Il focus del presente contributo è costituito dalla dimensione partecipativa di specifiche politiche di programmazione sociale: i Piani di Zona (PdZ). Tali politiche, introdotte dalla l. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, cosiddetta “Legge Turco”, costituiscono lo strumento fondamentale per definire e costruire, attraverso “la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti”, un sistema locale integrato di interventi e servizi sociali, in una logica di “promozione della solidarietà sociale” e di empowerment, ossia di “valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”. Il Piano di Zona, dunque, nell’ambito della programmazione e del governo delle politiche sociali, si pone quale strumento strategico partecipato e territoriale. Da un lato, infatti, è la risultante di un processo di pianificazione consensuale fondato sulla concertazione tra una pluralità di attori, istituzionali e non; dall’altro, è organizzato per ambiti territoriali sovra-comunali, spesso corrispondenti ai distretti socio-sanitari, che perimetrano l’area della comunità partecipante. I Piani di Zona sono stati scelti quali oggetto di indagine in quanto rappresentano un caso emblematico di “politiche di nuova generazione”; al pari, certo, di altre policies, quali ad esempio le politiche di rigenerazione urbana e quelle ambientali di Agenda 21, ma meno studiate, pur incidendo allo stesso modo sulla vita dei cittadini. Non vi è dubbio, infatti, che i Piani di Zona rientrano a pieno titolo tra quelle policies che segnano il passaggio da un paradigma burocratico dell’amministrazione pubblica, ancora sostanzialmente riconducibile alla lezione weberiana, a un paradigma cosiddetto post-burocratico (Barzelay 1992), che contrappone al government la governance (Rodhes 1996; Mayntz 1999); al coordinamento negativo o sequenziale la partecipazione, ossia il coordinamento positivo o simultaneo (Scharpf 1994); alla conformità alle regole l’orientamento ai risultati (Osborne e Gaebler 1992); alla gerarchia e alla verticalità la rete e l’orizzontalità; agli atti unilaterali gli accordi volontari e i contratti (Bobbio 2000; Perulli 2004); al mero controllo l’apprendimento; alle prassi consolidate la sperimentazione; e, per finire, alla tendenza a limitare la discrezionalità quella a favorire l’innovazione (Girotti 2007). La dimensione partecipativa dei PdZ rappresenta invero solo una parte dell’oggetto di studio della ricerca da cui questo articolo scaturisce. Tale oggetto, infatti, è costituito dalla totalità dei processi decisionali che, nel corso del I° triennio di programmazione dei PdZ nella Provincia di Torino, si sono sviluppati all’interno delle politiche di pianificazione zonale. Più in dettaglio, particolare attenzione è dedicata a tre differenti aspetti di questi processi: l’interazione e l’integrazione tra la componente tecnica e la componente politica degli Enti che hanno gestito la programmazione; i rapporti tra le istituzioni coinvolte (Consorzi socio-assistenziali o Comunità Montante, ASL e Comuni) nei singoli processi di pianificazione; le relazioni tra soggetti istituzionali e soggetti appartenenti alla società civile più o meno organizzata. La ricerca condotta risponde a un disegno quali-quantitativo. Gli strumenti di rilevazione prescelti sono infatti due: interviste in profondità su traccia strutturata e batterie di domande chiuse autosomministrate agli intervistati in presenza degli intervistatori. Gli intervistati, fonte primaria di questo contributo, sono i responsabili dei servizi sociali degli enti gestori attivi sul territorio provinciale torinese

Partecipazione e programmazione sociale: i Tavoli Tematici nei Piani di Zona della Provincia di Torino

GARGIULO, Enrico
2011

Abstract

Il focus del presente contributo è costituito dalla dimensione partecipativa di specifiche politiche di programmazione sociale: i Piani di Zona (PdZ). Tali politiche, introdotte dalla l. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, cosiddetta “Legge Turco”, costituiscono lo strumento fondamentale per definire e costruire, attraverso “la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti”, un sistema locale integrato di interventi e servizi sociali, in una logica di “promozione della solidarietà sociale” e di empowerment, ossia di “valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”. Il Piano di Zona, dunque, nell’ambito della programmazione e del governo delle politiche sociali, si pone quale strumento strategico partecipato e territoriale. Da un lato, infatti, è la risultante di un processo di pianificazione consensuale fondato sulla concertazione tra una pluralità di attori, istituzionali e non; dall’altro, è organizzato per ambiti territoriali sovra-comunali, spesso corrispondenti ai distretti socio-sanitari, che perimetrano l’area della comunità partecipante. I Piani di Zona sono stati scelti quali oggetto di indagine in quanto rappresentano un caso emblematico di “politiche di nuova generazione”; al pari, certo, di altre policies, quali ad esempio le politiche di rigenerazione urbana e quelle ambientali di Agenda 21, ma meno studiate, pur incidendo allo stesso modo sulla vita dei cittadini. Non vi è dubbio, infatti, che i Piani di Zona rientrano a pieno titolo tra quelle policies che segnano il passaggio da un paradigma burocratico dell’amministrazione pubblica, ancora sostanzialmente riconducibile alla lezione weberiana, a un paradigma cosiddetto post-burocratico (Barzelay 1992), che contrappone al government la governance (Rodhes 1996; Mayntz 1999); al coordinamento negativo o sequenziale la partecipazione, ossia il coordinamento positivo o simultaneo (Scharpf 1994); alla conformità alle regole l’orientamento ai risultati (Osborne e Gaebler 1992); alla gerarchia e alla verticalità la rete e l’orizzontalità; agli atti unilaterali gli accordi volontari e i contratti (Bobbio 2000; Perulli 2004); al mero controllo l’apprendimento; alle prassi consolidate la sperimentazione; e, per finire, alla tendenza a limitare la discrezionalità quella a favorire l’innovazione (Girotti 2007). La dimensione partecipativa dei PdZ rappresenta invero solo una parte dell’oggetto di studio della ricerca da cui questo articolo scaturisce. Tale oggetto, infatti, è costituito dalla totalità dei processi decisionali che, nel corso del I° triennio di programmazione dei PdZ nella Provincia di Torino, si sono sviluppati all’interno delle politiche di pianificazione zonale. Più in dettaglio, particolare attenzione è dedicata a tre differenti aspetti di questi processi: l’interazione e l’integrazione tra la componente tecnica e la componente politica degli Enti che hanno gestito la programmazione; i rapporti tra le istituzioni coinvolte (Consorzi socio-assistenziali o Comunità Montante, ASL e Comuni) nei singoli processi di pianificazione; le relazioni tra soggetti istituzionali e soggetti appartenenti alla società civile più o meno organizzata. La ricerca condotta risponde a un disegno quali-quantitativo. Gli strumenti di rilevazione prescelti sono infatti due: interviste in profondità su traccia strutturata e batterie di domande chiuse autosomministrate agli intervistati in presenza degli intervistatori. Gli intervistati, fonte primaria di questo contributo, sono i responsabili dei servizi sociali degli enti gestori attivi sul territorio provinciale torinese
2011
Laura Cataldi; GARGIULO, Enrico
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