In una dimensione pluridirezionale, di reciproco completamento e potenziamento, pedagogia interculturale e pedagogia di genere pos-sono dar vita a un circolo virtuoso capace di tenere conto della plurali-tà delle peculiarità degli individui sul piano del genere e dei riferimenti culturali. Nel pensare e operare educativamente, sia con i più piccoli sia con gli adulti, qualsiasi riflessione pedagogica e qualsivoglia prassi educati-va dovrebbe seguire entrambi i binari, intersecandoli di necessità e co-me grande opportunità, verso forme di rispetto, accoglienza e valoriz-zazione di punti di vista diversi e plurali che non rinuncino a persegui-re l’obbiettivo della pari dignità e della paritetica possibilità di accesso ai diritti. Il percorso identitario degli individui può non essere predefi-nito, prescrivibile e prevedibile in relazione a sesso e genere, etnia e cultura di nascita; può essere invece diversificato se si è messi nelle condizioni (entro i contesti sociali ed educativi reali) di trasformare la propria unicità, le proprie articolate peculiarità in progettualità di vita liberate, per quanto possibile, dalle imposizioni di immagini preconcet-te e stereotipate in base al genere (Gamberi, Maio, Selmi, 2010) e alle origini somatiche e culturali. Un’educazione interculturale attenta alle questioni di genere e un’educazione di genere attenta alle variabili cul-turali, in altre parole, un’educazione che sappia ibridarsi tra queste plu-rali dimensioni, dovrebbe avere un ruolo cruciale nella decostruzione dei modelli dominanti, tanto in relazione al genere, quanto all’essere stranieri e di una determinata origine. Si tratta di favorire l’allargarsi dello sguardo dei giovani, e non solo, verso un panorama dal respiro internazionale, laddove la pluralità è sempre più concreta e possibile, laddove le ambiguità non sussistono come stonature, ma come possibilità differenti da utilizzare e com-prendere vicendevolmente (Giusti, 2017). Si tratta, però anche di anda-re verso una crescente equità delle opportunità e democraticità nella vita sociale, e dunque di ampliare e costruire ex novo giustizia sociale (Tarozzi, 2015). La sfida del vivere insieme, nel pluralismo e in un orizzonte democratico, è urgente quanto ardua da perseguire e realizza-re. Resta fondamentale sostenere la comunicazione interpersonale per incontrare l’altro all’interno di relazioni nelle quali similitudini, ugua-glianza (equità nelle opportunità e nei diritti) e differenze (peculiarità individuali e/o di gruppi) possano coesistere grazie a un reciproco ri-spetto che non si sottragga al conflitto, ma si volga alla sua gestione non violenta. Questi processi possono favorire lo sviluppo e il raffor-zamento di mentalità aperte e i contesti educativi possono concreta-mente costituire luoghi di esercizio della cittadinanza e di co-costruzione di convivenza e crescita condivisa. Processi trasformativi che in un contesto socioculturale si ponessero questi obiettivi non an-drebbero solo a favore delle opportunità di soggetti per diverse ragioni e in diverse forme svantaggiati rispetto ad altri in un certo contesto, ma a favore della crescita e dell’evoluzione civile e condivisa di tutti i membri di un medesimo contesto di vita. Insieme.
2020
Educazione e questioni di genere. Percorsi formativi e pratiche educative tra scuola e territorio
54
69
Stefania Lorenzini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/774134
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