Il saggio fa parte degli Atti del Convegno, promosso dal Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna e dalla sezione Emilia-Romagna dell’International Association for Art and Psychology, che si è tenuto presso il DAMS Lab il 4 e 5 maggio del 2019. Il volume curato da Mona Lisa Tina, Angelica Polverini e Stefani Ferrari , offre l’occasione di esplorare nuove chiavi di lettura dell’esperienza estetico/estatica degli artisti che utilizzano specificamente e in modo totalizzante il proprio corpo come strumento di comunicazione. Il saggio analizza, inserendolo in una ampia dimensione culturale tra teatro, antropologia e psicoanalisi, il percorso artistico della Body Artist Kyrham la cui chiave di lettura complessiva consiste nella sofferenza del corpo intesa come supplizio e alterazione dello stesso corpo, e nella ferita come linguaggio predominante: dagli aghi estratti dalle sopracciglia che le fanno piangere lacrime di sangue, ai gioielli, attributo di bellezza e simbolo di ricchezza che divengono, nelle performance, strumenti di tortura. Anche per Kyrham si può sottolineare, in linea con momenti fondanti della pratica della Body Art, da Gina Pane a Vito Acconci a Stelarc, come il dolore in sé non sia valorizzato, ma sia qualcosa di indifferente all’artista. Questo non significa non provare dolore, significa invece non provare sofferenza, ossia la dimensione morale del dolore si attenua nel momento stesso in cui si sceglie volontariamente di patirla.
Linguaggi performativi: dallo sciamanesimo al sabba, dall'isteria alla performance art e ritorno
Laura Budriesi
2020
Abstract
Il saggio fa parte degli Atti del Convegno, promosso dal Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna e dalla sezione Emilia-Romagna dell’International Association for Art and Psychology, che si è tenuto presso il DAMS Lab il 4 e 5 maggio del 2019. Il volume curato da Mona Lisa Tina, Angelica Polverini e Stefani Ferrari , offre l’occasione di esplorare nuove chiavi di lettura dell’esperienza estetico/estatica degli artisti che utilizzano specificamente e in modo totalizzante il proprio corpo come strumento di comunicazione. Il saggio analizza, inserendolo in una ampia dimensione culturale tra teatro, antropologia e psicoanalisi, il percorso artistico della Body Artist Kyrham la cui chiave di lettura complessiva consiste nella sofferenza del corpo intesa come supplizio e alterazione dello stesso corpo, e nella ferita come linguaggio predominante: dagli aghi estratti dalle sopracciglia che le fanno piangere lacrime di sangue, ai gioielli, attributo di bellezza e simbolo di ricchezza che divengono, nelle performance, strumenti di tortura. Anche per Kyrham si può sottolineare, in linea con momenti fondanti della pratica della Body Art, da Gina Pane a Vito Acconci a Stelarc, come il dolore in sé non sia valorizzato, ma sia qualcosa di indifferente all’artista. Questo non significa non provare dolore, significa invece non provare sofferenza, ossia la dimensione morale del dolore si attenua nel momento stesso in cui si sceglie volontariamente di patirla.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.